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 2014  ottobre 29 Mercoledì calendario

BISOLI: «IL PALLONE, SPECCHIO DELL’ITALIA. PAGANO LE PICCOLE, COME GLI OPERAI»

Non mi chieda se ho un libro preferito: sono una persona semplice e concreta, mi sono fermato alla prima di Ragioneria”. Pierpaolo Bisoli, allenatore del Cesena tra poco 48enne, insegue le parole giuste: “Ai libri preferisco la cronaca nera in tivù, per esempio Quarto Grado. Da mesi mi interrogo sul caso Yara Gambirasio. Qualcuno lo troverà macabro, ma il mio è solo il desiderio di provare a comprendere l’animo umano: sa, per un allenatore è importante”. Il bilancio, sin qui, è positivo: “Stiamo andando bene e ci manca qualche punto. Con Milan, Palermo e Inter meritavamo di più, ma non mi lamento. Non l’ho mai fatto, neanche con gli arbitri”. Beh, mica tanto: domenica scorsa si è fatto espellere dopo Cesena-Inter e il presidente Lugaresi ha definito “un poveretto” Mazzoleni: “Ho fatto un errore di negligenza, ma chiedevo solo rispetto. Vogliamo valere come gli altri”.

Con chi vi giocherete la salvezza?

Empoli, Cagliari, Chievo, Sassuolo, Palermo, Parma, Atalanta e Chievo.

Le sue precedenti esperienze in Serie A non sono state fortunate: esonerato a Cagliari e Bologna.

Oggi sono un po’ più riflessivo, ma voglia e passione restano quelle. Ero così anche 12 anni fa, quando ho cominciato ad allenare a Porretta Terme, il posto in cui sono nato.

In Italia i giovani hanno poco

spazio. Lei rappresenta una

controtendenza.

Spesso l’ho pagata sulla mia pelle: a Cagliari ero tra i pochi a credere in Nainggolan e non mi pare di avere sbagliato. Nel mio Cesena ci sono sempre tre-quattro ragazzi del ’93 e ’94. Con i giovani non hai certezze, una volta ti danno 7 e quella dopo 4,5, ma è così che ho portato in Nazionale quattro semisconosciuti dalla C2.

Chi?

Diamanti, Giaccherini, Schelotto e Parolo. Non ci credeva nessuno. Diamanti voleva abbandonare il calcio, Schelotto era un oggetto misterioso, su Giaccherini ho puntato quando era in Interregionale e Parolo l’ho fatto prendere dal fallimento della Pistoiese. Ne vado fiero.

Nel 2004 era il vice di Dino Zoff alla Fiorentina.

Zoff ha una caratura micidiale. Pacatissimo, con una cultura fuori dalla media. Geniale e mai impulsivo. Lo sento ancora.

Avete fermato il Milan di Inzaghi. Le piace?

Ho affrontato la Juventus, che è di un’altra categoria e gioca un campionato tutto suo. Stasera troveremo la Roma e potrò giudicarla. Il Milan ha un attacco inferiore solo a Juve e Roma. E neanche di molto.

Entrambi i suoi figli fanno i calciatori.

Ne sono felice: il calcio è una straordinaria palestra di vita, ti permette di incontrare persone di cultura elevata e gente di strada. Un giorno sei un dio in terra e quello dopo un deficiente. È un’altalena continua, soprattutto da allenatore: la società di oggi è più complessa, i giovani non hanno regole e devi tenere insieme spogliatoi multietnici con sensibilità diverse. A volte sei il papà comprensivo, altre la guida autoritaria da temere.

Chi è stato il suo maestro?

Carletto Mazzone. Nel ‘90/91 lo etichettavano già come rude e difensivista, ma era già avanti di venti anni.

Anche lei è definito rude e difensivista. La chiamano “Mister 0 a 0”.

Pago anch’io il fatto di non frequentare i salotti buoni e non mettere la cravatta. Ho vinto cinque campionati e qualche giovane l’ho lanciato, cosa che non sarebbe accaduta se pensassi solo al risultato. Se Capello e Mourinho dicono che la chiave del successo è la difesa, li chiamate innovativi; se lo dico io, sono Mister 0 a 0. Devo poi rivelarle una cosa.

Prego.

L’allenatore si vede nella fase difensiva, non in quella offensiva. Negli ultimi 16 metri, là davanti, è quasi tutto istinto. Se un attaccante segna, è molto spesso per una intuizione sua. Non è che Dybala ha segnato contro di noi perché gliel’ha detto Iachini: lo ha fatto perché è stato più freddo sottoporta del mio Rodriguez. Nessun allenatore, a parte Zeman, ha in Italia schemi offensivi riconoscibili. La bravura di un tecnico si vede nella fase difensiva.

Sta dicendo che Inzaghi non è un bravo allenatore?

Non posso né voglio dirlo, ma Inzaghi aveva enormi difficoltà fino ai 16 metri: poi, quando li oltrepassava, diventava il calciatore più forte del mondo. E lo era perché è nato così, non perché lo aveva imparato dagli allenatori.

Un tecnico si valuta anche dai gol che subisce da palla inattiva: il Cesena ne prende più di quanto dovrebbe.

Vero, ma i giornalisti dovrebbero considerare anche l’altezza delle rose. Se ho una difesa alta in media 1.75 e l’attacco avversario supera il metro e 80, i miracoli non li posso fare.

La Gialappa’s la prendeva in giro, reputandola un Hans Peter Briegel dei poveri.

Mi divertiva molto. Confesso che, ancora oggi, quando sono triste riguardo qualche spezzone. Erano gli unici o quasi a parlare di me, mi resero un po’ famoso. Oggi un programma come Mai dire gol non sarebbe possibile: troppi calciatori permalosi, troppi procuratori.

Quando vede arbitri come Rocchi e Mazzoleni compiere disastri, pensa alla malafede o alla sudditanza psicologica?

Penso che il calcio non è un mondo a parte e che, così come nella società è l’operaio a pagare e non il notaio, anche nel calcio spesso paga la provinciale. Tutti sbagliano, l’arbitro come l’allenatore, e l’arbitro avverte una maggiore soggezione se incontra Juve o Inter e non il Cesena. Proprio come noi: lei si sente più teso se incontra un uomo di potere o un mendicante? È triste, ma è nell’ordine delle cose.

Lei era in campo nella famosa Perugia-Juve del gol di Calori.

Ero il più vecchio del Perugia, la stampa mi definiva ‘l’uomo di Mazzone’. Quel pomeriggio marcavo Del Piero e il giorno dopo si parlava solo di me e Calori. Con Alessandro ci siamo chiesti spesso se, quella volta, abbiamo sbagliato.

Che risposta vi siete dati?

Che siamo stati onesti. Non posso dire che giocammo col coltello tra i denti, ma posso dire che fummo professionisti: molto semplicemente, facemmo quello che dovevamo fare.