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 2014  ottobre 25 Sabato calendario

MAI OFFRIRE UNA PIZZA A UN POLITICO USA


Io continuo a farmi nuovi nemici, in Italia. Cresce il numero di quelli che mi guardano storto. E non posso farci niente, credetemi.
L’ultimo caso è di pochi giorni fa. Mi scrive una collega di un giornale italiano (dove lavorai anni addietro), che è amica del governatore di una Regione italiana. Stanno preparando una visita ufficiale qui negli Stati Uniti. Quella Regione ha progetti importanti da annunciare, cose che possono magnificare la sua immagine presso il pubblico americano, attirare più turisti. La collega mi chiede se posso procurare al governatore della Regione un’intervista autorevole, con un giornale che conta, l’ideale sarebbe il New York Times. Lei non lo fa per interesse personale, non credo che ne abbia un tornaconto, vuole rendersi utile. Perciò mi risulta penoso doverle dire la verità. E per l’ennesima volta creare imbarazzo, gelo, un sordo risentimento.
No, io non posso. Qui non si fa. Quello che in Italia può sembrare un normale scambio di cortesie, «ti metto in contatto, ti presento», agli occhi dei miei colleghi americani sarebbe una scorrettezza grave. Forse anche voi fate fatica a capirmi. Allora provo a offrirvi una simulazione virtuale. Vi descrivo l’ipotetica scena seguente. Immaginatevi che io chiami un giornalista del New York Times che mi conosce da anni, prima come il corrispondente di Repubblica in Cina, poi negli Stati Uniti. Invece di scambiare pareri sul virus di Ebola, sulla guerra in Siria, o sulle elezioni di mid-term, stavolta gli dico che c’è il ministro italiano tal dei tali di passaggio a New York, che gradirebbe un’intervista col suo giornale. Il collega rimane di ghiaccio. Passa qualche minuto di silenzio. Poi mi dice: «Scusa l’imbarazzo ma non sapevo nulla». «Non sapevi cosa?». «Che hai cambiato lavoro, non me lo avevi detto». «No, infatti non ho cambiato lavoro». «E allora non ho capito cosa stai dicendo. Il tuo ministro non ha un portavoce, degli addetti stampa, dei consiglieri diplomatici che sono pagati per fare queste cose?». L’idea è questa: noialtri stiamo dall’altra parte della barricata, dalla parte del pubblico. Non possiamo essere gli amici di turno del premier, del ministro, del governatore o del sindaco del nostro paese. Neanche per piccoli scambi di favori “innocenti”, senza contropartite. Se non rispettiamo questa distinzione, abbiamo smesso di essere credibili.
Fatemi raccontare quest’altra, per darvi un quadro più preciso. Questa non è virtuale, è storia vera. Si ripete ogni volta che prendo il treno da pendolare sulla linea New York-Washington, per andare a trovare i miei interlocutori alla Casa Bianca.
Quelli che io vedo più spesso lavorano al National Security Council: è l’organo al servizio del Presidente che gli fa da tramite per i rapporti con i governi stranieri, con il Dipartimento di Stato, con le agenzie di intelligence, e anche con noi reporter accreditati. Se voglio vederli in un contesto non troppo ufficiale, con quelli del National Security Council ci si dà appuntamento in un bar ristorante a pochi metri dalla Casa Bianca, un locale finto-italiano che si chiama “Così”, all’angolo fra Pennsylvania avenue e 17esima. Le prime volte, ricordo, se era l’ora di pranzo gli chiedevo se potevo offrirgli un’insalata o un trancio di pizza. Poi ho smesso e ho capito. Si beve caffè, anche se passiamo un’ora insieme. I quattro dollari del supercappuccino che qui chiamano “Latte”, sono il massimo che il funzionario della Casa Bianca può accettare da me, per non sforare il limite di “regalo” consentito. Se dovessi spendere di più, anche solo per un piatto di spaghetti, metterei nei guai l’interlocutore. Stampa e governo: guai a creare il sospetto che ci siano collusioni, complicità, scambi di favori. Un cappuccino, al massimo. E la prossima volta sarà lui o lei a pagare, si fa a turno.
C’è un po’ di esagerazione, e anche dell’ipocrisia, lo so. Mentre io e la funzionaria del National Security Council passiamo un’ora insieme sorseggiando il nostro “Latte”, Washington pullula di lobbisti strapagati che sanno difendere gli interessi della grande industria presso i parlamentari o il governo. Non è tutto così pulito come sembra, neanche qui in America. Però un po’ di puritanesimo nelle regole di vita quotidiana, a me non dispiace. Peccato che non riuscirò mai a farlo capire agli amici italiani; e agli amici degli amici.