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 2014  ottobre 31 Venerdì calendario

ORGOGLIO GAY. DAL COMING OUT DI ELLEN DEGENERES A QUELLO DI TIM COOK, L’OMOSESSUALITÀ NON SEMBRA PIÙ ESSERE UN TABÙ EPPURE L’83 PER CENTO DEGLI AMERICANI NASCONDE IL PROPRIO ORIENTAMENTO SESSUALE QUANDO VARCA IL PORTONE DELL’AZIENDA IN CUI LAVORA

«Considero l’essere gay come uno dei più grandi doni che Dio mi ha dato». Con questa frase Tim Cook, il chief executive di Apple e l’erede di Steve Jobs, diventa il più importante top manager americano ad avere fatto il suo coming out. La decisione del 53enne Cook corona un’evoluzione dei costumi che in poco tempo ha cambiato l’America. Vivere apertamente la propria omosessualità ormai non è più un comportamento trasgressivo, non è più una libertà limitata a categorie speciali come gli artisti. È l’establishment del capitalismo Usa ad abbracciare la parità dei diritti e la trasparenza sulle preferenze sessuali. La California ne ha fatto una forza: l’attrazione che la Silicon Valley sprigiona verso i talenti creativi del mondo intero, deriva anche dalla sua apertura ad ogni forma di diversità. La rivelazione di Cook giunge al culmine di altri gesti significativi: da anni Apple, Google, Facebook e altre aziende digitali partecipano ufficialmente al Gay Pride di San Francisco; e offrono ai propri dipendenti assicurazioni sanitarie che includono l’assistenza medica ai partner dello stesso sesso. Non è solo il capitalismo digitale, da sempre progressista sui diritti civili, ad avere abbattuto le barriere. Sul terreno valoriale non è da meno Wall Street: i vertici di Goldman Sachs versarono donazioni generose per la campagna sui matrimoni gay. La scelta del coming out (l’espressione completa e` “coming out of the closet” cioè venir fuori dall’armadio, dalla clandestinità) è un rito simbolico importante, che ha consentito di abbattere una dopo l’altra le resistenze sulla parità dei diritti. Non è mai stato facile per nessuno, ma per alcune categorie, professioni, o gruppi etnici, è stato ancora più difficile che per altri. Nel mondo dello spettacolo i coming out sono più antichi – gli artisti erano comunque ai margini della società rispettabile, da sempre: ai tempi di Moliere gli attori di teatro non avevano diritto alla degna sepoltura e finivano nelle fosse comuni. Ma Hollywood fu dominata a lungo da una cultura puritana, si ricorda lo shock della morte per Aids di Rock Hudson (1985) la cui omosessualità era stata nascosta. I coming out delle star del cinema arrivano prima e più spesso fra le donne che fra gli uomini: per questi ultimi si teme che l’omosessualità dichiarata possa intaccare l’immagine di sex-symbol presso il pubblico femminile. Ma anche tra le donne i coming out fino ad anni recenti sono inversamente proporzionali alla celebrità: Jodie Foster solo nel 2013 cede alle pressioni della comunità lesbica e si dichiara. Un’asimmetria analoga si nota nel mondo dell’informazione: la conduttrice di talkshow Ellen DeGeneres finisce sulla copertina di Time già nel 1997 (titolo: “Yep, I’m gay”) ma il suo collega maschio Anderson Cooper della Cnn lo fa nel 2012. Tra gli sportivi, la tennista Billie Jean King è la prima ad aprirsi nel lontano 1981, una vera pioniera, e il suo esempio spinge Martina Navratilova a fare lo stesso poco tempo dopo (ma solo dopo avere ottenuto la cittadinanza americana). Per i maschi è più difficile: un atleta uomo deve fare i conti con gli stereotipi “macho” tra molti dei suoi fan. Eppure anche lì negli ultimi anni è un crescendo. Il pugile Orlando Cruz si dichiara nel 2012. Il campione di basket Jason Collins nel 2013 quando gioca nei Celtics è il primo cestista della Nba che fa outing mentre è ancora in attività. Tra gli ostacoli da superare ci sono le tradizioni culturali di alcune comunità etniche. Afroamericani e ispanici sono tra i più restii: per come percepiscono il ruolo del maschio; o per ragioni religiose. Perciò un esempio trainante verso la comunità ispanica lo dà Ricky Martin, la star della musica pop di origine portoricana, che si dichiara omosessuale nel 2010. Tra gli afroamericani la battaglia è stata ancora più difficile. Nel 2008 durante la sua prima campagna elettorale per la Casa Bianca, Barack Obama andò appositamente nella chiesa di Martin Luther King ad Atlanta, a denunciare l’omofobia persistente tra i neri e in particolare tra i loro leader religiosi. Un anchorman televisivo afroamericano, Don Lemon della Cnn, nel fare il suo coming out nel 2011 ha ammesso: «Essere gay e` la cosa peggiore nella cultura nera». A maggior ragione la comunità gay americana ha una gratitudine profonda per Obama: sa quanto è stato arduo per il primo presidente afroamericano, diventare anche il primo presidente che ha appoggiato apertamente e poi legalizzato a livello federale i matrimoni gay. Senza togliere meriti a Obama, i sondaggi dimostrano che lui ha saputo interpretare una travolgente metamorfosi dell’opinione pubblica. Il parere degli americani sui matrimoni omosessuali si è spostato in modo spettacolare in pochi anni. Lo scarto generazione è impressionante, le ultime sacche di resistenza si ritrovano nella popolazione anziana, mentre fra i giovani i matrimoni gay ottengono un consenso schiacciante. La vicenda di Tim Cook ricorda però che l’evoluzione del costume non impedisce la sopravvivenza di pregiudizi tenaci, ostilità e paure. In fondo il suo coming out dovrebbe fare notizia perché tardivo. Nella California dove nacque il movimento per i diritti dei gay, insieme con le punte avanzate dell’ambientalismo e del femminismo, il movimento hippy e l’attrazione verso il buddismo zen, il chief executive più potente del mondo (per capitalizzazione di Borsa) ha dovuto aspettare fino all’ottobre del 2014? Lo stesso Cook ha sentito il bisogno di giustificarsi: «Siamo già una delle aziende più osservate del mondo, mi piace concentrare l’attenzione sui nostri prodotti ». Indirettamente ha esposto le proprie attenuanti: l’essere cresciuto in una delle zone più retrive e bigotte d’America, l’Alabama. In un discorso pubblico ha paragonato l’oppressione dei neri e quella dei gay, un tema caro anche a Obama. La vicenda di Cook riporta alla ribalta anche l’avanzata irregolare e incompleta dei diritti dei gay nei luoghi di lavoro. Una recente inchiesta della Deloitte, citata sul New York Times, rivela che a tutt’oggi l’83% dei gay americani nasconde il proprio orientamento sessuale quando varca il portone d’ingresso dell’azienda in cui lavora.
Federico Rampini, la Repubblica 31/10/2014