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 2014  ottobre 28 Martedì calendario

PERCHÉ LA POLONIA È LEADER UE


Con la nomina di Donalo Tusk alla presidenza del Consiglio europeo, il ruolo della Polonia nella Ue ha conosciuto un netto upgrading. E non si può che sottolineare con favore questo processo per almeno un paio di motivi: in primo luogo si immette sangue nuovo in quelle istituzioni europee che hanno urgente bisogno di rinnovarsi e al contempo si valorizza il ruolo geopolitico di un Paese che, non possiamo dimenticarlo, confina con la Russia di Vladimir Putin.
Analizzando poi la nuova Polonia e il peso che avrà nell’Europa vanno messe in primo piano le straordinarie performance economiche della Repubblica di Varsavia, scandite non solo dal tradizionale primato nell’export mondiale di mele e funghi ma da un Pil che cresce a ritmi superiori al tre per cento, da investimenti che segnano più 8,4 per cento, e da un crescente peso dei settori più legati all’innovazione. I polacchi, unici a non avere subito l’onta della recessione tra i Paesi della Ue, hanno persino deliberato norme fiscali e facilitazioni per l’estrazione di shale gas. Fa particolarmente piacere sottolineare i successi di Varsavia perché rappresentano uno spot per i riformisti di ogni dove, infatti le modernizzazioni (sanitaria, amministrativa, previdenziale e dell’istruzione) che il Paese ha adottato con coraggio dagli anni Novanta a oggi sono state implementate senza che l’alternanza al governo di coalizioni rivali ne mettesse in discussione obiettivi e percorso. La Polonia, dunque, è diventata un Paese moderno e a forte vocazione industriale visto che il peso del settore manifatturiero sul Pil è passato dal 10,8 per cento del 1989 all’attuale 23,8 per cento. Come è stato possibile? Gli addetti ai lavori spiegano che la crescita polacca è avvenuta grazie, e dentro, l’estensione/allungamento delle filiere produttive tedesche con un grado di complementarietà molto forte e largamente favorito dalle fluttuazioni dello zloty. Infatti il Paese che esprime il presidente del Consiglio europeo è fuori dall’eurozona e non sembra avere nessuna fretta di entrarci perché in questo modo massimizza i vantaggi di una sorta di politica del doppio binario. Sta dentro il cuore dell’economia industriale europea ma fuori dai suoi vincoli.
Visto dall’Italia questo processo non può che autorizzare qualche riflessione che chiameremo politicamente scorretta. Ci troviamo di fronte a un diretto concorrente quanto ad attrazione degli investimenti e dislocazione delle catene di fornitura e il nostro rivale può giovarsi di un costo del lavoro di gran lunga inferiore e di una moneta che alla bisogna può essere svalutata. Esiste già un caso di nascita di un distretto degli elettrodomestici nella zona di Olawa nella Slesia che esercita nei confronti dei poli produttivi italiani (Fabriano, Varese e Pordenone) una pressione concorrenziale a tratti insostenibile. È vero che la qualità del nostro processo industriale è ancora superiore a quello polacco ma nelle lavorazioni fortemente standardizzate questo vantaggio competitivo non pesa poi così tanto. Nessuno pensa di risolvere questa evidente contraddizione nel cuore della Ue con atti amministrativi ma è singolare che di ciò si faccia fatica persino a parlarne. Non solo a Bruxelles o Varsavia ma anche in Italia.