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 2014  novembre 04 Martedì calendario

L’ALGORITMO FISCALE DI GOOGLE

L’autore del libro lo dice in premessa: «Google era stata invitata a questa discussione. Ma non sono stati disponibili a partecipare».
Il gigante di Mountain View era però presente, eccome, al dibattito sul libro di Ruben Razzante – Informazione: Istruzioni per l’uso. Notizie, Rete e tutela della persona – ieri a Milano. Un convitato di pietra chiamato in gioco dalla stretta attualità dei fatti: una legge approvata in Spagna la scorsa settimana sulla proprietà intellettuale concede agli editori la possibilità di chiedere agli aggregatori di notizie un pagamento per l’utilizzo di link che rimandano ai propri contenuti, anche attraverso titoli, i cosiddetti snippet.
La norma, definita subito "Google Tax", entrerà in vigore il 1° gennaio 2015 e ancora non sono chiari i passaggi attuativi. Chiara è invece la posizione di Google – contraria e in valutazione rispetto a tutto ciò che sta accadendo, hanno fatto sapere – ma anche degli editori spagnoli e non solo. «La questione – ha spiegato il presidente della Fieg, Maurizio Costa – è molto semplice. Google utilizza contenuti di altri per creare traffico e vendere pubblicità. Alcuni dati, anche se non confermati, parlano di un miliardo di giro d’affari in Italia grazie alla pubblicità. In pratica quanto tutta la raccolta di quotidiani e periodici italiani. E alla fine quanto paga al fisco? Poco, per tutte le questioni legate alle fatturazioni dalla sede estera».
Da qui il punto legato alla «necessità di dare trasparenza all’algoritmo» alla base delle indicizzazioni, ma anche di «pagare il diritto d’autore» per quanto si dovrebbe e di «allinearsi sul fronte fiscale», dice Costa. Tutte questioni che Google ha contestato più volte nel merito, va detto, facendo presente che Google News va visto come uno stimolatore di traffico e clic, perché ci sono dei meccanismi di revenue sharing, e che sul fronte fiscale la multinazionale segue le regole condivise a livello internazionale. «Se necessario si cambino», è stato più volte detto in Google, da Eric Schmidt in giù.
Certo, il discorso è complesso e «siamo davanti a temi nuovi generati dall’evolversi di tecnologie che hanno posto e stanno ponendo problemi delicatissimi», ha detto Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale, con una precisazione: «Siamo dinanzi ad argomenti nuovi e il più grande errore sarebbe quello di resistere all’innovazione e al nuovo. Questo è un tema sul quale ci giochiamo il futuro del nostro Paese».
Il discorso, volenti o nolenti, va a finire sul capitolo regole. «Le opportunità diventano insidie quando la libertà degli operatori si sgancia dalla responsabilità», dice Razzante. E quindi cosa fare per non cadere nella iper-regolamentazione o nella mancata regolazione? Un tema su tutti: quello del diritto all’oblio. Dal primo giugno scorso, da quando cioè la sentenza della Corte di giustizia europea sul diritto all’oblio è diventata esecutiva, i motori di ricerca hanno messo a disposizione degli utenti i moduli per richiedere la rimozione di link che contengono informazioni personali. «È giusto che debba essere una società, peraltro estera, a decidere cosa debba essere tolto o meno dalla rete?» si è chiesta Augusta Iannini, vicepresidente Autorità Garante per la protezione dei dati personali.
Ma il diritto all’obilio è solo uno dei punti. Dalle intercettazioni, alla riconoscibilità dell’informazione qualificata anche nel mare magnum della Rete le questioni aperte dal «2.0» sono tante. E la contesa fra editori e Google è aperta. «Siamo favorevoli alla legge spagnola e rilevo come ci sia una presa di coscienza comune e trasversale degli editori in vari Paesi», dice ancora il presidente Fieg, Maurizio Costa. «Ci sono un’informazione e dei professionisti – aggiunge – il cui diritto d’autore merita di essere rispettato. La definizione delle regole non è una battaglia di retroguardia. E non è una ricerca di equilibri conservatori e reazionari».
Andrea Biondi, Il Sole 24 Ore 4/11/2014