Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 31 Venerdì calendario

IN TANTI DICONO IL CONTRARIO, MA LA FED NON HA STAMPATO NEPPURE UN DOLLARO IN PIÙ PER RILANCIARE L’ECONOMIA USA

Il Corriere della sera ha scritto ieri che la politica del quantitative easing con cui la Federal Reserve ha rilanciato l’economia Usa ha comportato la stampa di oltre 3.500 miliardi di dollari. Affermazioni simili sono state fatte anche da alcuni economisti che frequentano i talk show. Nulla di più sbagliato. Per quella politica, la Fed non ha stampato neppure un dollaro dal 2008 ad oggi, e il Tesoro Usa non ci ha rimesso neppure un centesimo. A dirlo è Ben Bernanke, il presidente della Fed (2006-2014) che ha ideato e messo in pratica il quantitative easing, esperienza a cui ha dedicato un libro appena uscito («La Federal Reserve e la crisi finanziaria»; il Saggiatore). Una lettura istruttiva sotto ogni punto di vista, economico e politico, da raccomandare soprattutto a saputelli arroganti come il presidente della Bundesbank, Jens Weidman, che continua ad opporsi ai tentativi della Bce di Mario Draghi di attuare nell’eurozona la stessa politica espansiva della Fed.
I risultati americani parlano chiaro. All’inizio della crisi, la Fed deteneva buoni del Tesoro Usa e Mbs (mortage backed securities) per 890 miliardi di dollari. Per rilanciare l’economia, per sei anni ha acquistato ogni mese ingenti quantitativi di questi titoli, portando il totale di portafoglio a 4.500 miliardi di dollari. Ora che l’economia Usa si è ripresa (la disoccupazione è scesa al 5,9%), la signora Janet Yellen, subentrata in febbraio a Bernanke, ha deciso di porre fine agli acquisti.
Come sono stati pagati i 3.50 miliardi di titoli? Scrive Bernanke: «La risposta è: con l’accredito delle somme corrispondenti sui conti bancari degli investitori che li hanno venduti. Questi conti bancari figurano come riserve che le banche detengono presso la Fed in appositi conti di deposito (detti conti di riserva). La Fed, infatti, funge da banca per i normali istituti bancari. Quindi, in sostanza, la Fed ha pagato l’acquisto dei titoli incrementando le riserve che le banche detenevano nei propri conti presso la Fed stessa». Traduzione: la Fed, di suo, non ha speso neppure un dollaro.
«Di quando in quando si sente dire che la Fed stampa moneta cartacea per pagare l’acquisto di titoli» scrive Bernanke. «Questa affermazione non va presa alla lettera: non è che ogni volta che acquista titoli, la Fed metta in moto le rotative. L’ammontare di banconote in circolazione non è stato influenzato dai programmi di quantitative easing». Come si spiega? «I conti di riserva, detenuti dalle banche presso la Fed, rappresentano un’attività per il sistema bancario, una passività per la Fed, e sono lo strumento con cui la Fed paga l’acquisto di titoli. Il sistema bancario ha un consistente volume di riserve, che però rappresentano una semplice partita contabile. Sono iscritte nel bilancio della Fed, e non costituiscono circolante. Fanno parte della base monetaria, ma non sono denaro contante». Dunque, zero dollari stampati.
Ma gli acquisti della Fed, essendo depositati nei conti di riserva delle banche, come hanno potuto avere un effetto propulsivo sull’economia reale? Spiega Bernanke: «L’idea di fondo (suggerita dalle tesi monetariste di Milton Friedman) è semplice: con l’acquisto di buoni del Tesoro o Mbs, la Fed riduce la disponibilità di questi titoli sul mercato, costringendo gli investitori ad accontentarsi di un rendimento più basso. Per dirla in altro modo, se l’offerta di questi titoli diminuisce, gli investitori sono disposti a pagare un prezzo più alto per acquistarli, e il prezzo e il rendimento di un titolo sono inversamente correlati».
Più avanti: «Acquistando Treasury, iscrivendoli a bilancio e riducendone la disponibilità sul mercato, la Fed ha di fatto ridotto i tassi d’interesse dei titoli del Tesoro a lunga scadenza, come pure quelli degli Mbs. Inoltre, la minore offerta di Treasury e di Mbs ha indotto molti investitori a privilegiare altri tipi di titoli, come le obbligazioni societarie, spingendone al rialzo il prezzo, e al ribasso il rendimento. Per effetto complessivo di tali dinamiche, si è registrata una diminuzione dei rendimenti di una vasta gamma di titoli. Come al solito, un calo dei tassi d’interessi produce un effetto di stimolo all’economia». Insomma, sottolinea soddisfatto Bernanke, «con questa forma di politica monetaria non convenzionale puntavamo a ridurre i tassi di interesse, e in generale ci siamo riusciti». Il che «ha favorito la crescita e la ripresa».
Quanto al Tesoro Usa, sostiene Bernanke, non ci ha rimesso neppure un dollaro: «Gli acquisti di titolo effettuati dalla Fed non costituiscono una forma di spesa pubblica. I titoli acquistati, presto o tardi vengono rivenduti sul mercato. La Fed guadagna un interesse sui titoli, quindi realizza un profitto. Negli ultimi tre anni abbiamo trasferito circa 200 miliardi di dollari di tali profitti al dipartimento del Tesoro, che li ha impiegati per ridurre il deficit. Queste operazioni non provocano un aumento del disavanzo pubblico, ma piuttosto una sua diminuzione».
Che dire? Semplice quanto geniale. Al confronto, insistere in Europa con la politica di austerità made in Germany, rischia di apparire non solo frutto di miopia culturale, ma anche una manifestazione di arroganza criminale.
Tino Oldani, ItaliaOggi 31/10/2014