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 2014  ottobre 24 Venerdì calendario

USA, GLI SCHIAVI DELLO SHOPPING A NOLEGGIO


COMPUTER, tv a schermo piatto, Ipad, divani, tutti a prezzi da urlo. Ma non al ribasso, al rialzo. Benvenuti nell’America delle rate e del rent-to-own, dove chi meno guadagna più spende, tanto, male che vada, si può sempre restituire la merce.
Il fenomeno degli acquisti a rate non è nuovo, esiste da secoli, ma negli ultimi anni, dopo la crisi finanziaria del 2008, si è arricchito di mille nuove formule, specie negli Stati Uniti, dove nonostante una ripresa economica ormai robusta da due anni a questa parte, le fette più povere di popolazione sono sempre più povere.
L’ultimo boom, quello più estremo, è quello dell’affitto con riscatto, dove, formalmente, si noleggia un bene, che sia un elettrodomestico, un mobile o un telefonino e a un certo punto, se si finisce di pagare, si ha la possibilità di acquistarlo definitivamente. Solo che, a conti fatti, l’esborso totale sarà quattro o cinque volte il valore commerciale dell’oggetto comprato.
Così un divano da 1.500 dollari, comprato a suon di rate da venti dollari a settimana, ne costerà alla fine 4.100, una tv da 900 ne costerà 3.600. Ma non è usura? No, perché, legalmente si parla di affitto e quindi le restrizioni per i tassi usurai non valgono. Negli ultimi anni le catene che offrono questo tipo di servizio si sono moltiplicate e i punti vendita sono nati a decine, specie negli Stati più poveri, principalmente quelli del sud. Le principali aziende del settore sono Rent-a-center, Aaron’s e Buddy’s. Quest’ultima nel 2008 aveva ottanta negozi, ora ne ha 204 e per il 2017 conta di arrivare a 500. «Non ho mai visto una clientela o un’economia del genere ha raccontato al Washington Post Joe Gazzo, il presidente della compagnia, che, ironia della sorte, ha lo stesso nome del faccendiere e usuraio dei film di Rocky in un giorno ci possono essere cinque nuove aperture di conto e cinque chiusure, con relativa restituzione della merce. Praticamente si diventa una specie di Blockbuster». Sì, perché i clienti tipo di questo genere di negozi sono principalmente persone escluse dai canali di finanziamento ordinari, ristrettisi ulteriormente dopo la bolla dei sub-prime nel 2007, persone che non si possono permettere un normale acquisto a rate e men che meno in contanti. E questo è uno dei motivi dei prezzi finali così alti: il rischio di insolvenza è infatti molto alto. Solo che, alla fine, l’insolvenza è virtuale, perché Buddy’s, così come i suoi concorrenti, vende anche prodotti usati e quindi l’oggetto restituito è spesso immediatamente re-inserito nel mercato. E finché c’è domanda il giro d’affari è garantito.
Insomma il business si autoalimenta e fiorisce su un presupposto, ovvero che continuino a esserci molte famiglie a basso reddito, insomma molti poveri.
Da questo punto di vista Gazzo ha poco da temere: nonostante il calo del tasso di povertà nel 2013, negli States il 14,5% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, che lo Us Census Bureau fissa a 23.624 dollari per una famiglia di quattro persone. Parliamo di 43,5 milioni di persone.
Janet Yellen, numero uno della Fed, recentemente ha dato voce alle sue preoccupazioni sulle diseguaglianze crescenti, ricordando che la metà più povera degli Stati Uniti oggi detiene appenana l’1% della ricchezza, mentre il 5% più ricco ne detiene il 63%. I redditi medi di questo top 5% dal 1989 al 2013 sono cresciuti del 38%, quelli di tutti gli altri sono cresciuti solo del 10%. «È giusto chiedersi – ha detto Yellen – se questo trend sia compatibile con i valori radicati nella storia della nostra nazione».
Anche le differenze regionali sono pesanti: gli Stati del sud, come dicevamo, sono sensibilmente più poveri degli altri. Arizona, New Mexico, Arkansas, Louisiana, Mississippi, Alabama, Georgia, South Carolina, hanno tutti tassi superiori al 18%, con un picco del 24,8% in Mississippi. Nelle scorse settimane Aaron’s, la seconda catena di rent to-own statunitense, ha patteggiato in California una maxi multa da 28,4 milioni di dollari per chiudere un’inchiesta per violazione delle leggi sulla privacy e sulla protezione dei consumatori.
Secondo le accuse del Procuratore Generale della California la compagnia ha caricato i prezzi, omesso clausole importanti nei contratti, installato sui computer venduti (o meglio noleggiati) software che registravano le digitazioni dei clienti, addirittura attivato webcams o microfoni per registrarli. La compagnia pagherà 3,4 milioni di multa, mentre 25 milioni sono quelli che dovrà restituire a l00mila dei suoi clienti. Una boccata d’ossigeno prima di mettersi a pensare alla prossima rata da pagare.