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 2014  ottobre 25 Sabato calendario

«SONO PRIGIONIERA DI RENZI MA INVIDIO TANTO SALVINI»

[Intervista a Daniela Santachè] –
Entrando nella luminosa casa romana di Daniela Santanchè ho creduto di trovare la risposta alla domanda che mi portava da lei. Perché, nell’ultimo anno, la signora ha perso la veemenza che l’ha resa famosa? «È in una fase di ascetismo bonzo», mi dico, vedendo l’arredamento orientale con quadri cinesi alle pareti. Gli ampi divani sono di un rasserenante arancione-rosso, tipici di uno stato d’animo incline alla solarità e alla pace. Questa diagnosi buddista è però contraddetta dall’indomito egocentrismo della padrona di casa. Sono accerchiato da foto di Daniela di ogni dimensione e colore; da libri scritti da lei, in diverse edizioni e formati; perfino un orologio da parete, ma poggiato a terra, con il suo viso per quadrante. Ripiombo nel dubbio. «Sta arrivando», annuncia la governante e, contemporaneamente, la deputata di Fi sbuca dall’ascensore interno. La pitonessa è decisamente en beauté. Ha le spire avvolte da panni lilla e blu costellati di gioielli scintillanti, mentre la proverbiale chioma le ondeggia sulle spalle. «Sieda, dottore», dice, mentre arrivano aperitivi e stuzzichini. «Io ho già il titolo dell’intervista che faremo», afferma. «Non le sembra di esagerare, imponendomi anche il titolo?», replico. «Caro dottore- riprende lei-, io di giornali me ne intendo e credo nel loro futuro più di tanti di voi. Dal primo ottobre la mia azienda editoriale è quotata in borsa e mi dà grandi soddisfazioni. Credo nei giornali di nicchia e di qualità. Non ci saranno più le tirature di una volta, ma la carta, la stampa, sopravvivranno a internet, ai social network e compagnia cantante. Quando guardo la tv e sento la radio, mi alzo e mi distraggo. Leggere un giornale è, invece, leggere davvero. E leggere è diverso da informarsi. È riflettere. E poi nei giornali ci si mette la faccia. Sotto ogni articolo, c’è una firma e un’assunzione di responsabilità. Non l’anonimato, talvolta anche vigliacco, dei twitter». «Lei è sempre appassionata, signora. Quindi non è cambiata», dico ammirato dall’eloquenza e compiaciuto di trovarmi di fronte una persona che al giornalismo crede. «Deve avere le influenze giuste», penso tra me. «Lei mi immagina cambiata -riprende-. Invece, mi resta la voglia di dire quello che a me pare giusto. Forse parlo meno. Ma non sono tempi di ciance. Alla vanvera, preferisco il silenzio. E torno al titolo che lei dovrà dare a questa intervista». «E dalli! -faccio io-. D’accordo, me lo dica». Scandisce: «Santanchè è prigioniera della crisi economica». Detto meglio: è la sua voce a essere prigioniera. In tempi delicati non si possono urlare le proprie indignazioni. Siamo appesi a un filo, lo dico da imprenditrice. Ci vuole massima cautela e si spera in qualsiasi cosa, anche in uno come Matteo Renzi. Le dirò una cosa triste, ma è per farle capire. Quando mio padre stava malissimo e io ero disperata e non sapevo come tirarlo fuori, sono andata da un pranoterapeuta di cui mi avevano parlato. Ho preso con me una maglietta di papà, sono salita in macchina e ho percorso trecento chilometri. Mi vergognavo di andare da uno stregone, ma l’ho fatto. Io che sono sempre stata pragmatica, più ancora di tutti gli altri membri della mia famiglia. Una famiglia di imprenditori e liberali che, per tradizione, ha i piedi per terra. Ma se non si sa più che fare, si può arrivare a tutto, anche se poi non è servito a niente. Così è con Renzi. Credo in lui come credo a un mago. Rappresenta il viaggio della speranza. Non posso non aiutarlo. È quello che facciamo tutti in Fi, a cominciare dal presidente Berlusconi. Tifo per lui, perché tifo per l’Italia. Per questo mi trattengo e non faccio le mie battaglie come vorrei. Taccio per carità di patria. Mi capisce, dottore? Ecco perché dico che sono prigioniera della crisi. Questo lo scriva: è il punto centrale». Cala il magone. Rinuncio agli stuzzichini e a lei, nella foga oratoria, ne va uno di traverso e tossisce. Col patto del Nazareno, il Cav è dunque a rimorchio di Renzi. «La via del Nazareno è stretta e tortuosa, ma l’unica percorribile nell’interesse degli italiani. Contrariamente alla sinistra, la nostra vocazione è costruire. Quando volle fare le riforme, Berlusconi non trovò un Berlusconi, ma un nemico carico di odio che puntava a cacciarlo e distruggerlo». Lui invece dà una mano a Renzi. «Il presidente è stato davvero un grande a mettersi a sedere con loro, dopo quello che gli hanno fatto. Io non avrei potuto». In passato, lei sarebbe stata la prima a chiedere, come fa oggi Raffaele Fitto, una linea meno renziana. «Se giocassimo per lo scudetto, avrei la maglia di Fi. Ma siamo impegnati nei campionati del mondo e indosso la maglia della Nazionale. Da imprenditore, tifo Italia. Sono una pasionaria nelle battaglie in cui credo. Ma non ideologica. Se Renzi fa una cosa giusta, non diventa sbagliata perché non siamo noi a farla». Non condivide l’opposizione di Fitto? «Fitto sbaglia modi e tempi. Ha combattuto con me, contro le insidie di Alfano, perché il presidente fosse il leader indiscusso. Ora chiede le primarie e democrazia interna. C’è coerenza? Il centrodestra è però stinto. Nemmeno per la Giustizia si batte più. «Non come vorrei io. Anche gli italiani hanno rinunciato alla battaglia. Con quello che è successo al presidente, doveva scoppiare la rivoluzione. La sinistra scende in piazza per minchiate e noi, per una questione di vita e libertà, non siamo riusciti a riempire le strade del Paese. Mi sento colpevole e mi vergogno quando sono davanti a lui». Oggi, Fi è data al 13 per cento. Quattro milioni di voti meno del 2013. «L’elettore vuole il presidente che, di fatto, non c’è. Non va più in tv. È stato massacrato fisicamente, giudiziariamente, nel patrimonio, nel morale. Ce l’hanno tolto, sequestrato, abbattuto. Il suo delfino gli ha voltato le spalle nel momento del bisogno. E per cosa? Per una poltrona!». Alfano non le va giù? «Guai a ritrovarmelo accanto. Si vedeva a occhio che era un traditore. Come ha trovato il coraggio, col presidente in quelle condizioni?» Non può chiamarlo Silvio, invece di ripetere presidente, presidente? «Gli do del tu, ma mai oserei chiamarlo Silvio. Nemmeno se mi autorizzasse. Lui “è” il presidente!». Ora fa la santerellina. Ma, anni fa, rompendo con lui, gli dette del femminiere con linguaggio a luci rosse. «Faccio la guerra quando gli uomini sono forti. Allora era il più forte d’Italia. Sparo al viso, non alle spalle». L’elettorato di Fi è in libera uscita verso i due Mattei, Renzi e Salvini. «Salvini è bravo. Affronta temi, come l’euro e l’immigrazione, che mi appartengono molto. Provo per lui invidia politica». Dovreste affrontare anche voi questi argomenti. Lei che fa? «Non sono il leader del partito e sono una persona libera. Il leader è il presidente, ma non è più un uomo libero. Siamo incastrati». Renzi ci tira fuori dalla crisi? «Dobbiamo provare, nonostante Renzi sia altro da noi, a fare insieme le riforme. Finora, ho visto solo più tasse e l’Italia guidata da lui perde due a zero con gli altri Paesi. Ciò che dice mi piace, per esempio quando rintuzza Camusso. Ma oltre le parole non va». Da imprenditore, uscirebbe dall’euro? «Io andrei all’Ue a dire: “Ci avete rotto”. Noi siamo il terzo Pil europeo. Se non accettate le mie condizioni -fare della Bce una vera banca centrale tipo Fed e suddividere tra tutti i debiti nazionali- io mi riprendo la sovranità monetaria». Il Cav non oserebbe mai. «Dottore, si ficchi nella testolina che lui è praticamente agli arresti e qualsiasi posizione politicamente forte prenda, gliela farebbero pagare. Uno solo potrebbe aiutarlo, ma se ne guarda». Mi lasci indovinare. Napolitano di cui avete votato il mandato bis? «Non lo voterei mai più, mai più, mai più». Mare Nostrum? «Male nostrum». Lei ha uno yacht. Sempre pronta a salpare verso lidi più ospitali? «Non ho più la barca. Ma mai l’avrei usata per abbandonare il mio Paese. Ho l’orgoglio dell’appartenenza, della patria, della bandiera». Su questo Santanchè si alza in tutta la sua bella statura, più tacchi, e sembra l’Italia turrita alla luce del sole romano.
Giancarlo Perna, Libero 25/10/2014