Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 04 Martedì calendario

SE LA SCIATTERIA È PEGGIO DI UNA CATTIVA SENTENZA

Caro Augias, quando da piccola litigavo con mio fratello, il tribunale di famiglia, nelle vesti dei genitori, ci interrogava, ci ascoltava e decideva. Quasi mai ero del tutto innocente, spesso venivo redarguita, a volte punita. Ricordo l’umiliazione della sconfitta davanti a mio fratello, la mia frustrazione. Ma quando quella sensazione svaniva e tornavamo a sorriderci, quello che restava scolpito nella mia testa era la consapevolezza che una giustizia suprema e imparziale vegliasse sulle nostre vite. Leggendo i giornali a proposito di Stefano Cucchi, mi chiedo se il senso di giustizia che ci aspettiamo di trovare al di fuori delle nostre famiglie sia ancora un bene riconosciuto da chi la giustizia dovrebbe garantirla. Mi chiedo se le regole di questo nuovo “gioco” di cui tutti facciamo parte siano ancora lì per garantire a tutti, al di là delle nostre colpe o debolezze, che il male non resti impunito; che le autorità garantiscano l’ordine tra i cittadini, che il carcere allontani dalla società persone colpevoli punite secondo la legge, che negli ospedali i medici svolgano il loro lavoro sapendo che per molti pazienti sono loro a fare la differenza tra la vita e morte.
Alessandra Sano
Le parole del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone ridanno un minimo di credibilità alle istituzioni. Non credo che la Corte d’Assise d’Appello abbia emesso la sentenza d’assoluzione in malafede o sotto pressioni indebite. Credo al contrario che quei giudici abbiano davvero ritenuto di non avere prove sufficienti per condannare guardie carcerarie, infermieri, medici. Per questi ultimi ribaltando un giudizio di primo grado così netto che le assicurazioni avevano già risarcito i danneggiati. Se non i giudici dove cercare allora le responsabilità? Nelle varie articolazioni dello Stato, cioè nelle indagini mal fatte: sciatteria, inadeguatezza, superficialità dilettantesca. Sul verbale d’arresto è scritto che Stefano Cucchi era nato in Albania e si trovava in Italia senza fissa dimora. Talmente nota la sua “dimora” che in quel momento era già stata perquisita. L’ipotesi è che il militare abbia utilizzato un modulo già compilato per un altro caso, senza rendersi conto del suo errore. Il primo giudice nell’atto di convalida dell’arresto nega i domiciliari proprio perché l’imputato è “senza fissa dimora”. Cucchi venne duramente picchiato. Al medico del carcere dice d’essere caduto dalle scale; gli imputati lo fanno quasi sempre. Per poterlo incontrare i genitori dovevano essere autorizzati ma era un fine settimana e l’autorizzazione arrivò solo il lunedì. Troppo tardi, quel giorno stesso Cucchi moriva. Ho citato solo alcuni passaggi di queste “indagini”. La realtà che rivelano è peggiore di una sentenza scritta in malafede.
Corrado Augias, la Repubblica 4/11/2014