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 2014  novembre 04 Martedì calendario

PASOLINI ESCONO LE LETTERE (1953-65) CHE LO SCRITTORE-REGISTA INVIAVA A CESARE PADOVANI, APPENA SCOMPARSO


La macchina sfreccia «a tutta velocità» sulla strada statale che passa per Ferrara, verso Ortisei. Nell’abitacolo c’è Pier Paolo Pasolini. Estate 1955. Atterrato a Villa Prenker, piglia la penna. La scrittura è nervosa e verticale. «Non vorrei che il mio libro ti avesse scosso troppo violentemente e ti avesse con troppa brutalità posto di fronte a certi aspetti della vita che tu non conosci». Pasolini sta parlando di Ragazzi di vita. «Non dovrebbe - secondo la morale corrente - essere un libro per ragazzi: soprattutto per un ragazzo come te (e com’ero io, alla tua età)». Sta scrivendo a uno dei suoi primi discepoli. Si chiama Cesare Padovani, abita a Novagra. Due anni prima, il 16 maggio del 1953, Pasolini ne fa la sua preda: «Scusa se intervengo così, sconosciuto e irrichiesto, nella tua vita» Su Oggi ha letto alcune poesie di Padovani, in dialetto veronese. Così, di getto, il geniale scrittore, che ha da poco compilato, per Guanda, la decisiva antologia sulla Poesia dialettale del Novecento, scrive al ragazzino.
Cosa spinge Pasolini, in procinto a diventare Pasolini, il più scandaloso scrittore italiano del secondo Novecento, a scrivere a un paraplegico di 15 anni con il tic per la poesia? La furibonda ansia di Pasolini di cannibalizzare la vita. Nello specifico, la chiave di volta è la dedica che PPP graffia su una copia di Tal cour di un frut: «A Cesarino Padovani come a un antico me stesso miracolosamente nuovo». Nel precoce genio del paraplegico, Pasolini rivede se stesso: la fuga nella poesia in dialetto («Devi sapere che anche io a diciotto anni ho cominciato a scrivere dei versi in dialetto»), la diversità. Radicale, radiosa («La mia malattia non era fisica né nervosa, ma psicologica»). Pasolini vuole in Cesarino un discepolo obbediente. E lo trova. Padovani segue i suoi dettami («Ti consiglio senz’altro il Ginnasio e il Liceo»), ne è sedotto (nel 1965 si laurea con una tesi sulla poetica di Pasolini, a Bologna, relatore Luciano Anceschi, «la tua tesi era molto bella», risponde PPP), ne realizza gli ordini estetici («Credo di capire che in te prevarrà la vocazione critica su quella poetica»). Padovani, artefice di una folgorante stagione intellettuale ai margini dell’impero, a Rimini, insieme a Piero Meldini e a Giuseppe Bonura (futuri premi Strega e Campiello), è stato, in effetti, saggista anticonformista, autore, negli anni ‘70, di due testi, La speranza handicappata e Handicap e sesso: omissis, che sbrindellavano i luoghi comuni, trattando, per la prima volta, ferocemente, i rapporti tra diversità assoluta e eros.
Il legame epistolare con Pasolini, pubblicato in parte da Nico Naldini nei due volumi Einaudi delle Lettere di PPP (ormai introvabile), durato dal 1953 al 1965 (nell’ultimo biglietto «Uccellacci e uccellini mi occupa», mugola Pasolini, «sto scrivendo poi tanto, nottetempo e nelle mattine domenicali»), risorge nel volume, tra poco edito da Guaraldi, Da uomo a uomo (pagg. 264, euro 15), insieme a trenta racconti di Padovani.
Il quale non ha potuto ammirare l’esito del suo lavoro: Cesarino, geloso del suo manipolo di lettere pasoliniane, è mancato, a 75 anni, un paio di settimane fa. Trasuda affetto e violenta vitalità, il grumo di lettere, narra mille momenti mancati (ad esempio, la gita a Padova, «Vi devo vedere Giotto: sarebbe assai bello andarci insieme»). E un paio di consigli letterari da tatuarsi sul petto. Primo: «Non divenire subito merce». Secondo: «Sii geloso di quello che fai, abbine un assoluto pudore». Lo spudorato Pasolini ritiene che nel pudore riposi il carisma del genio. Bello.