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 2014  novembre 04 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - RENZI CHE LITIGA CON L’EUROPA


DAGOSPIA
Nel giorno delle stime, va in scena la prima, violenta, frattura tra la Commissione Ue e il governo italiano. «Vorrei sapere da lei, presidente Juncker, cosa pensa del premier italiano che non vuole farsi dettare la linea dai tecnocrati di Bruxelles», chiede il capogruppo del Ppe al Parlamento europeo Manfred Weber al presidente della Commissione Jean Claude Junker.
E la risposta arriva subito, dura: «A Renzi dico che non sono il capo di una banda di burocrati: sono il presidente della Commissione Ue, istituzione che merita rispetto, non meno legittimata dei governi. Sono sempre stato convinto che i Consigli europei servano per risolvere i problemi, non per crearli. Personalmente prendo sempre appunti durante le riunioni, poi sento le dichiarazioni che vengono fatte fuori e spesso i due testi non coincidono».

LA STAMPA
MARCO ZATTERIN
Nella sfera a dodici stelle si legge che, purtroppo, tutto va come ci si attendeva: la recessione quest’anno sarà un po’ peggio di quanto si prevede sulle rive del Tevere - 0,4% contro meno 0,3 -, mentre per il 2015 si accettano le stime italiane di una ripresina («timida») da 0,6 punti di pil, dinamica alimentata soprattutto dalla domanda esterna.
Luci e ombre emergono invece nella gestione di cassa. Per quella ordinaria, il giorno per giorno, il documento previsionale di autunno diffuso stamane dalla Commissione non delinea grossi problemi. Si accetta che il rapporto fra deficit e pil sarà inferiore al 3 per cento quest’anno.
Tuttavia si disegna un cammino di riduzione decisamente più lento rispetto a quello promesso da Roma: 2,7% nel 2015 (contro 2,2), 2,2% nel 2016 (contro 1,8). Il che, alla lunga, contribuirà ad avere effetti non graditi dall’Ue sulla gestione di medio termine e sugli andamenti strutturali (al netto del ciclo e delle una tantum) e sul debito.
L’Italia s’è impegnata a un saldo strutturale dello 0,9 per cento nel 2015 e dello 0,4 nel 2016, con l’obiettivo di arrivare al pareggio nel 2017, un anno più tardi di quanto si è accettato di fare a Bruxelles. I tecnici dell’esecutivo sono più pessimisti: il saldo strutturale 2016 è previsto un punto sotto lo zero. Il che, a volerlo rispettare e salvo accordi di flessibilità da negoziare nel frattempo, fa almeno 15 miliardi di correzione.
La crescita che non c’è. E’ colpa degli investimenti che non hanno bilanciato la lenta ripresa dei consumi privati cominciata a fine 2013. Questione di umore, dunque. “L’indebolimento del clima di fiducia - nota la Commissione - suggerisce che l’attività rimarrà debole nella seconda metà dell’anno». Ci attende che la migliorata vigilanza bancaria riduca l’incertezza sui mercati finanziari e ravvivi il flusso del credito.
Per questo Bruxelles calcola «una modesta ripresa che s’inizi nel 2015 e si rafforzi nel 2016», quando il pil potrebbe crescere dell’1,1 per cento (0,1 in più di quanto dicono a Roma, ma meno 0,1 rispetto alla previsioni di primavera). Il rischi al ribasso sono legati alla domanda internazionale (se ritardasse la ripresa) e un possibile aumento dei tassi di interesse che potrebbe frenare gli investimenti.
L’occupazione? Va male. nel 2015 il 12,4 per cento della forza lavoro sarà inattiva, come nel 2014. L’anno successivo si potrebbe scendere a 12,4. Il dramma continua, a meno che le riforme non abbiamo un effetto concreto rapido e superiore alle aspettative.
Conti pubblici. La spesa primaria crescerà in termini nominali dell’uno per cento l’anno, dice la Commissione, «sostenuta dalle misure per i lavoratori a basso reddito», mentre «il riconoscimento di imponenti crediti fiscali delle banche peserà sul conto capitale».
Le entrate «miglioreranno marginalmente» rispetto al 2013, per mezzo dell’aumento dell’Iva e della tassa sulle proprietà che compenseranno la caduta del gettito delle imprese. Alla luce del recente Def, il deficit 2015 è atteso al 2,7 per cento del pil, «nuovamente sostenuto dal calo della spesa per interessi».
La spending review avrà effetti sia sul conto capitale che sulla spesa corrente, ma questa «aumenterà soprattutto» per gli 80 euro decisi dal governo Renzi, mentre i salari pubblici resteranno fermi. Nonostante il taglio del cuneo fiscale, Bruxelles prevede un aumento della pressione fiscale legata «a un aumento delle tasse “corporate” e a una maggiore ritenuta sulle rendite finanziarie». Se non muteranno le politiche, il deficit 2016 sarà pertanto al 2,1 per cento del pil, contro lo 0,8 promesso dal governo Renzi.
E il debito? La Commissione lascia intendere che non ci siamo, che i conti di medio termine richiedono ancora manutenzione. In rapporto con il pil, il passivo storico repubblicano è stata rivisto al ribasso di 4.7 punti alla luce del cambiamento delle norme per la valutazione contabile in vigore da settembre.
«L’avanzo primario atteso è ancora insufficiente per correggere il coefficiente del debito, per colpa della crescita nominale piatta e del pagamento degli arretrati dovuti alle imprese. Il picco sarà toccato nel 2015, nonostante gli incassi delle privatizzazioni (mezzo punto di pil), quindi si ridurrà nel 2016 grazie alla ripresina e al surplus primario.
Resta una domanda. Riuscirà l’Italia a raggiungere il pareggio di bilancio promesso che l’Europa voleva per il 2015, e che Roma ha promesso prima per il 2016 e poi per il 2017? Bruxelles non lo scrive nelle previsioni. Ma a guardare solo i numeri - e senza sapere davvero quale sarà il ritorno delle riforme ambiziosi di Renzi - è difficile credere che ci si possa arrivare senza altri interventi.
Tra i maggiori Stati membri della zona euro, la Commissione individua, in sintesi estrema, margini di crescita in Spagna, dove però l’occupazione resta molto alta; una crescita destinata all’arresto in Germania, dopo un primo trimestre molto forte, una stagnazione duratura in Francia e una contrazione in Italia.

GLAUCO BENIGNI
DAGOSPIA
LARRY PAGE, CO-FONDATORE DI GOOGLE: “I computer faranno sempre più lavoro, e questo cambierà il modo in cui concepiamo il lavoro stesso. Non c’è niente da fare”
IL CAPITALE STA BATTENDO IL LAVORO
Glauco Benigni per Dagospia
Con la caduta del Muro di Berlino, l’Arbitro invisibile registrava sulla lavagna della Storia la fine della partita "Guerra Fredda Classica" e la vittoria ai punti dell’Impero USA e dei suoi Alleati. A seguito dello storico evento la "Sinistra mondiale classica", quella che aveva letto Marx e Lenin e che aveva usato Mosca (talvolta) quale bussola del sogno evolutivo, si ritrovò a navigare a vista.
Erano i primi anni ‘90 e la Silycon Valley aveva già in gran parte assunto il ruolo di territorio dove fiorivano le Botteghe del Rinascimento Digitale. Sì, certo! Qualcuno in quell’occasione disse: "Peccato, la sinistra ha perso perché Marx non poteva immaginare l’avvento del microchip". Pensava di scherzare ai limiti dell’assurdo ... in realtà stava affermando una certa dose di verità in progress.
I Sindacalisti, gli Accademici, i Politici, gli Economisti... che avevano fondato le loro carriere e le loro aspettative sul fatto che, nell’estenuante braccio di ferro tra Lavoro e Capitale, il primo avrebbe inevitabilmente avuto soddisfazione e riconoscimento, osservavano la neonata Era Digitale come un fenomeno "sovrastrutturale", uno dei tanti possibili tsunami di nuove conoscenze e pratiche che comunque, dopo la sua manifestazione acuta, avrebbe solo confermato, nel tempo, una solo grande verdetto: El Pueblo Unido Jamas Sarà Vencido .
Il Lavoro Vincerà. I Partiti della Sinistra Classica e i sindacati che difendono il Lavoro avevano nel loro DNA la certezza della Vittoria finale ... il Capitale Demonio non prevalebunt sulle Forze Vitali incarnate in miliardi di lavoratori. Dipendenti sì, ma indispensabili alla produzione di ricchezza. Indispensabile al progresso.
Era così che pensava la Sinistra Classica, quella che aveva - senza dubbio - contribuito alla evoluzione/emancipazione della Classe Operaia e in gran parte anche della Classe media .
Si considerava una Forza planetaria organizzata, incardinata con il fior fiore degli intellettuali a sua disposizione che sparavano in continuazione sui Ricchi, sui Padroni, sui Capitalisti e che riuscivano, grazie alle loro critiche, ad ottenere anche premi Nobel e Pulitzer.
Certo qualche dubbio cominciava ad insinuarsi vista la performance di storici comunismi quali quelli russo e cinese, ma, diceva la Sinistra Classica: "Dove vuoi che va il Capitalista? Si agita, cerca nuovi mercati, si inventa la World Trade Organization ma DEVE produrre merci, quindi torna al tavolo delle trattative. Eppoi ci ha la Crisi Ciclica, ci ha la Caduta Tendenziale del Saggio di Profitto ... l’ha scritto Carletto nel Capitale!"
Le cose però a partire dai primi anni ‘90 non sarebbero andate proprio così. Intanto la Rivoluzione Digitale si sarebbe installata nelle case e nelle teste di quei miliardi di lavoratori e avrebbe cambiato loro la visione del futuro; la stessa Rivoluzione Tecnologica e Digitale si sarebbe finanziata non grazie al plus valore classico ma al plus valore generato nelle Borse e specialmente al Nasdaq; il piccolo plusvalore individuale si sarebbe generato da tastiera; l’automazione avrebbe condotto a quantità di merci - molto più scadenti ovviamente - prodotte con forza lavoro inferiore; invece della caduta del Saggio di Profitto ci sarebbe stata la Caduta del Costo dell’Ora Lavoro.
Il tutto - e anche qualcosa di più - dovuto alla cosiddetta Tecnologia, all’Era o Rivoluzione Digitale e alla sottovalutazione dei suoi effetti da parte della cosiddetta Sinistra classica .
Qui in Italia l’ex PCI, PdS, DS, Ulivo e succedanei, seppelliti Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer mise in piedi una Cosa "indicibile" e cominciò la lunga marcia verso la socialdemocrazia apparentemente equidistante tra Lavoro e Capitale.
Ma anche qui la definizione mitologica di Capitale mostrava, al suo interno, una serie infinita di nervature che appannavano il concetto mirabilmente vivisezionato nel secolo scorso. Il Capitale trasmutava nel Liberismo Anarchico, giustificava riaffermava se stesso nei Media mainstream e nella Rete , pur lasciando ampi spazi al dissenso ma di fatto impadronendosi del timone della Storia.
Come ha fatto? Intanto recuperando nei supermercati tutto ciò che aveva ceduto in fabbrica grazie alla creazione di stili di vita forsennati, grazie alla contrapposizione generazionale. Andò così fino al 2008 ... a quel punto il mondo del lavoro e le famiglie e i partiti e le associazioni di difesa furono tutti chiamati al duro confronto con sua Maestà la Crisi.
I diversi Governi ormai retti da maggiordomi ossequiosi delle Elite Planetarie cominciarono a muoversi su una nuova parola d’ordine: fiscalizzare. Le esili Sovranità vennero travolte dai Trattati Internazionali e la Sinistra ossequiosa dell’idea di Stato, contraria per dogma al lavoro nero cominciò a condurre i lavoratori al confronto terribile con il Fiscal Compact.
Oggi cosa resta di quella Sinistra che aveva in gran parte ispirato l’emancipazione dal mondo del bisogno al mondo delle libertà? La sequenza ibrida di Monti, Letta, Renzi . Resta un PD fatto di uno strano vertice ossequioso della NATO, della salvezza delle banche, che invoca sacrifici per tutti.
Si può intravedere in tutto ciò un effetto perverso della tecnologia e della Rivoluzione Digitale? Sì certo, ma l’effetto si coniuga anche con la crisi del dollaro, con le guerre imperiali, con la sterzata di Putin e con l’espansionismo commerciale della Cina .
Quale Sinistra potrebbe esserci in un mondo in cui vale la legge "Chi prende il piatto ha ragione?"

I RIMPROVERI DI BANKITALIA
La Banca d’Italia promuove la legge di Stabilità - «può contribuire ad allontanare il rischio di una spirale recessiva», apprezza il taglio del cuneo fiscale avviato con il bonus Irpef, ma avverte: l’anticipo del Tfr in busta paga deve essere temporaneo. Il vice direttore generale di Palazzo Koch Luigi Signorini, ieri in audizione alla Camera, ha spiegato che in caso contrario la previdenza complementare potrebbe non riuscire a «integrare il sistema pensionistico pubblico, soprattutto per i giovani», la categoria che più facilmente va in cerca di liquidità. Ancora Signorini: per i redditi bassi l’anticipo «aggrava il rischio di ricevere in futuro pensioni non adeguate». Bene il rinvio del pareggio di bilancio, giusto «per scongiurare un aggravarsi della recessione».



visco ignazio visco ignazio

Anche senza recessione, usciremo dalla crisi a passo di lumaca. Così dicono le Prospettive per l’economia italiana nel biennio 2014-2016 pubblicate ieri dall’Istat (anche l’Istat è stato nel pomeriggio in audizione alla Camera). Nel 2013 il Pil si attesterà a -0,3%, l’anno prossimo arriverà +0,5, nel 2016 potrebbe chiudere a +1%. Ritmi che non accelereranno, sempre secondo l’Istat, con la legge di Stabilità. I suoi benefici si sentono quest’anno, mentre per 2015 e 2016 avrà un «effetto nullo».



LUIGI SIGNORINI LUIGI SIGNORINI

Gli stimoli, aumenti di spesa, e riduzione della pressione fiscale (il bonus da 80 euro), saranno compensati con la clausola di salvaguardia che prevede l’aumento dell’Iva nel 2016. Lo stesso Istat dice invece che finalmente ripartono i consumi: dopo tre anni di calo, quest’anno la spesa delle famiglie quest’anno crescerà dello 0,3%, nel 2015 dello 0,6 e nel 2016 dello 0,8. Non sono risultati da scattista, come non lo saranno quelli del mercato del lavoro: s’intravedono «i primi segnali di stabilizzazione», ma il tasso di disoccupazione continuerà a crescere per tutto il 2014 (si attesterà a 12,5%, tre decimi in più rispetto al 2013), per poi tornare a scendere nel 2015 (al 12,4%) e nel 2016 (al 12,1%): ogni decimale vale circa 50mila occupati.



RAFFAELE SQUITIERI RAFFAELE SQUITIERI

Alla Camera è poi venuto il turno della Corte dei Conti. Il presidente Raffaele Squitieri ha sottolineato «il rischio che Regioni ed Enti locali siano indotti a compensare l’ulteriore riduzione dei trasferimenti con un aumento dell’imposizione decentrata», rischio rilevato anche da Bankitalia. Lo stesso Squitieri ha ricordato che «nell’ultimo decennio le addizionali Irpef sono aumentate in misura significativa». Il gettito è quasi raddoppiato fino ai 15 miliardi del 2013, l’incidenza sul reddito medio dichiarato è passata dall’1,4 all’1,7%, con punte del 2,6 nelle Regioni sottoposte a piano di rientro. Secondo Squitieri «la crescita potrebbe accelerare ancora nel 2015, quando sarà possibile completare il percorso di aumento dell’addizionale regionale ritoccando l’aliquota di un punto».