Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 30 Giovedì calendario

NON È ANCORA UN GRANDE AFFARE DI STATO


Prendi un bene architettonico inutilizzato, lo metti a gara e individui investitori privati che, trasformandolo in un complesso turistico a cinque stelle, lo recuperino e offrano opportunità di sviluppo per il territorio. Magari senza necessariamente venderlo, ma ricorrendo all’intervento di società di gestione del risparmio pubbliche o alla formula dell’affidamento cinquantennale.
Sta tutto qui il senso del programma Valore Paese con il quale l’Agenzia del Demanio, a partire dal 2012, ha provato a mettere a frutto l’immenso patrimonio immobiliare di pregio di proprietà dello Stato e degli Enti locali, prevenendo in questo modo le polemiche che nel nostro Paese arrivano puntuali quando si tratta di dismettere beni pubblici. C’era un modello preciso cui ispirarsi: quello dei paradores spagnoli e delle posadas portoghesi, antiche formule di successo tuttora assai efficaci in terra iberica. Con un obiettivo ambizioso: mettere a gara, entro fine 2014, 45 complessi immobiliari di valore superiore ai 400mila euro cui se ne sarebbero dovuti aggiungere altri 48 nel biennio 2015-2016. In portafoglio, poi, altri 115 immobili di altri Enti che hanno aderito al progetto. Una “proposta” importante cui il mercato non ha tuttavia risposto secondo le aspettative perché, finora, sono andate in porto soltanto due operazioni: l’esperimento pilota di Villa Tolomei a Firenze, concessa alla cordata composta da MetaResort e IsHotel-Luxury Hotel Management, e quello dei vecchi caselli daziari dell’Arco della Pace a Milano, andati a un pool di imprese guidate da Pessina Costruzioni. Su tutti gli altri fronti si sono viste ipotesi esotiche, pourparler e qualche offerta rispedita al mittente perché giudicata insoddisfacente. La palla passa adesso a Roberto Reggi, neo direttore del Demanio che, a quanto pare, cambierà registro: la valorizzazione del patrimonio pubblico dovrebbe passare attraverso il conferimento dei beni a Invimit e Cdp Investimenti Sgr, società di gestione risparmio del ministero dell’Economia e della Cassa depositi e prestiti. Con l’intento di recuperare il tempo che – a causa di crisi di mercato e credito – si è perso. Nella lettera inviata ai dipendenti dell’Agenzia sulle linee programmatiche del suo mandato, Reggi ha messo in cima alla lista delle priorità «valorizzare al meglio i beni dello Stato con il criterio dell’efficienza, della tutela e del rispetto per l’ambiente», ma anche «dare il buon esempio e convincere gli investitori privati nazionali e internazionali a scommettere sul futuro del nostro Paese». Gli esperti di settore si interrogano intanto sulle ragioni che hanno determinato l’impasse: «La crisi non ha aiutato – commenta Riccardo Delli Santi, presidente dell’Associazione italiana dei giuristi di diritto immobiliare – ma il vero problema sta nel timore di scommettere sullo Stivale da parte dei grandi investitori internazionali. Che, quando parlano dell’Italia, lamentano due criticità: mancano società di gestione del patrimonio affidabili come partner e non esistono strumenti come il contratto fiscale in grado di garantire la redditività nel tempo». Grossi nomi intorno ai bandi di Valore Paese non sono mai mancati. Per la Villa Favorita di Ercolano, dimora barocca che ospitò Paolina Bonaparte e Ismail Pascià prima di diventare sede della banda musicale della scuola di polizia penitenziaria, si è parlato per esempio dell’emiro del Qatar. Potrebbe permettersela, considerando anche i circa 40 milioni necessari a una conversione turistica, ma accetterebbe di investire su una struttura che dopo 50 anni torna allo Stato? Il Comune di Todi ha partecipato al progetto con i castelli di Petroro e Montenero di proprietà di due suoi Enti di secondo livello, per un valore contabile rispettivo di 3,8 milioni e 4 milioni. «Anche in questo caso – secondo il sindaco Carlo Rossini – l’interesse dei privati non è mai mancato, ma le gare finora bandite per Petroro non hanno portato a molto, nonostante la struttura medievale sia già stata messa a nuovo con investimenti pubblici da 3,4 milioni». Qualcuno, come Fabio Menicacci, sindaco di Soriano nel Cimino (Viterbo), già valuta alternative: «Il castello che domina la cittadina – spiega – è proprietà demaniale. Ogni anno ci costa 38mila euro di affitto, più le spese di manutenzione. Dopo due gare deserte, intendiamo aprire una pratica di fiscalismo demaniale». C’è in ultimo chi, come Antonio Di Tullio, assessore al Turismo di Roccascalegna (Chieti), ancora spera in Valore Paese per «fare del nostro borgo medievale un albergo diffuso, partendo da una decina di immobili di proprietà comunale». E i privati interessati a investire? «Finora niente – risponde – ma qui ci sono privati cittadini che metterebbero a disposizione degli investitori anche i loro immobili, nel caso il progetto andasse in porto». Per chi non l’avesse capito: non manca l’offerta, ma la domanda.