Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 31 Venerdì calendario

È IN CEMENTO E MATTONI L’OPERA PIÙ BELLA DI VERDI


«Questa profonda quiete mi è sempre più cara. È impossibile trovare località più brutta di questa, ma d’altronde è impossibile che io trovi per me ove vivere con maggior libertà». Così Giuseppe Verdi scriveva nel 1858 all’amica Clara Maffei parlando della villa di Sant’Agata. Dove, sette anni prima, nel 1851, quando ancora la grande casa non era diventata propriamente una villa, si era trasferito a vivere insieme con Giuseppina Strepponi, in fuga da Busseto e dalla gente che aveva scatenato contro «la concubina» (si sposeranno solo nell’agosto del 1859) ogni genere di maligni pettegolezzi. Di Giuseppina si sapeva che aveva avuto due amanti e dei figli, affidati agli orfanotrofi. (In fondo, come ha scritto Gaia Servadio, «la vera traviata» era lei). Verdi era vedovo dal 1840, da quando la moglie Margherita, figlia del possidente bussetano Barezzi che era stato il generoso mecenate del giovane musicista, era morta, pochi mesi dopo aver perso due figli, Virginia e Icilio. La Strepponi, che già aveva cantato nella prima opera verdiana rappresentata alla Scala (Oberto conte di San Bonifacio, 1839), aveva condiviso, nel 1842, il trionfo scaligero del Nabucco nel ruolo di Abigaille. La relazione fra i due diventerà una cosa stabile a Parigi, nel 1848, da qui la decisione di tornare insieme in Italia, a Busseto, dove Verdi aveva comprato un palazzo signorile.

Le istruzioni ai muratori. Un trasloco di pochi chilometri (ma era anche un cambio di provincia: Busseto è in provincia di Parma, Villanova sull’Arda, dove si trova la villa, è in provincia di Piacenza) che significava però prendere le distanze da quel borgo di gente meschina. E poi quella casa doveva essere, per Giuseppina, anche un modo per dimenticare la pessima accoglienza che Busseto le aveva riservato. Ma lei, forse, quella casa non riuscì mai ad amarla veramente. Lì tutto era regolato secondo i voleri del Maestro, anche il giardino su cui all’inizio Giuseppina aveva fatto dei progetti. Niente da fare, un po’ di spazio per i fiori ma nemmen tanto, al resto pensava Verdi che nella sua incessante attività piantava alberi, disegnava viali, creava un laghetto artificiale (Giuseppina rischiò di affogarci!), una grotta, una ghiacciaia. E quando tra i due arrivò Teresa Stolz, la prima Aida, la donna che tutti dicevano fosse l’amante di Verdi, lui la invitava alla villa senza troppo curarsi dei sentimenti della moglie.
Lì, in campagna, la coppia trascorreva primavera e inizio autunno; fra luglio e agosto andavano a passare le acque a Montecatini, d’inverno stavano a Genova, in una casa che guardava il mare che a lei piaceva tantissimo. In una lettera Giuseppina ricorda i primi tempi, con i lavori in casa, quando non si sapeva dove ricevere gli ospiti e i muratori, diretti personalmente da Verdi, creavano nuove stanze, due terrazze, un porticato, una cappella. Instancabile, il Maestro seguiva anche le terre che via via veniva acquistando, introducendo nuove colture, migliorie tecniche, rivoluzionari sistemi di irrigazione.

Un aiuto ai braccianti. A questo Verdi “musicista e architetto” (la dicitura è dell’editore e amico Giulio Ricordi) è dedicato il libro pubblicato da Allemandi, con le fotografie di Francesco Maria Colombo e testi di Carlo Majer e Alessandro Turba. Colombo, già critico musicale per il Corriere, è da anni direttore d’orchestra. Nonché fotografo. Che visita tre luoghi verdiani: Sant’Agata, l’Ospedale di Villanova d’Arda e la Casa di riposo per musicisti di Milano. Un viaggio di cinquant’anni nella vita del musicista, dal 1851 (è l’anno di Rigoletto) al 1901, la morte a Milano e la sepoltura nella cripta della Casa di riposo. Di Sant’Agata, Colombo preferisce fotografare il giardino (gli alberi con la neve gli ricordano il primo atto del Don Carlo, la foresta invernale di Fontainebleau). C’è il laghetto, con una barca tirata a riva, ci sono i grandi viali, con il loro gioco di ombre e di luci. Quando arrivava l’inverno, diceva Giuseppina, quel luogo non le piaceva, troppo cupo e buio, perciò tirava le tende a fiori per coprire le finestre.
1851-1901. Mezzo secolo in cui cambiano tante cose, l’Italia viene unificata sotto i Savoia, la capitale passa da Torino a Firenze e infine (1871) a Roma, ai governi della Destra storica succede la Sinistra di Depretis con il suo trasformismo, nascono le prime lotte di braccianti e operai. Eletto nel primo Parlamento italiano (1861), Verdi nel 1865 non si ricandida. Nel 1874, comunque, sarà nominato senatore. Ma si tiene alla larga dalla politica, a suo giudizio troppo lontana dalla gente (nelle sue lettere da Sant’Agata registra il malcontento contro la Legge sul macinato, istituita da Quintino Sella nel 1869 e rimasta in vigore fino agli anni 80). Conosce la miseria dei braccianti (molti dei lavori che fa nella villa e nelle sue terre, confessa, servono solo a dare un salario a chi non ha lavoro). Dona molti soldi, ogni anno, in beneficenza. Vede le tragiche condizioni di salute dei contadini, colpiti dal vaiolo, dalla malaria, dalla pellagra. Per questo decide di costruire un ospedale nel comune di Villanova sull’Arda, che sarà inaugurato nel 1888. Giulio Ricordi lo descrive come «un edificio semplice e severo, ma senza alcun carattere di tristezza». Verdi si era sostituito all’architetto e aveva diretto i lavori personalmente, informandosi, a Milano, dei requisiti dei moderni ospedali. Dopo la donazione al Comune, continuerà a occuparsi della gestione anche con notevoli contributi di danaro.
L’ultima opera è la Casa di riposo per musicisti a Milano, in piazza Buonarroti, che Verdi definiva «l’opera mia più bella». Acquistato il terreno nel 1889, per la costruzione viene incaricato l’architetto Camillo Boito, fratello del poeta e compositore Arrigo, che ha scritto il libretto di Otello (1887) e sta scrivendo quello di Falstaff (1893). La planimetria – un grande edificio neoromanico – viene approvata nel 1895: comprende 75 camere, 50 singole e 25 doppie, per cento ospiti. Verdi impone solo una condizione: che i primi ospiti entrino dopo la sua morte. Intanto, nel novembre 1897, muore Giuseppina. Meno di quattro anni dopo, il 27 gennaio 1901, anche Verdi muore. Viene sepolto nel Cimitero Maggiore. Ma già il 27 febbraio la sua salma e quella della moglie vengono traslate nella cripta della Casa di riposo, decorata con i mosaici eseguiti sui cartoni del pittore Lodovico Pogliaghi (a cui Colombo dedica grandi fotografie). Quei mosaici erano stati pagati da Teresa Stolz.