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 2014  novembre 05 Mercoledì calendario

UBER ARRIVA A TORINO. IL SERVIZIO DI AUTO CON CONDUCENTE STA METTENDO KO I TASSISTI. È COMODO E COSTA MENO. E POI SE SI SUPERANO I REQUISITI DI AFFIDABILITÀ PREVISTI DALL’AZIENDA, SI PUÒ DIVENTARE UN DRIVER DA CHIAMARE CON LA APP. ED È LEGALE

Non è che per guidare un’auto ci voglia molto più che una patente”. Benedetta Arese Lucini, 30 anni, bionda, milanese, arriva in ritardo all’appuntamento: le grandi città sono bloccate da uno sciopero dei mezzi pubblici, lei ne ha approfittato per tagliare le tariffe di Uber a Milano così da conquistare nuovi clienti appiedati. Benedetta Arese Lucini è il general manager di Uber in Italia e sta riuscendo là dove aveva fallito Pier Luigi Bersani, ai tempi del secondo governo Prodi: riscrivere le regole di un settore arcaico come quello del trasporto locale, diviso tra mezzi pubblici inefficienti, tassisti costosi (e introvabili di notte o quando piove) e le elitarie auto Ncc, il noleggio con conducente. Quando nel 2007 Bersani provò a eliminare il divieto di cumulare più vetture per una sola licenza da tassista, il ministero dello Sviluppo finì sotto assedio. Oggi c’è qualche mugugno, un paio di contestazioni serie, ma la politica pare aver delegato a Uber il compito di liberalizzare un settore calcificato da 22 anni. E così, dopo aver conquistato Milano e Roma, Uber ha iniziato a esplorare il mercato di Genova e da domani parcheggerà anche a Torino, la città che senza più la Fiat è pronta a entrare in una nuova era in cui le auto non si comprano ma si usano. Uber è soltanto una app, un’icona su un telefono, dietro la quale c’è una compagnia californiana guidata da Travis Kalanick che fattura 200 milioni di dollari ed è valutata attorno ai 18 miliardi (per dare un’idea: in Borsa tutta Finmeccanica ne vale 4). Uber si limita ad aiutare chi ha un’auto a trovare chi è disposto a pagare per una corsa. In cambio trattiene una percentuale, a Milano per Uber Black – la vettura a noleggio con autista – è il 20 per cento. “L’azienda sta sviluppando un brand che ha una fedeltà impressionante da parte dei clienti e una certa mistica”, ha scritto su Bloomberg l’economista Mohamed El-Erian, tra gli opinionisti finanziari più influenti. Anche El-Erian usa Uber: quando arriva in un aeroporto o in una stazione guarda lo smartphone, prenota l’auto più vicina che in pochi minuti arriva a prelevarlo permettendogli di evitare la fila dei taxi. Il conto viene addebitato sulla carta di credito aziendale, niente più fastidi con monetine e ricevute.
Sapete quanti posti di lavoro ha creato in Italia? Undici. Quelli di Benedetta Arese Lucini e dei suoi collaboratori. Di quanto sono aumentate le corse e qual è l’impatto sulla mobilità urbana? Mistero, per politica aziendale Uber non diffonde questi numeri, a conferma che vuole sedurre più che convincere. Le uniche cifre note del ramo italiano sono quelle, risibili, del primo e unico bilancio depositato relativo al 2013: fatturato 562 mila euro, utile di 9.100, spesa per stipendi 390 mila. Eppure Uber è un fenomeno mondiale che va oltre le sue dimensioni finanziarie: quando in Belgio è stata messa fuori legge, si è attivata la vicepresidente della Commissione Neelie Kroes per denunciare la “folle decisione”, usando argomenti pulp come “le 23 donne stuprate di recente da persone che si sono presentate come tassisti”. Uber sta diventando quello che Apple è per la tecnologia, qualcosa che bisogna aver provato: anche il premier Matteo Renzi si è premurato di far sapere che aveva provato Uber a New York. Per espandersi Uber sceglie le città in cui più persone scaricano la app senza ancora che ci sia il servizio, domanda inevasa. È un simbolo, come Napster (archeologia del web) o Spotify, non tanto compravendita di beni e servizi quanto condivisione, è la “sharing economy” che magari non aumenta il Pil ma migliora la qualità della vita. Questo racconta la Arese Lucini ai parlamentari che incontra, assieme allo studio di lobbying Cattaneo Zanetto cui si appoggia, per spiegare l’impatto positivo sull’Italia.
Il servizio offerto da Uber, infatti, è quasi legale. O meglio, nessuno ha ben chiaro se viola una preistorica legge del 1992 che regolava i taxi e per il noleggio con conducente fissava i seguenti paletti: “Si rivolge all’utenza specifica che avanza, presso la sede del vettore, apposita richiesta per una determinata prestazione a tempo e/o viaggio. Lo stazionamento dei mezzi avviene all’interno delle rimesse o presso i pontili di attracco”. Tradotto: ogni Ncc che porta un passeggero dal centro di Roma all’aeroporto di Fiumicino dovrebbe poi tornare alla rimessa, non potrebbe neppure caricare un passeggero che da Fiumicino deve andare in città. Una norma così assurda che l’autorità Antitrust ha suggerito di abrogarla “anche in considerazione delle nuove possibilità offerte dalle piattaforme on line”. Cioè Uber.
Benedetta Arese Lucini si è scontrata con i tassisti milanesi, poi con quelli genovesi, e con i loro referenti politici, a cominciare dal ministro dei Trasporti Maurizio Lupi. Ma lei insiste, supportata dal quartier generale di San Francisco. Dopo una laurea alla Bocconi e una specializzazione in matematica finanziaria, la Arese Lucini si è occupata di innovazione finanziaria a Morgan Stanley, poi un master alla New York University dove ha partecipato a progetti per i contenuti pagamento del network HBO, e si è trasferita in Malesia a lanciare start up di commercio via web. Poi Uber l’ha chiamata per affidarle l’Italia dopo aver letto il suo curriculum su LinkedIn.
Nelle ultime settimane ha deciso di sposare la frontiera tra lecito e il non ancora illecito: a Milano ha sperimentato Uber Pop. Hai un’auto? Se superi i requisiti di affidabilità previsti da Uber (21 anni, nessuna sospensione e fedina penale pulita), puoi diventare un driver da chiamare con la app. Le tariffe sono basse: 35 centesimi a chilometro, “quasi un rimborso spese”, dicono dall’azienda, una precisazione per presentare il servizio come una variante del car sharing (tipo Blablacar, si condividono auto private e si dividono le spese senza farci profitti) meglio tollerate e regolate. Uber praticamente non guadagna nulla da UberPop, “ma se non lo lanciavamo noi lo avrebbe fatto qualcun altro”, è l’analisi della Arese Lucini. Nell’era della connessione continua l’importante è controllare nodi della rete, persone che usano la tua app, un modo per fare soldi poi si trova. Infatti a Torino intanto arriva UberPop (per 15 giorni gratis), poi un modo per ottenere ricavi dal popolo Uber si troverà. “Siamo il simbolo del cambiamento”, dice Benedetta Arese Lucini. I tassisti, e i politici, possono solo restare a guardare.
Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 5/11/2014