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 2014  novembre 05 Mercoledì calendario

LA FINLANDIA TORNA A FARE I CONTI CON LA DECRESCITA DEL PIL E LA DISOCCUPAZIONE: «IL RIGOROSO RISPETTO DEI PARAMETRI MACROECONOMICI DI MAASTRICHT NON È SERVITO A SCHIVARE I COLPI DELLA CRISI ECONOMICA

Finita la Syysloma, la festa di metà autunno (le scuole chiuse per una settimana), i finlandesi sono tornati a fare i conti con la dura realtà economica e occupazionale. Il rigoroso rispetto dei parametri macroeconomici di Maastricht non è servito a schivare i colpi della grave crisi economica e sociale che sta investendo i paesi l’Eurozona. Mantenere il rapporto tra debito e Pil entro il limite massimo del 60 per cento, sia pure con la repentina impennata di questi ultimi anni (dal 35,2 nel 2007 al 57 nel 2013) e contenere il deficit di bilancio sotto il 3 per cento del Pil, oscillando tra il 2,5 del 2009-10 e il 2,1 del 2013 (dopo i surplus del biennio 2007-08: +5,3 e + 4,3%), non sono serviti a rendersi invulnerabili alle logiche del mercato. Il prodotto interno lordo, dopo il crollo del 2009 (-8,5%) e la vigorosa ripresa degli anni 2010-11 (+3,4 e +2,8), nell’ultimo biennio ha registrato valori negativi (-1 e -1,4).
La decrescita del Pil, dovuta soprattutto al declino dei comparti industriali tradizionali (elettronica di consumo e cartario-forestale) e alla dipendenza da una domanda estera cedente, specie della Russia, e i ritardi nelle riforme strutturali annunciate (tagli alla sanità, riforma delle pensioni, incentivi alla mobilità del lavoro, contenimenti salariali), sono alla base della perdita del triplo A del debito sovrano finlandese da parte di Standard&Poor’s.
A preoccupare i finlandesi è però soprattutto l’impasse occupazionale. Più rilevante di quanto non appaia dalle statistiche ufficiali, potrebbe finire per intaccare il livello di sicurezza sociale raggiunto al caro prezzo di una pressione fiscale al 45,5 per cento. Un accreditato istituto di ricerca economica di Helsinki (Pellervon Economic Research Institute, PTT) stima che la “disoccupazione effettiva” sia assai più elevata di quella dichiarata: includendo anche coloro che hanno rinunciato a cercare lavoro (disoccupazione nascosta), la percentuale dei senza lavoro sale al 12 per cento della popolazione attiva, non lontana dal nostro 12,6, oltre il doppio di quella tedesca (5,1), quasi quattro volte quella norvegese (3,3). I soggetti che non cercano più un’occupazione sono in crescita: ad agosto erano 149mila, 25 per cento in più rispetto all’anno prima. Il protrarsi del calo delle esportazioni, della produzione industriale e della domanda di forza lavoro da parte delle imprese, spinge i disoccupati a lasciare il mercato del lavoro: considerando inutili gli sforzi per trovare un’altro posto, si dedicano alla famiglia, tornano a studiare e frequentano corsi di formazione professionale grazie anche ai sussidi statali. La mancata ripresa economica rischia però di dilatare oltre misura la “disoccupazione strutturale” determinando una perdita netta di capitale umano che in Finlandia è altamente qualificato grazie all’elevato livello di istruzione media della popolazione.
Un aumento del pil di almeno l’1,5 per cento nel 2015, con massicci investimenti nei comparti innovativi del terziario avanzato, segnerebbe l’avvenuta inversione della tendenza recessiva in atto: le previsioni non vanno però oltre lo 0,5 per cento. Così la sopravvivenza del generoso modello di welfare finlandese, che l’invecchiamento della popolazione rende un bene sempre più prezioso, è in bilico. Finora aperto non solo a tutti i cittadini ma anche a tutti i residenti, con particolare cura per bambini (giochi, asili e scuole gratis ovunque) e loro genitori, l’attuale sistema di assistenza sociale ha garantito un equo benessere contribuendo allo sviluppo di una cultura della solidarietà e del buon governo, cui non è estranea la presenza attiva della chiesa luterana: la Finlandia é ai livelli più bassi della corruzione secondo l’indice di Transparency International.
Il partito conservatore di Jyrki Katainen, ex premier e neo vice presidente della Commissione Europea, considera i sussidi pubblici troppo costosi, un deterrente alla ricerca di lavoro, e punta a drastici ridimensionamenti ritenuti risolutivi della crisi economica. Il governo di coalizione, nel timore di diffuse resistenze popolari, temporeggia. Ufficialmente resta in attesa del Rapporto sulle future opzioni di politica economica che il premier conservatore, Alexander Stubb, ha chiesto di redigere non al proprio ministro delle finanze Antti Rinne (socialdemocratico) bensì all’ex ministro delle finanze svedese Anders Borg che lo consegnerà solo a ridosso delle elezioni politiche di aprile.
Diversità strutturali, culturali e ambientali ci distinguono da un Paese con una popolazione dieci volte più piccola e con una superficie del 20 per cento più grande. Tuttavia la positiva esperienza finlandese nel campo dei diritti sociali e delle loro tutele, nell’erogazione dei servizi pubblici e nella qualità della vita, merita attenzione. Nel ripensare la nostra politica economica, governo e parlamento, oltre agli interventi per il rilancio degli investimenti, dovrebbero scegliere non di contrarre ma di rafforzare i livelli di protezione sociale già conquistati estendendoli più equamente a tutti i cittadini. E per reperire le risorse basta leggere le relazioni della Corte dei Conti sulla lotta alla corruzione e all’evasione fiscale.
Alessandro Monti, il Fatto Quotidiano 5/11/2014