Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 24 Venerdì calendario

ZEHAF HA AGITO DA SOLO MA AVEVA CONTATTI CON GLI ISLAMISTI. VOLEVA ANDARE A COMBATTERE IN SIRIA, INTANTO VIAGGIAVA TRA LIBIA E USA. A UN SUO AMICO CONFESSÒ DI ESSERE PERSEGUITATO DAL DIAVOLO: «PARLAVA DELLA PRESENZA DI SHAYTAN NEL MONDO, PENSO FOSSE MALATO»

Ha agito da solo, ma aveva contatti col mondo jihadista. Ora le indagini puntano a capire se Michael Zehaf Bibeau ha attaccato il Parlamento canadese di sua iniziativa, ispirato dalla propaganda dell’Isis, oppure se aveva ricevuto l’ordine di colpire e lo ha fatto con l’aiuto di qualche complice. L’intelligence sa già che aveva avuto contatti con un militante dell’Islamic State, Hasibullah Yusufzai, e voleva andare in Siria.
Michael era nato 32 anni fa da Bulgasem Zehaf, uomo d’affari del Quebec di origine libica, e Susan Bibeau, vice direttrice di una divisione dell’Immigration and Refugee Board del Canada. Il suo nome originario era Michael Joseph Hall. Era cresciuto nell’area di Montreal e secondo Janice Parnell, una vicina di casa, «la madre era molto amorevole e coinvolta. Entrambi i genitori lo sembravano, e lui ha avuto una buona educazione». Nel 1999, però, il padre e la madre avevano divorziato, e una decina di anni fa lui si era convertito all’Islam, cambiando nome. Si era trasferito a Vancouver, dove lavorava come minatore, e presto aveva cominciato ad avere problemi di droga e guai con la giustizia. Nel 2011 era stato accusato di rapina, un caso che il suo avvocato, Brian Anderson, aveva trovato singolare: «Era stato incriminato per avere derubato una persona, e si era dichiarato colpevole di aver pronunciato una minaccia. Una roba piuttosto minore e abbastanza bizzarra». In quella occasione aveva subito anche una valutazione psichiatrica al Surrey Pretrial, ma era stato giudicato «sano». Il 22 febbraio del 2012 era stato condannato a un giorno di prigione.
I rapporti con la famiglia si erano compromessi, come testimonia la dichiarazione emessa ieri dalla madre Susan: «Piango per le vittime, non per mio figlio. Non lo vedevo da cinque anni, prima che la settimana scorsa si presentasse a pranzo. Perciò ho poche informazioni. Sembrava perso. Come puoi spiegare un’azione come la sua? Siamo dispiaciuti e ci scusiamo».
Il rapporto col padre era più complesso. Nel 2011 il giornale «Washington Times» aveva pubblicato una corrispondenza dalla Libia in cui un uomo di nome Belgasem Zahef aveva detto di essere venuto a combattere, ed era stato detenuto nel centro petrolifero di Zawiyah, dove aveva testimoniato torture. Anche Michael, secondo il quotidiano canadese Globe and Mail, era andato in Libia, e un amico del killer, Dave Bathurst, ha detto che voleva tornarci per studiare l’Islam. Dave pensava che Michael avesse problemi mentali: «Una volta disse che il diavolo lo perseguitava. Parlava della presenza di Shaytan nel mondo, penso fosse malato». Sei settimane fa, mentre pregava in una moschea di Vancouver, aveva detto che voleva andare in Libia, ma non era nella lista dei 90 canadesi sospettati di terrorismo.
Secondo Bathurst, Zahef aveva conosciuto Hasibullah Yusufzai, un uomo incriminato a luglio dalle autorità canadesi perché era andato in Siria a combattere con l’Isis. Questo è il punto di partenza che gli inquirenti stanno usando per capire se Michael è stato solo ispirato dalla propaganda dell’Isis, partecipando alle comunicazioni online, oppure se ha ricevuto l’ordine di attaccare e l’aiuto di qualche complice per farlo. Era arrivato ad Ottawa il primo ottobre, per ottenere il passaporto con cui andare in Siria. Nei dieci giorni precedenti all’attacco ha vissuto insieme ad altri due giovani nell’ostello per homeless Mission, vicino al Parlamento, dove insegnava loro i precetti dell’Islam. Cercava un’auto, che ha acquistato martedì. La mattina di mercoledì i tre sono spariti insieme, dopo che era scattato l’allarme anti incendio. Poi è iniziato l’attacco, documentato da un drammatico video in cui si vede Michael che abbandona la sua auto, ne ruba un’altra, e parcheggia davanti al Parlamento. Di sicuro l’Islamic State ha una rete in Canada, da cui si stima che siano partiti circa 130 militanti andati poi in Siria a combattere. Ha prodotto e trasmesso un video di ottima qualità, in cui un ragazzo canadese spiega perché si è unito alla jihad. Michael seguiva questa propaganda, come Martin Couture-Rouleau, che lunedì ha investito un soldato vicino Montreal, uccidendolo. I due episodi però non sono collegati, e se dietro ci sia una rete organizzata che sta spingendo i militanti locali ad attaccare, è il mistero che gli inquirenti stanno cercando di risolvere. Yusufzai, l’uomo che potrebbe avere la risposta, è ancora latitante. Il ministro degli Esteri canadese ieri ha detto che non ci sono prove dell’esistenza di una rete, ma il governo non la esclude. Michael era andato anche quattro volte negli Usa, e l’intelligence americana sta ripercorrendo le sue tracce, per interrogare le persone con cui era entrato in contatto. L’incubo è che oltre il confine ci siano altri jihadisti.
Paolo Mastrolilli, La Stampa 24/10/2014