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 2014  novembre 04 Martedì calendario

NELLO STATO DI FACEBOOK. SE IL SOCIAL FOSSE DAVVERO UNO PAESE SAREBBE IL SECONDO PIÙ POPOLOSO AL MONDO, FORTE DEL SUO MILIARDO E TRECENTO MILIONI DI ABITANTI, SECONDO SOLTANTO ALLA CINA. LA CAPITALE È MENLO PARK, IL PIL 280 MILIARDI DI DOLLARI, IL PRESIDENTE È MARK ZUCKERBERG CHE, GIOVEDÌ, RISPONDERÀ AL POPOLO IN UN QUESTION TIME PUBBLICO. PER CONNETTERE E CAPIRE IL MONDO, E COSTRUIRE UN’ECONOMIA DEL SAPERE BASATA SUI PRIMI DUE PRECETTI. UNA MISSIONE CIVILIZZATRICE


Benvenuti nello Stato di Facebook. Definire il social network di Zuckerberg un Paese, molto presto, potrebbe non essere solo un’iperbole giornalistica. La tesi arriva dal Financial Times . Si parte dai numeri, sconvolgenti. Già, perché se Facebook fosse davvero uno Stato sarebbe il secondo più popoloso al mondo, forte del suo miliardo e trecento milioni di abitanti, secondo soltanto alla Cina. La capitale è Menlo Park, il Pil 280 miliardi di dollari, il presidente è Mark Zuckerberg che, giovedì, risponderà al «popolo» in un Question time pubblico.
Al leader non mancano visione strategica e linea politica. Per Cory Ondrejka, vicepresidente del settore ingegneristico di Facebook, le fondamenta di tutto sono tre pilastri-obiettivo: connettere e capire il mondo, e costruire un’economia del sapere basata sui primi due precetti. La dimensione social, stando anche a quello che scrive in «The Facebook Effect» David Kirckpatrick, per il leader è superata. In un discorso pubblico due anni fa era menzionata 24 volte, ora in un intervento in Indonesia il vocabolo ha fatto la sua comparsa solo in due frasi. Per i sostenitori, quella di Mark è una missione civilizzatrice che comprende anche progetti benefici come Internet.org per portare la connessione nel cuore dell’Africa. Per altri è solo sete di potere e denaro. Secondo Kate Losse, ex dipendente di Facebook che ha stigmatizzato l’approccio maschilista del colosso in un libro dal titolo «The Boy Kings», Zuckie era solito ripetere ai dipendenti una frase dal sapore capitalista: «La cosa migliore che bisogna fare se si vuole cambiare il mondo è fondare un’impresa».
Animato dalle migliori intenzioni o avido che sia, Mark, proprio come altri suoi colleghi del settore tech, ha in mano tutte le carte per cambiare il mondo.
Nella Silicon Valley non è un mistero che a Facebook stiano pensando di creare comunità online di supporto con cui mettere in contatto gli utenti che soffrono della stessa malattia. In progetto ci sarebbe anche un’applicazione di prevenzione con consigli per migliorare lo stile di vita degli utenti, strategia consigliata dalla moglie Priscilla che già nel 2012 convinse Mark a introdurre la possibilità di indicare sulla propria pagina l’opzione «donatore di organi».
Dal cuore si passa al portafogli. Grazie alle rivelazioni di Andrew Aude, studente e sviluppatore della Stanford University, Messenger — la chat da poco resa obbligatoria per chi vuole comunicare attraverso Facebook — potrà essere usata per transazioni economiche. Basterà connettersi al proprio profilo per pagare l’affitto o fare un bonifico. E non è finita. «Facebookland» ha anche potere in materia di educazione e sapere. Con Graph Search si sta infatti cercando di capire come trasformare il social network in un motore di ricerca, su cui trovare immagini, dichiarazioni, informazioni sfruttando la geolocalizzazione.
E non importa se tutti questi pilastri hanno al loro interno una crepa chiamata privacy. Di recente, Zuckerberg ha dovuto fare una concessione al suo popolo. Ossia permettere di connettersi a Facebook con Tor, sistema di comunicazione crittografata per navigare senza essere identificabili, usato anche in quei Paesi, dalla Cina all’Iran, dove la Rete non è libera.
Una mossa che è un cerotto sulla bocca di chi, come Snowden, ha sempre dipinto il suo regno come il male. E un gesto magnanimo, da perfetto monarca democratico.