Paolo Tomaselli, Style 11/2014, 28 ottobre 2014
MARKUS REHM
E poi ci sono quelli come Markus Rehm. Quelli che non si lamentano mai, che più li butti giù e più si rialzano: non per restare semplicemente a galla, ma per emergere, per lasciare il segno, per dare, se possibile, anche un esempio. Markus è nato 26 anni fa a Göppingen, cittadina tedesca del Baden-Württemberg famosa per i trenini Märklin, ma la sua vita non è stata un gioco. Almeno, non da quel 10 agosto 2003 in cui, trainato da un motoscafo su una tavola da wakeboard (che sta allo sci nautico come lo snowboard allo sci alpino), l’allora 14enne cade ad alta velocità. L’elica della barca è troppo vicina, la gamba destra rimane lesionata. Irrimediabilmente. E, tra mille difficoltà, inizia una nuova vita.
Tavola per sempre in soffitta? Addio all’acqua? Macché. «L’anno dopo l’incidente sono diventato vice campione giovanile tedesco di wakeboard, migliorando le mie prestazioni rispetto a quando avevo tutte e due le gambe. Non ho mai smesso di amare questo sport, perché questa è la mia filosofia di vita: ogni volta che cadi ti devi rialzare e riprovare».
Markus è uscito dall’acqua ma ha continuato a vincere. È campione europeo e primatista mondiale paralimpico di salto in lungo e ha messo in crisi la federazione di atletica tedesca: la misura di otto metri e 24 centimetri fatta registrare ai campionati nazionali del 26 luglio gli è valso il titolo nazionale dei normodotati, e lo avrebbe qualificato di diritto agli Europei di Zurigo. La federazione ha deciso però di aspettare, studiare la situazione per capire quanto incida la protesi sul salto in lungo. Markus ci è rimasto male, poi è ripartito. Per gli Europei paralimpici di Swansea, dove ha trionfato.
Lei è una stella dello sport. Qualcuno l’ha definita il nuovo Oscar Pistorius. Che ne pensa?
Non sono il nuovo Pistorius, anche perché, banalmente, non corro i 400 metri ma faccio salto in lungo. Io ho provato a trovare la mia strada senza combattere le federazioni, ma collaborando con loro. Amo il mio sport, l’atletica. E insieme agli altri penso di dover trovare le soluzioni migliori, remando nella stessa direzione. Credo che questo sia un punto di vista nuovo.
Il suo motto è: «Mollare non è un’opzione». Ce lo spiega?
Subito dopo l’incidente, molti mi dicevano che non sarei riuscito a fare nemmeno le cose più normali. Ero un ragazzino e guardare avanti non è stato facile, ma la famiglia e gli amici mi hanno aiutato tantissimo. Mi sono concentrato su un obiettivo per volta. Ho sempre cercato di migliorare e dimostrare che l’handicap molto spesso non è quello che gli altri credono. E che si può avere successo lo stesso.
Lei ha un approccio molto razionale e in questo sicuramente la disciplina sportiva aiuta. Ma non dev’essere stato tutto così semplice, giusto?
Tutt’altro. La prima difficoltà da superare è stata la lunghissima operazione dopo l’incidente. A distanza di tre giorni, un’infezione ha portato all’amputazione. Quindi, sei settimane all’ospedale universitario di Würzburg e altre cinque per la riabilitazione. Il tempo sembrava non passare mai. Pensavo molto al mio futuro. Ero preoccupato di non poter più avere una vita normale, né fare sport.
Poi le cose hanno cominciato a funzionare?
Sì, con la mia protesi fissa sono potuto tornare a scuola camminando: sembrava una svolta. Ma il primo Natale dopo l’incidente l’ho trascorso di nuovo in clinica per un’infezione ossea. Un’altra operazione mi ha costretto a trascorrere quattro settimane sulla sedia a rotelle. È stata dura, ma pochi mesi dopo, grazie ai continui tentativi di mio padre di migliorare la protesi e stabilizzarla sulla tavola, ero di nuovo in acqua.
Lei crede in Dio?
Prima dell’incidente non ci pensavo mai. Ma le prime parole che ho detto in quel terribile momento sono state: «Oh mio Dio». Quando ho iniziato la riabilitazione ho incontrato un ragazzo molto credente e lui mi ha detto che Dio aveva in serbo qualcosa di grande per me, e che sapeva quello che stava facendo. Dev’esserci qualcosa di vero!
Ci ha messo cinque anni ad arrivare all’atletica, cos’ha fatto nel frattempo?
Ho ripreso a surfare e a fare snowboard. Ho trovato un piccolo gruppo di atletica nella mia cittadina ma le protesi costavano troppo. Quando ho avuto l’opportunità di entrare in una società che mi ha aiutato economicamente, ho cominciato a fare sul serio.
Se le dico Alex Zanardi, cosa le viene in mente?
Un uomo incredibile, una persona da prendere come modello. Ha fatto così tanto dopo il bruttissimo incidente che ha avuto...
Cosa ha significato, per lei, la storia sportiva di Pistorius?
Lui ha sicuramente permesso allo sport paralimpico di fare dei progressi e ha aperto molte porte. Dimostrando di non avere alcun vantaggio dalle protesi, come tanta gente pensava. Poi quello che è successo nella sua vita privata (l’omicidio, giudicato colposo, della fidanzata Reesa Steenkamp, ndr) è stata una tragedia enorme.
Il suo è stato, e sarà, un percorso difficile. Sente che la gente è con lei?
Lo spero. Come spero di poter dimostrare quello di cui sono capace come atleta.
Però chi sta studiando il suo caso parla di «effetto catapulta» al momento dello stacco. Che ne pensa?
Che non mi piace questo termine, catapulta! Io corro e faccio un grande salto grazie alla mia tecnica. Sono io il primo a volere un approfondimento, per mostrare che non traggo vantaggi dalla mia protesi. Se sarà dimostrato il contrario, non ne sarò ovviamente felice: ma sarò pronto a ridare indietro quello che ho vinto.
I primi a parlare di «aiutini» sono i suoi colleghi normodotati. Ma tra atleti non ci dovrebbe essere un po’ di fair play?
Per molti la protesi è un vantaggio a prescindere. Però se fosse così facile saltare otto metri con la protesi ci riuscirebbero in tanti, non le pare?
Pratica anche altri sport?
Tutti quelli estremi! Più in generale, credo sia grandioso vedere di cosa è capace un atleta sotto pressione. Parlo soprattutto della forza mentale... In questo, credo che lo sport paralimpico abbia molto da insegnare.
E il calcio le piace? Ha festeggiato il Mondiale vinto dalla Germania?
Ho visto la partita con gli amici e mi sono goduto la grande atmosfera che c’era nel Paese. Però in quei giorni, per colpa di un infortunio, non riuscivo a camminare bene con la protesi: è stato un peccato non poter scendere in piazza.
Anche lei sogna di vincere qualcosa dalle parti del Maracanà, giusto?
Ci può giurare. Le Olimpiadi di Rio de Janeiro per normodotati sono il mio grande obiettivo e le sto già preparando. Quando mi mancano le motivazioni, penso al Brasile e mi tiro su!
L’Italia la conosce bene?
Ci vengo sempre in vacanza, per cui la associo ai momenti migliori... Oltre che al cibo e al buon vino. L’ultima volta sono stato in campeggio con gli amici a Jesolo (Ve). Vorrei tornarci ogni anno.
Si dice che noi italiani siamo mammoni e bamboccioni, mentre in Germania i giovani sono più indipendenti. Quanto conta la famiglia nella sua vita?
Non sarei qui se non avessi avuto una famiglia che mi ha sempre motivato e supportato. È semplicemente la cosa più importante della mia vita e di questo vado orgoglioso. Sono un ragazzo fortunato.
Cos’è per lei l’eleganza?
Il gusto nello scegliere gli abiti. Senza fronzoli, gioielli o altro.
E come si veste?
Vengo dal wakeboard, la cultura del surf la sento vicina anche nel vestire. Ma mi piace anche andare alle feste e agli eventi con un bell’abito classico.
Com’è la sua donna ideale?
Dev’essere intelligente e paziente, con senso dell’umorismo. Mi piacciono le donne che sanno spiazzarti. Ma al momento non sono fidanzato...
Una con cui vorrebbe andare a cena?
Angelina Jolie, è bella e ha una grande personalità. Ho seguito la sua storia: la lotta contro il cancro, i figli adottivi. Credo che sia una persona da cui si può imparare molto.
La sua gamba amputata ha mai rappresentato un ostacolo nei rapporti di coppia, e più in generale nella vita sociale?
All’inizio questa era una delle mie paure principali. Ma in realtà non ha mai rappresentato un problema. La mia famiglia e gli amici mi hanno sempre accettato per come sono, e la protesi fa parte di me e della mia vita. Non avrei mai voluto che accadesse, ma l’incidente mi ha reso la persona che sono oggi. E in un certo senso devo essergli grato.
È specializzato in meccanica ortopedica. Lo ha fatto prima di tutto per sé, o per aiutare gli altri?
Se posso aiutare gli altri, come mi è capitato spesso anche durante le gare, lo faccio volentieri. Le protesi sono delicate, io stesso sono caduto tante volte. Mi sono sempre rialzato, ma a volte con qualcosa di rotto.
Ha un libro, o una canzone, che la ispira?
A essere onesto non ho molto tempo per leggere... Prima di saltare ascolto musica molto ritmata, mi dà la carica.
E invece, in quello che fa lei si sente una fonte di ispirazione per gli altri?
Molti mi dicono di sì. E io sono felice se rappresento un modello per qualcuno. Voglio solo mostrare quante possibilità ci sono, anche per chi parte svantaggiato.