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 2014  ottobre 25 Sabato calendario

SALE IL CONTO DI BRUXELLES L’ITALIA DEVE PAGARE 340 MILIONI

Sorpresa. Neanche quarantotto ore fa i leader di casa Ue hanno scoperto che alla luce della revisione del metodo con cui si calcola il pil - ovvero la ricchezza generata annualmente dagli stati - sono cambiate anche le quote di contribuzione al bilancio dell’Unione. Forse lo dovevano sapere da tempo, ma il risultato è che il primo dicembre alcuni avranno dei soldi indietro e altri dovranno versare un conguaglio. Il guaio è che all’eurocettico Regno Unito si chiedono 2,1 miliardi, che fanno sembrare pochi i 340 milioni del conto italiano. Per contro, la Francia avrà un miliardo di rimborsi e la Germania 779 milioni. Il premier britannico si autodefinisce «furioso». «Metodo inaccettabile - assicura -. Non pagheremo».
E’ un brutto cortocircuito. Al termine dell’eurovertice d’autunno, José Manuel Barroso, presidente della Commissione Ue sino al 31, ha ricordato che quelle sul pil sono decisioni che le capitali hanno preso insieme e all’unanimità. «Nulla che sia spuntato all’improvviso», gli ha fatto eco la cancelliera Merkel, anche lei sulla linea che c’è poco da essere stupiti, ovviamente sostenuta dal francese Hollande, l’altro che va in attivo. In effetti, raccontano gli olandesi che già a inizio settimana al Ministero dell’Economia hanno ricevuto una nota, hanno chiesto chiarimenti, non li hanno ottenuti, così non hanno informato il premier Rutte che, pure, è sobbalzato davanti ai 642 milioni da girare a Bruxelles.
Il meccanismo non è complesso. Come avviene con regolarità, l’Ue ha rivisto i metodi di calcolo dei pil per renderlo più simili all’economia di cui essi sono espressione. Ad esempio, si sono inseriti nell’attività economica una serie di attività illegali (traffico di droga, prostituzione e contrabbando), si è riconsiderata la spesa per gli investimenti, gli acquisti pubblici di armamenti, gli oneri per la ricerca. Si sono escluse le operazioni con «derivati» dal deficit.
Nel caso italiano, i nuovi criteri entrati in vigore da settembre hanno gonfiato il Pil 2013 di 59 miliardi (+3,8%), il che modifica i parametri di bilancio (calcolati in funzione del pil) e dunque influisce sugli indici di sostenibilità. In cifre, l’effetto è stato un miglioramento del rapporto debito/Pil, sceso di quattro punti percentuali da 132,6 a 127,9%. Mentre il deficit, che nel 2013 era sulla soglia massima del 3,0%, è calato al 2,8. Tre miliardi di risparmio teorico, si è calcolato, di nuovo denari liberati nelle casse pubbliche. Un bene, certo. Ma adesso arriva il conto. Un conto da 340 milioni da pagare subito. Guarda caso, un decimo esatto del tesoretto che il governo ha accantonato per la trattativa con Bruxelles con cui si spera di scongiurare la riscrittura della manovra. Ma il premier Renzi non ha drammatizzato.
Non dovrebbe esserci meraviglia. E’ ben noto, visto che lo hanno deciso i governi e non qualche eurocrate impazzito, che la contribuzione al bilancio europeo è calcolata in base al gettito Iva nazionale, il reddito nazionale lordo (Rnl), e una serie di dazi che le singole amministrazioni raccolgono per l’Ue. Se cresce il pil, cresce il contributo. Ma non deve essere chiaro se Cameron l’ha presa così male. Ha parlato di sostegno italiano, olandese e greco, compresile visto che Atene dovrà firmare un assegno da 89 milioni. «Renzi l’ha definita una “arma letale”», ha affermato in conferenza stampa, però l’italiano ha negato di averlo detto. Invece, se l’è presa con «la tecnocrazia e la burocrazia».
Ci sarà una riunione su misura dei ministri Ecofin, già fra una settimana a Venezia. Sarà l’occasione per parlare di bilancio e degli errori che l’Europa continua a fare troppo spesso, nell’applicazione fredda delle regole. Non è casuale se ha deciso di avviare una nuova riflessione sulla governane economica, mentre Barroso ha auspicato che si ragioni anche sulla vecchia «clausola di flessibilità». «Un’idea di Monti - ha precisato - che i governi non hanno voluto». Ha ragione Cameron quando afferma che «non si chiedono due miliardi con 37 giorni di preavviso». Ma ce l’ha anche Bruxelles nel sottolineare che dovevano aspettarselo. «I leader devono mostrare leadership», è il richiamo di Juncker, prossimo presidente della Commissione. Scontato sulla carta. Però la capacità di indirizzo, negli ultimi anni, non è stata davvero il forte dell’Ue.
Marco Zatterin, La Stampa 25/10/2014