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 2014  ottobre 25 Sabato calendario

LA VERA PARTITA È CON BERLINO

Nell’area euro l’Italia pesa per appena il 17% del Pil, ma vorrà pur dire qualcosa se due italiani occupano il centro della scena. Questa settimana hanno continuato a farlo e le loro vicende, diverse, sono collegate da vasi comunicanti. Matteo Renzi ha reso pubblica la polemica con la Commissione Ue sulla Legge di stabilità.
FINO a raggiungere una fragile tregua. Mario Draghi invece non ha cercato pubblicità ma, suo malgrado, una fuga di notizie ha finito per metterlo ancora una volta sotto i riflettori.
Le indiscrezioni sul presidente della Bce, riportate da Reuters, riferiscono che il rapporto con certi interlocutori chiave in Germania è ormai a pezzi. Fra Draghi e Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, l’ultimo consiglio dei governatori si è trasformato in uno scambio di accuse di una durezza senza precedenti. L’italiano e il tedesco si sarebbero rinfacciati a vicenda di sabotare l’attività della Bce attraverso fughe di notizie sui giornali e iniziative prese senza consultare i rivali interni. Il rapporto fra l’uomo chiamato a gestire la banca centrale dell’euro, Draghi, e il suo azionista di maggioranza, Weidmann, è ai minimi termini e difficile da ricostruire.
Non poteva succedere in un momento peggiore: in otto Paesi su diciotto nell’area euro gli ultimi dati segnalano una caduta dei prezzi. In quasi tutti i Paesi dell’area salvo la Germania — ma con l’Italia inclusa nel club — il debito pubblico e privato continua a salire benché il deficit medio di Eurolandia sia in calo. Non è sorprendente: l’ultimo anno ha dimostrato che con l’inflazione a zero o sottozero, l’effetto dei tassi d’interesse è molto più pesante e rende quasi impossibile arrestare l’ascesa del debito. Dal 2007, quello medio dei governi è salito dal 66% al 93% del Pil malgrado dosi da cavallo di tagli e tasse.
È qui che s’innesta il vaso comunicante che porta a Renzi. Succede perché la deflazione, un campo di responsabilità della Bce, non può che vanificare ogni sforzo dei governi per stabilizzare il debito. È possibile che l’Italia nei prossimi giorni trovi un compromesso sulla manovra, evitando che la Commissione Ue gliela respinga. Ed è possibile anche che nelle prossime settimane o mesi la Commissione e l’Eurogruppo, il club dei ministri finanziari, finiscano per inserire l’Italia in qualche procedura di sorveglianza basata sul Fiscal Compact: il debito resta comunque troppo alto.
La Germania e i suoi molti alleati, dai Paesi Baltici alla Finlandia, dall’Austria all’Olanda, fino alla stessa Spagna, non disdegnano l’idea di un’Italia in qualche modo vincolata. È un Paese troppo grande, con un debito troppo alto e un processo politico troppo caotico e vischioso, perché chi può non sia tentato di metterlo sotto controllo. In uno dei loro ultimi incontri, il commissario Ue Jyrki Katainen avrebbe detto a Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, qualcosa di strano solo in apparenza: se l’Italia vuole flessibilità di bilancio, accetti una procedura di Bruxelles. Si lasci mettere su un binario in cui deve rispondere a una lettera al mese, e solo allora potrà ottenere il via libera a un passo più morbido nel gestire i conti pubblici.
Questo ormai è un conflitto politico, avvolto in un guscio giuridico, chiuso in un dramma economico. Renzi e Draghi non fanno squadra, non sono tenuti a farlo, ma l’interazione è chiara: in Germania Draghi è accusato (a torto) di voler sussidiare il crescente debito italiano con fondi tedeschi, ciò complica l’azione della Bce e la paralisi che ne risulta aggrava la deflazione e la deriva del debito. Se non viene spezzata, questa spirale può finire per uccidere l’euro.
Ormai non si tratta più di distribuire i torti e le ragioni, ma di capire cosa è possibile fare per fermare l’avvitamento. Renzi per esempio può giocare una carta che garantisce la sua aspirazione all’autonomia politica nell’area euro, ma dà respiro al Paese e rassicura gli altri europei. Può pensare alla manovra di bilancio in modo innovativo: i tagli di tasse devono arrivare subito, magari anche più forti di quanto previsto fin qui, ma i tagli di spesa — anch’essi più forti — possono seguire scalati nel tempo. Vanno decisi fin d’ora, fissati per legge entro Natale in modo da dare certezze a Bruxelles e ai mercati, per poi farli entrare in vigore via via dal 2015 al 2018. A quel punto opporsi sarà difficile per chiunque. E Renzi e Draghi saranno ancora al centro della scena, ma senza il sospetto e le accuse che oggi li circondano.