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 2014  ottobre 25 Sabato calendario

COSÌ LA FED VIGILA SUI MERCATI FINANZIARI

Una sola settimana e tutto è cambiato nel mondo della finanza. Wall Street ha recuperato il terreno perduto dopo l’8 ottobre ed è appena un 2% sotto il record di settembre. Anche il povero indice Stoxx euro è risalito allegramente, sebbene resti lontano dai picchi relativi dei mesi scorsi e a distanza siderale dal massimo storico di oltre 14 anni fa. Analoga euforia hanno sperimentato i bond societari, specie i più rischiosi, quelli a più alto rendimento, che hanno visto ridurre lo spread sui Treasury di ben 80 punti, quasi ai livelli di settembre. Di contro, si sono venduti i titoli di Stato Usa, in precedenza acquistati perché «porto sicuro», anche al ridicolo rendimento dell’1,9% per i decennali. A ben guardare, nemmeno troppo venduti, visto che il titolo a due anni rende ancora lo 0,38%: che significa tassi Fed a zero per tutto il 2015. Era proprio quello che volevano i mercati e che si augurava la banca centrale.
A distanza di una settimana non si capisce bene cosa sia successo e perché sia successo. Ci si ricorda che tutto dev’essere iniziato tre settimane or sono, quando dalle Minute della Fed era partito l’allarme sul dollaro forte: che avrebbe fatto calare l’inflazione, secondo il linguaggio della Fed, e provocato la deflazione, secondo l’estremismo lessicale degli operatori. Poi si sono aggiunti i commenti preoccupati di parecchi uomini della Fed, una mezza dozzina almeno: chi calcando ancora la mano sul dollaro, chi paventando il contagio della povera e disgraziata Eurozona e altri che puntavano il dito sulla frenata dell’economia cinese o di altri paesi emergenti.
Due dati macro meno belli delle attese avevano già prefigurato lo spettro della recessione e della deflazione, agitato dagli operatori e avallato dai banchieri della Fed. I quali sono corsi a quietare i mercati, facendo capire che i tassi d’interesse non saranno toccati nel 2015 e persino che sarebbe stata utile un’altra dose di quantitative easing: «se l’economia dovesse vacillare», precisò John Williams. Dette dal presidente della Fed di San Francisco, quelle parole hanno tranquillizzato Wall Street ed eccitato l’ottimismo degli investitori, balzato in un attimo ai massimi di prima.
Ma adesso lo stesso Williams (discorso del 20 ottobre, quando i mercati erano un poco risorti) se ne esce con ineffabili dichiarazioni: «Sarò onesto - principia -. Questi discorsi diventano sempre più piacevoli, perché le prospettive economiche migliorano di giorno in giorno». Escludendo una caso di schizofrenia, si può solo pensare che il rapido mutamento di pensiero abbia a che fare con l’andamento di Wall Street. Williams, a chi chiedeva quando la Fed avrebbe dunque iniziato ad alzare i tassi, aveva risposto con un grazioso gioco di parole: «La decisione sarà dettata dai dati macro (data-driven) e non dal calendario (date-driven)». Per stare al suo gioco, si ha il sospetto che quella decisione sarà semplicemente guidata dall’indice di borsa (Dow-driven).
Si sapeva che la politica monetaria della Fed aveva due obiettivi: piena occupazione e stabilità dei prezzi. Ora se n’è aggiunto un altro: la stabilità relativa dei mercati, perché nella loro crescita composta sta tanta parte dell’effetto ricchezza che piace all’America. La nuova pedagogia della Fed punta dunque a controllare l’ascesa di Wall Street e dei bond corporate, così come l’andamento dei Treasury e del dollaro, temperando di tanto in tanto gli eccessi con la minaccia di alzare i tassi e stimolando qualche tempo dopo i mercati, se le quotazioni finiscono a livelli indesiderati. Nel caso dell’indice S&P500, diciamo che una correzione del 6-8% è quanto basta per calmierare una eccessiva esuberanza.
Grazie alla Fed, operare in borsa diventa esercizio piuttosto facile: si compri adesso, si aspetti un nuovo record, spiando attentamente il comportamento dei membri della Fed. Si venda, se dalla banca centrale arrivano segnali preoccupanti e si aspetti che la correzione abbia superato il 5% prima di ricominciare a comprare. Il tutto permetterebbe pure di controllare l’eventuale formazione di bolle speculative. E il tutto potrebbe funzionare per un anno ed oltre: fino a quando qualcosa d’indesiderato e non manipolabile dalla Fed dovesse turbare il perfetto equilibrio.
Walter Riolfi, Il Sole 24 Ore 25/10/2014