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 2014  ottobre 24 Venerdì calendario

I JIHADISTI A SAN PIETRO ARRIVANO DOPO I COSACCHI. TRAFFICO PERMETTENDO


Di riffa o di raffa non trova pace piazza San Pietro, forse troppo maestosa e comunque troppo simbolica per godersi i suoi ricordi, i suoi pieni, i suoi vuoti, i suoi monumenti destinati a infuocare il più remoto immaginario. Così, dopo un secolo invano funestato dalla pseudo profezia sui cosacchi che avrebbero abbeverato i loro cavalli alle fontane semi gemelle di Maderno e di Bernini, ecco qui sotto la paranoia patinata che la rivista turbo-islamista Dabiq ha graziosamente offerto in copertina: un fotomontaggio con il drappo nero della jihad issato in cima all’obelisco vaticano, oltre 25 metri per 327 tonnellate di granito rosso d’Oriente.
E per quanto sia dubbio che agli eventuali cavallerizzi bolscevichi interessasse sapere che sull’acqua delle due fontane gravavano da secoli i consueti sospetti di corruzione («pe schiaffasse in zaccoccia li quadriti!» annota Belli in un sonetto), chissà se oggi i jihadisti sanno che l’antica guglia egizia fu trasportata da queste parti da imperatori – chi dice Caligola e chi Nerone – non esattamente vicini ai cristiani; e che poi l’obelisco rovinò a terra dove rimase fino al 1586, quando per energica volontà di Sisto V fu spostato e quindi riaddrizzato su un basamento di leoni sotto la guida dell’architetto Domenico Fontana con la partecipazione di 900 uomini, 140 cavalli, 47 argani e 5 potenti leve. Impresa titanica compiuta nel più rigoroso silenzio, la pena di morte comminata a chi avesse coperto gli ordini con la propria voce, ma poi la leggenda tramanda che le funi stavano per cedere e un operaio-marinaio genovese, tale Brusca, salvò il tutto gridando: «Acqua alle corde!».
Insomma, imperatori, papi, poeti, impicci idrici, marinai genovesi, per non dire soldati russi e maomettani che effettivamente già si erano segnalati in simultanea a Roma dopo la caduta della repubblica giacobina nel 1799; quando si dice la Città Eterna! Là dove l’eternità, se non giustifica, un po’ spiega lo scetticismo dei romani alle minacce degli ultimi aspiranti e sventolanti conquistatori: «Nun pijate er raccordo che restate imbottiijati!».