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 2014  ottobre 31 Venerdì calendario

LA TV DETECTIVE

«Ormai siamo un popolo di allenatori e di detective» scherza Federica Sciarelli, circondata dalla redazione (una squadra tutta di donne, solo sei uomini). Chi l’ha visto?, fenomeno della grigia stagione di RaiTre, nasce in un appartamento del quartiere Prati di Roma. Mercoledì sera (al centro della puntata il caso Elena Ceste) con 3 milioni e mezzo di spettatori (15,13% d share, con punte del 20%) è stato il programma più visto della serata, più di Velvet, la fiction di RaiUno e del film Quasi amici su Canale 5. La realtà batte la finzione. Il pubblico si ritrova nel programma che fotografa l’Italia; certi volti e certi salotti spiegano dolore e aspirazioni, da Nord a Sud, meglio di tanti trattati sociologici. «È un programma che sa parlare a tutti con un racconto appassionato, sempre sobrio, autentico e di vero servizio pubblico» dice il direttore di Rai- Tre Andrea Vianello. C’è un piccolo festeggiamento, tra le videocassette e i faldoni dei casi (da Via Poma alle Bestie di Satana), mentre i telefoni squillano. «La segreteria è sempre accesa, si fanno i turni, c’è sempre qualcuno, anche d’estate» racconta la Sciarelli, «sì, ci portiamo il lavoro a casa. Non può che essere così e non si lavora qui per caso. Scatta l’empatia dal momento in cui un redattore risponde: il segreto è chiedere subito, con garbo, tutto. Più elementi hai della persona scomparsa e più ti fai un’idea». Decine di teste annuiscono. «Troppe volte vengono fatte male le ricerche» spiega la conduttrice «vanno fatte “a compasso” per poi restringere il campo. Contano i dettagli. Nel caso Ceste un signore ha notato che mancava un pezzo di telo, potrebbe essere quello con cui è stato avvolto il corpo. La nostra è davvero una trasmissione interattiva ».Caporedattrice, interna Rai, da quando la Sciarelli è arrivata al programma, nel 2004, ha riaperto i cold case e messo in primo piano le inchieste. «Venivo dai telegiornali, per i tg l’ascolto non è un problema, non chiudono se vanno meno bene. Non sapevo cosa fosse lo share in prima serata. Il primo giorno, il panico: “Ditele di andare più lenta, parla troppo veloce”. Facemmo il 15%, nessuno disse più niente».Andrea Camilleri non si perde una puntata, gli sceneggiatori s’ispirano ai casi. Il pubblico è femminile, fedele, misto per età con un’alta percentuale di laureati. «Non facciamo cronaca, proviamo a raccontare il Paese. Si parla tanto di femminicidio, c’è un atteggiamento retrogrado insopportabile nei confronti delle donne. Capita che vengano dati giudizi sommari, che chi indaga si soffermi sull’aspetto delle ragazze. Noi non ci fermiamo mai alle voci o all’apparenza, cerchiamo di capire. E poi, purtroppo, la storia è sempre un’altra e quei padri, quelle madri, quei figli, avevano ragione ad avere brutti presentimenti. Non è un paese per donne. Il lavoro che non si vede, le telefonate agli inquirenti, alle famiglie, sono ripagate solo dalla frase: “Meno male che ci siete voi”. Seguiamo i casi di cui nessuno si occupa, sulla baby gang della Balduina abbiamo indagato subito: perché il figlio dell’avvocato è libero dopo che un ragazzo è quasi morto ammazzato? Aspetto la risposta».Arriva la notizia che nell’ospedale di Baggiovara (Modena) è stato ritrovato un corpo, forse è quello di Primo Zanoli, ricoverato e sparito nel nosocomio nel 2011. Si crea un momento di silenzio. «Ecco, questo è il classico caso in cui non hanno dato retta ai familiari» riflette la giornalista «ma dove poteva andare?». Il rapporto con le forze dell’ordine com’è? «C’è grande collaborazione, ma siamo molto autonomi quando andiamo alla ricerca della verità. Il caso Aldrovandi l’abbiamo tirato fuori noi. Facciamo “servizio pubblico” anche se non c’è scritto da nessuna parte. Dalla mattina alla sera se un familiare chiama, ed è isterico addolorato stanco, tutti rispondiamo gentilmente. Abbiamo deciso noi di inserire tra gli scomparsi i malati di Alzheimer». Qualcuno dice che Chi l’ha visto? supera il confine, emettendo giudizi. «Chi dice che facciamo i processi in tv non vede il programma. Ma è vero», sorride la Sciarelli «qualche volta li facciamo. Quando ripetevo: “Danilo Restivo è malato”, lo dicevo perché era vero: era un assassino. Poniamo problemi, che è molto molto diverso».
Silvia Fumarola