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 2014  ottobre 24 Venerdì calendario

L’ORDINE GIUDIZIARIO, L’INDIPENDENZA DEI MAGISTRATI E LA NASCITA DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA: RICORDO GIUSEPPE MARANINI, UNO DEI MAGGIORI STORICI LIBERALI DEL SISTEMA POLITICO ITALIANO

Ero presente ad alcune lezioni del compianto professor Giuseppe Maranini alla facoltà di Scienze politiche a Firenze. Oltre al regime partitocratico (la sua specialità, se così posso esprimermi), mi sembra abbia parlato anche di regime dei giudici. Ci vuole ricordare Maranini e delinearci i caratteri del «regime dei giudici»?
Roberto Giusti
rwright@libero.it
Caro Giusti,
Maranini, morto nel 1969, fu uno dei maggiori storici liberali del sistema politico italiano e tra i primi, insieme a Panfilo Gentile, che denunciarono l’abnorme potere dei partiti nella repubblica creata dopo la caduta del fascismo. Ma il capitolo che dedicò all’ordine giudiziario in uno dei suoi ultimi libri, apparso nel 1967 e più recentemente presso Corbaccio nel 1995 (Storia del potere in Italia 1848-1967, con una prefazione di Angelo Panebianco), fu straordinariamente positivo. Riconobbe che i costituenti ebbero il coraggio di proclamare l’indipendenza dei magistrati — giudici e procuratori — dal potere esecutivo e di prevedere la creazione di un organo di autogoverno (il Consiglio superiore della magistratura). Non era preoccupato dalla loro indipendenza, finalmente conquistata, ma dal modo in cui il governo, con la legge del 1958, aveva cercato di restituire al ministro di Grazia e Giustizia, surrettiziamente, l’autorità di cui aveva goduto in passato. Non gli piaceva, tra l’altro, che il primo sistema elettorale del Consiglio riservasse ai pochissimi giudici della categoria superiore (la Corte di cassazione) una «prevalenza schiacciante».
Questa era la posizione di Maranini negli ultimi anni della sua vita. Diverso sarebbe stato il suo giudizio, probabilmente, se fosse stato testimone di ciò che accadde negli anni seguenti. Non gli sarebbe piaciuta, in primo luogo, la nascita nel sindacato dei giudici e dei procuratori (l’Associazione nazionale magistrati) di famiglie ideologiche che avrebbero avuto una funzione determinante nell’attività del Consiglio. E non avrebbe mancato di notare che l’introduzione, alla fine degli anni Ottanta, del processo accusatorio («alla Perry Mason», come venne popolarmente definito) sarebbe stato difficilmente compatibile con due caratteristiche del sistema italiano: l’obbligatorietà dell’azione penale e l’esistenza di una sola carriera per giudici e procuratori.
Non credo che Maranini avrebbe denunciato un inesistente «regime dei giudici». Ma avrebbe certamente osservato che l’obbligatorietà dell’azione penale è lo schermo dietro il quale si nasconde, in realtà, la discrezionalità del procuratore: una prerogativa che non va d’accordo con l’unità delle carriere.
Sergio Romano, Corriere della Sera 24/10/2014