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 2014  ottobre 31 Venerdì calendario

MIO PAPA’, RAGAZZO DELLA CURVA B

Squilla a vuoto la prima volta, come al solito. Alla seconda, pure. Poi finalmente chiama lui. «È succies’ coccosa? ». Babbo non si smentisce mai, sempre in apprensione. Lo rassereno: «Pensavo, dopo 35 anni di interviste, forse è ora di farne una con tuo figlio...». Silenzio, di quelli che parlano. Sa meglio di me quanto mi imbarazzi questa richiesta, che nasce un po’ come un gioco, ma che al termine della chiacchierata prende davvero forma. In fondo domani c’è Napoli-Roma, la nostra partita. Napoletani trapiantanti da quasi trent’anni nella Capitale. «Un’intervista tu a me? E va’ ». Mio padre è Nino D’Angelo. Per molti un simbolo di Napoli, per altri l’ex caschetto d’oro, per altri ancora l’autore dell’Inno del Napoli. Potevo ereditare tante cose da lui, magari la voce o la vena artistica. Alla fine ho fatto mia la sua seconda passione: l’amore per il calcio. Quante domeniche insieme buttati sul divano davanti alla tv: «Mangiamo all’intervallo, prima ce sta o’ Napule », si raccomandava papà, con mamma a cronometrare i tempi al piano di sopra per mettere a tavola al triplice fischio. E quanti Napoli-Roma: «Ti ricordi quando tuo fratello, piangendo, mi chiese di chiamare a Maradona all’intervallo per dirgli che doveva vincere, altrimenti a scuola lo avrebbero preso in giro?», mi dice ridendo. Questo era Napoli-Roma a casa D’Angelo, alla fine degli anni Ottanta. C’era ancora il gemellaggio, era il derby del Sud e lo sfottò era l’hobby preferito dai tifosi nei bar.
Da piccolo mi hai fatto conoscere tanti giocatori. Da Maradona a Giordano, da Corso ad Ancelotti, da Agostinelli a Bruscolotti. Adesso ne incontri meno.
«È vero, ma sono invecchiato, esco poco. Mi spiace per esempio non aver mai incontrato Totti, il più forte giocatore italiano degli ultimi vent’anni e grande uomo. Però ho giocato tanti derby del cuore di beneficenza contro Bruno Conti, un altro re di Roma. E oggi sono amico di De Sanctis. L’ultima volta che ho visto Morgan abbiamo parlato un po’ di questa tensione che c’è tra le tifoserie, siamo d’accordo sul fatto che bisogna fare qualcosa».
E i giocatori del Napoli?
«Di questa squadra conosco solo Insigne, l’unico napoletano. Poi mi fanno impazzire Higuain e Callejon, anche se dirlo adesso dopo i gol sbagliati a Bergamo in effetti stona un po’».
Nel tuo film «Quel ragazzo della curva B» c’è una scena in cui si vedono fiumi di auto con bandiere del Napoli dirette allo stadio Olimpico…
«Era l’anno del primo scudetto, girammo delle scene dentro e fuori dallo stadio, portai anche tuo fratello con me. Allora era tutto diverso, una festa del Sud, ci chiamavamo “cugini”. Roma e Napoli erano la risposta del meridione al potere del Nord. Due realtà molto vicine, due tifoserie che facevano della fede e l’amore per la maglia una ragione di vita. Ed era una festa».
E cos’è cambiato in questi anni?
«Non so come sia successo, ma di colpo le frange estreme dei tifosi hanno cominciato a covare odio. Napoli-Roma non è più una festa e dallo scorso maggio sarà sempre ricordata come la partita di Ciro Esposito. Non importa chi vince, perché quella maledetta notte del 3 maggio abbiamo perso tutti».
Dalla finale di Coppa ti sei allontanato dal calcio.
«Quella partita non si doveva giocare. I tifosi sono importanti come società e giocatori. Una squadra senza tifosi è come il calcio senza pallone. Non vale niente. Oggi c’è un’aria incazzata e menefreghista. Cosa hanno fatto le società in questi mesi? Niente. Mi aspettavo che organizzassero degli incontri tra le parti, coi giocatori più rappresentativi a metterci la faccia nel tentativo di rasserenare gli animi e mettere fine a questa assurda guerra».
E invece si giocherà senza tifosi ospiti.
«Ed è anche per questo che non sento più mia questa sfida. La morte di Ciro mi ha scosso troppo. La vita viene prima di tutto. La vita è vita, di un napoletano, come di un romanista o un veronese. Non si tocca. E invece tutto va avanti come non fosse successo nulla: il calcio è diventato un business, una questione di soldi più che di fede. Ai tifosi vendono gadget, maglie, pantaloncini, ma poi nessuno si preoccupa di loro».
In che senso?
«Ho tanti amici romani e romanisti, gente perbene e meravigliosa che incontro tutti i giorni. Come noi napoletani. La grande maggioranza dei tifosi è brava gente. E allora perché le società non scelgono qualcuno che li rappresenti? Responsabilizziamo i tifosi buoni e allontaniamo i violenti. Le società devono rappresentare i tifosi e i tifosi i club. Tutti responsabili delle proprie azioni. Coni e Figc dovrebbero fare delle leggi in questa direzione. Magari torneremo a riempire gli stadi e un papà potrà sentirsi libero di portare un figlio senza avere paura».
Quindi domani niente stadio.
«Debutto al PalaPartenope con il nuovo spettacolo. Ma non ci sarei andato lo stesso. Non è più la mia partita».
Va bene, allora ci vediamo domani sera.
«Sì, ma se il Napoli perde non parliamo di calcio». Deluso, ma in fondo sempre tifoso.