Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 26 Domenica calendario

UNA MARATONA IN CIELO

Il cielo era lo stesso. Quello che sta sopra Roswell, nel deserto del New Mexico. Anche i dettagli, a una prima occhiata, sembrano simili: un uomo con una tuta da astronauta appeso a un lungo pallone aerostatico che per due ore e mezzo sale sempre più su, oltre le nuvole, in piena stratosfera, e poi si butta giù. Eppure ci sono tre differenze sostanziali, tra l’impresa realizzata due anni fa da Felix Baumgartner e ciò che ha fatto Alan Eustace all’alba di venerdì. E vanno al di là dei semplici numeri. Certo, Eustace si è lanciato nel vuoto da 41.419 metri e ha quindi battuto il record dell’austriaco, che il 14 ottobre 2012 si lasciò andare da 39.045. Dall’altra parte, Baumgartner ha mantenuto il record di velocità raggiunta da un uomo senza l’aiuto di mezzi meccanici, perché Eustace ha toccato i 1322,8 km/h — comunque ampiamente oltre il muro del suono — mentre lui era arrivato a 1342 km/h. Ma sono altre le differenze che contano. E che raccontano una storia tutta diversa .
Alan Eustace ha 57 anni ed è vicepresidente di Google. Nato in Florida, è un ingegnere meccanico con la passione per il volo. Da studente, per mantenersi, vendeva popcorn a Disneyworld. Pilota di aerei da 25 anni, possiede un Cessna, pratica il paracadutismo. Adora le emozioni forti, lo descrivono come un «amante del rischio», ma non è un professionista dell’estremo come Felix Baumgartner. Non è un base jumper, non ha mai attraversato la Manica con una tuta alare. Si è appassionato alle avventure aerospaziali da ragazzo, negli anni Sessanta e Settanta, nelle gite a Cape Canaveral con la station wagon di famiglia. Dopo essersi laureato, da metà anni Ottanta ha progettato hardware e computer portatili per le aziende della Sylicon Valley, prima di passare a Google nel 2002. Il ruolo di vicepresidente gli ha permesso, tre anni fa, di prendersi un periodo sabbatico per dedicarsi al sogno del grande volo. Aveva conosciuto Taber MacCallum, uno dei fondatori di Paragon Space, un’azienda che progetta ambienti artificiali come «Biosphere 2» per esplorare l’idea di una vita al di fuori della Terra. All’ardire del risk taker , Eustace unisce la disponibilità di tempo ed economica. L’esatto profilo del futuro turista spaziale.
Il volo di Baumgartner fu, prima di tutto, una grande narrazione. Red Bull costruì una straordinaria diretta web, seguita in tutto il mondo da milioni di persone attraverso la tv e i social network. C’erano telecamere ovunque: a terra, in volo, sulla capsula che lo accompagnò in cielo. Le immagini della salita erano accompagnate dai dati sulla pressione atmosferica, sulla velocità di ascesa, sulla temperatura dentro e fuori la capsula. Tutto era sotto gli occhi del pubblico. Il progetto di Eustace, invece, è rimasto segreto fino alla sua realizzazione. La stessa Google si era offerta di sponsorizzare il tentativo, ma Eustace aveva detto no. Per paura, diceva lui, che diventasse «solo un’operazione di marketing». La scarsità dei dati a disposizione e la limitatezza delle immagini messe a disposizione — un minuto e mezzo in tutto tra preparativi, decollo, fase di ascesa e di discesa, ma a paracadute già aperto — potrebbero addirittura mettere in dubbio il fatto che l’impresa sia stata davvero realizzata. In realtà, se Red Bull si era lanciata nello spazio per motivi di marketing, Paragon Space lavora da anni nello sviluppo di tutto ciò che può permettere all’uomo di frequentare lo spazio. Dell’impresa si sa poco perché per l’azienda è prioritario mantenere il segreto industriale.
Anche della tuta di Eustace si sa poco. Ciò che salta subito agli occhi, però, è che mentre Baumgartner era stato portato nella stratosfera a bordo di una capsula, cioè in un ambiente chiuso che garantiva la sua sopravvivenza, Eustace è salito in cielo all’interno di una tuta appesa direttamente al pallone. Tutta la strumentazione necessaria per farlo respirare, per preservarlo dagli sbalzi di temperatura e per mantenere sotto controllo i suoi valori corporei era all’interno dello scafandro, che infatti era molto più ingombrante di quello di Baumgartner. È stata la Paragon Space a coordinare le tante aziende che hanno fornito il sistema di supporto vitale per il volo di Eustace. Tra esse c’è la World View, azienda fondata da Jane Poynter e Taber MacCallum — ancora lui —. Dal 2016 vogliono vendere gite nella stratosfera a turisti facoltosi, dal dicembre scorso hanno iniziato a raccogliere prenotazioni e acconti. Servono 75.000 dollari. Per chi può permetterselo e ha fegato, il futuro è già iniziato.