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 2014  ottobre 31 Venerdì calendario

BAGNOLI 2014, L’ULTIMA TRUFFA


[dati: vedi scheda 2291931]

NAPOLI. Prima dei politici, sul sogno miliardario di Bagnoli Futura trattano i camorristi. È il 14 novembre 1991. Carmine Alfieri, latitante, riunisce la Cupola di Nuova Famglia nel suo covo. Uno degli otto colonnelli, Antonio Malventi, figlio di Zì Felice padrino dell’area flegrea in contatto con Cosa Nostra, avverte: «Bagnoli sta bene dov’è». Tradotto: è Cosa Mia. Nel viaggio di ritorno da Nola, sulla Nazionale delle Puglie, è bloccato da un commando e ucciso a bordo della sua Clio nera blindata, al volante un poliziotto privato in divisa. L’alleanza degli otto clan si dissolve poco dopo, Alfieri arrestato, pentiti e retate cambino gerarchie e obiettivi, la camorra che l’aveva visto in anticipo rimane fuori dall’affare. Caso davvero raro in Campania.
Sono passati 23 anni, la nuova Cannes da costruire dove gli altiforni avevano trasformato in ghisa e scorie liquido quasi un secolo di acciaio, è solo uno scandalo di 200 ettari, verde ribelle e impianti fuori uso come un centro benessere da 40 milioni, una colata di euro sprecati ed ora sotto le luci della magistratura. È intanto fallita la società pubblica di trasformazione, Bagnolifutura, aprendo uno scontro totale nella Napoli che conta: giudici contro giudici, procura e curatela in sinergia. Comune e Regione su sponde opposte, Stato contro Stato. Con Bagnolifutura si ferma un allegro carrozzone di politici e burocrati, alcuni oggi imputati nel processo per truffa allo Stato da 136 milioni. Società pubblica con Cda da 11 membri, presidente il magistrato in pensione Omero Ambrogi. Con 53 dipendenti, ora licenziati, pagati fino a 120 mila euro l’anno. Duecentomila al direttore generale, Tommaso Antonucci, area Pd. Conti che Raffaele Cantone, commissario anticorruzione, ha già chiesto in copia.
Sul progetto mai portato a termine in oltre 20 anni si leva anche un allarme: le analisi di tre laboratori – Chelab a Treviso, Theolab a Torino, Maxxam in Canada – scoprono sostanze cancerogene sversate in mare. A Bagnoli tra Coroglio e Nisida, «l’isola che non c’è» della canzone di Bennato. Dove c’è sempre un divieto di balneazione, e dove ogni estate la Napoli dei poveri continua a tuffarsi.
Nel quartiere che si sentiva «prossima fotocopia della Costa Azzurra», con la corsa alla speculazione ed il frenetico acquisto di vecchie case a prezzo triplo, tutto è fermo. Vecchio. Inaridito. I disoccupati e i centri sociali aspettano il 7 novembre Matteo Renzi, che il 14 agosto a Napoli inserì Bagnoli nello SbloccaItalia. «Non possiamo lasciare in queste condizioni un patrimonio di così rara bellezza». Manifesti dagli studenti di Iskra, che si fonde nei locali disabitati di Villa Medusa con i Disoccupati Bagnolesi in testa Mariotto, cantante tappezzato di tatuaggi, ex Officina 99, che a Renzi si prepara a dire: «Chi ha ingoiato amianto finora, deve mangiare pane».
Stefania Buda è una signora della Napoli bene. Ha dato fondo a tutta la sua tenacia di pm per indagare su Bagnoli, non è stato facile. Partì dalla denuncia di una donna malata e poi morta di tumore. Il nuovo capo della procura Giovanni Colangelo ed il procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso hanno fatto da scudo. Dissequestrata dal tribunale, l’area è di nuovo bloccata dal Riesame. Ha accolto il ricorso di Fragliasso e Buda. Né si ferma il processo a 19 imputati per truffa aggravata, disastro ambientale, falso, abusiva miscelazione di rifiuti pericolosi, l’ultima ipotesi di reato emerge nelle analisi e nelle intercettazioni dei carabinieri del Noe, che collaborano con il pm Buda dal 2007. Spiega il procuratore Fragliasso: «Iniziata del 2007 e interrotta per mancanza di fondi nel 2012 da Bagnolifutura, si ritiene che la bonifica anziché sanare i suoli abbia aggravato lo stato di inquinamento. Come? Attraverso il riporto e il riutilizzo di materiale inquinante, le morchie oleose, dagli strati inferiori a quelli in superficie». In altre parti, si mette in dubbio la bonifica, costata 136 mlioni su 268 deliberati. Precisa Fragliasso: «Le analisi hanno accertato lo sversamento in mare di inquinanti cancerogeni». Si conoscono gli acronimi: Ipa e Pbc, o idrocarburi policiclici aromatici e policlorobifenili. Irrisolta la questione della colmata, descritta da Fragliasso come «vasta area prospiciente il mare formata nel tempo da scarti di lavorazione industriale che presenta massicce dosi di sostanze inquinanti».
È un isolotto ad alto rischio attaccato alla terraferma, sulla linea di costa. Fallì con il porto di Piombino l’accordo per la rimozione. Il processo coinvolge gli ex vicesindaci Sabatino Santangelo e Rocco Papa, il dg del Ministero dell’ambiente Gianfranco Mascazzini, dirigenti di Comune e Bagnolifutura, che intanto è fallita. Fatale forse l’irruenza istituzionale del sindaco Luigi De Magistris che il 13 dicembre 2013 ordina in 60 giorni la rimozione della colmata a Fintecna, società Iri che aveva rilevato i suoli. Il ricorso di Fintecna è bocciato dal Consiglio di Stato, ma poco dopo la società ottiene il fallimento di Bagnolifutura (Comune proprietario al 90 per cento). Il vicesindaco Tommaso Sodano, che ha ricucito in questi anni infiniti strappi, il 29 maggio corre dai giudici della Fallimentare, implora una sospensione, ma trova già in sala d’attesa Vincenzo Moretta, presidente dei Commercialisti, una figura nota nella professione, già commissario all’Ordine di Milano. Moretta guida la curatela con avvocati e commercialisti: Francesco Fimmanò, Mario Marobbio, Giovanna Carnieri e Francesco Palmieri. Trova debiti per 200 milioni (70 Fintecna, 69 Monte dei Paschi, 20 De Vitia Tranfers, oltre ai ricorsi dei 53 dipendenti licenziati) ma deve garantire con sei tecnici una gestione dinamica: arginare tre fonti di veleni. Una falda sotterranea, l’area dell’Ex Eternit con amianto e la temutissima colmata. Ma trova anche una Spa di lusso estremo costata 40 milioni e mai utilizzata, un parco dello sport da 13 milioni con campi e piste inagibili, istituti mai aperti per la cura delle tartarughe e, guarda un po’, per lo studio del mare. Secondo Moretta, mancando i fondi per bonificarla, la colmata può essere lasciata lì, ma messa stavolta davvero in sicurezza. Secondo una stima ufficiosa, «con cento milioni si può riprendere il progetto e salvare quello che c’è, oggi fuori uso». Dall’ultima colata degli altiforni, 2 ottobre 1990, si è perso il conto di miliardi di lire e milioni di euro sprecati. Mario Di Lucci, pescatore di 63 anni, leader di Arcimare, irriducibile difensore di Bagnoli dice che tutto è sano («Mangio ancora oggi cozze crude, quali veleni?») ma denuncia gli sperperi: «Sabbia buona coperta da sabbia sporca con un apparecchio comprato per ripulirla, scogli neri pagati per sostituire i bianchi, altri piazzati male che non proteggono dal maestrale, ma creano la secca tra scoglieraespiaggia».
Non finisce qui. Se Caldoro e la Regione aspettano Renzi, De Magistris non tollera che il Governo mandi un commissario. «C’è il rischio di rifare Mani sulla città, come nel film di Rosi». L’ex sindaco Riccardo Marone, amministrativista di grido, intravede questo rischio: «C’è un assurdo giuridico». La sua tesi: il commissario nominerà un soggetto attuatore che rileverà i suoli e pianificherà, espropriando il Comune che ha l’esclusiva titolarità degli strumenti urbanistici. Potrà sostituirsi quindi al Consiglio comunale e coinvolgere anche i «proprietari di suoli limitrofi».
È un gratuito esercizio di fantasia, ma a Napoli fanno rilevare che tra i «limitrofi suoli» c’è l’ex Cementir, riconducibile al Gruppo Caltagirone. Il Governo ruba una funzione al Comune? La procedura è giustificata solo in questo caso. Perché il Ministero dell’Ambiente rileva «il grave stato di degrado».
Ma nella città di Eduardo, i colpi di teatro non finiscono mai. Quest’area al centro di saccheggi, processi, illusioni, progetti e speculazioni è stata appena dichiarata per i possibili fenomeni vulcanici della vicina Solfatara Zona Rossa. Fermate tutto, Bagnoli può attendere.
Antonio Corbo