Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 26 Domenica calendario

IMPRESE SEMPRE PIÙ MASSACRATE OGNI ANNO 249 MILIARDI IN TASSE


Due idee diverse, due modi differenti di essere sinistra si sono scontrati ieri fra Piazza San Giovanni e la Leopolda. Ma su un argomento c’è molta più sintonia di quanto non si possa credere. Da una parte, quella della Cgil, si parlava di «tassare le ricchezze» allo scopo di creare posti di lavoro. Dall’altra parte, quella del premier Matteo Renzi, si ostentava «l’Italia che crea speranza e posti di lavoro», salvo scoprire che una degli special guest era Rossella Orlandi, il capo dell’Agenzia delle Entrate (quella che alle imprese non dà respiro quando sgarrano) che al presidente del Consiglio può permettersi di dare del «tu», essendo una renziana della prima ora.
Ecco, in mezzo a tutto questo sedicente «partito della Nazione» mancava la rappresentanza del partito che paga le tasse, quello che cerca comunque di andare avanti, quello che magari non è in piena sintonia con il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi che ritiene la manovra un segnale di «speranza». Quale sia l’identikit di questo pezzo d’Italia che ieri si sarà sentito un po’ orfano, politicamente parlando, lo ha ricordato la Cgia di Mestre. È l’Italia delle imprese che ogni anno pagano 248,8 miliardi di euro tra tasse, contributi previdenziali e burocrazia.
«In nessun altro Paese d’Europa viene richiesto un simile sforzo», ha rilevato il segretario generale degli artigiani mestrini, Giuseppe Bortolussi, aggiungendo che «la fedeltà fiscale delle nostre imprese è massima». Né a San Giovanni né alla Leopolda è stato rimarcato questo dato di fatto: una pressione fiscale esagerata che si contrappone a una giustizia civile dai ritmi medievali, alle difficoltà nell’ottenere credito, a infrastrutture bloccate dai veti degli enti locali e, soprattutto, a una pubblica amministrazione che quando onora i propri debiti (ancora 60 miliardi di fine 2013 sono rimasti inevasi) lo fa come fosse un favore.
Le aziende italiane, osserva la Cgia, contribuiscono al gettito fiscale nazionale per oltre 110 miliardi di euro. La stima è stata calcolata secondo i metodi di Eurostat aggiungendo alcune tasse «minori», come il prelievo comunale sugli immobili strumentali e altri tributi locali. Questi ultimi valgono almeno 12,5 miliardi di euro. L’imposta che produce il maggior gettito per le casse dello Stato è l’Ires, che garantisce all’Erario quasi 33 miliardi di euro all’anno. L’Irpef versata dai lavoratori autonomi pesa ben 26,9 miliardi, mentre l’Irap in capo alle imprese private «garantisce» 24,4 miliardi. I contributi previdenziali ammontano a circa 95 miliardi di euro, portando il totale a 217,8 miliardi.
Come si arriva a 248,8 miliardi? Con i 31 miliardi di euro che, secondo la presidenza del Consiglio dei Ministri, sono i costi amministrativi che le Pmi italiane patiscono ogni anno per districarsi tra timbri, certificati, formulari, bolli, moduli e pratiche varie. «Trentuno miliardi di euro corrispondono a circa 2 punti di Pil: una cifra raccapricciante. Di fatto la burocrazia è diventata una tassa occulta che sta soffocando il mondo delle piccole e medie imprese», commenta Bortolussi. Mancanza di trasparenza, tempi biblici per qualsiasi pratica, legislazione da decodificare come una pergamena egizia: chi ce la fa è un eroe. Gli investitori stranieri, ovviamente, preferiscono tenersi alla larga. E come si può dar loro torto?
La sinistra italiana (o quel che ne resta), invece, s’è baloccata ieri tra una strenua difesa dell’articolo 18 e tra qualche tavolo di discussione sulla violenza negli stadi. La manovra, in teoria, dovrebbe andar bene così com’è. Tanto chi mai farà caso, secondo la prospettiva renziana, che la decontribuzione sui nuovi assunti e l’eliminazione del costo del lavoro dall’imponibile Irap sono finanziati con l’aumento del prelievo su fondi pensione e polizze vita? Il premier ha gioco facile: nel 2014 non si pensa all’Iva e alle altre imposte che potrebbero aumentare nel 2016. Una strategia che punta sulla disattenzione, perché il partito che paga le tasse resta in silenzio. Per ora.