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 2014  ottobre 24 Venerdì calendario

DEL PIERO INSEGNA CALCIO TRA I RIFIUTI

«Guarda: è questa la strada giusta?». Ora, se un tassista indiano lo domanda a un giornalista italiano sbarcato per la prima volta a Delhi da due giorni, qualcosa che non va c’è. Forse. Perché l’errore è osservare la scena con occhi occidentali. Allora viene voglia di scappare e non tornare più. La stessa sensazione che ci colpisce appena mettiamo piede fuori dall’aeroporto: un pugno in faccia fatto di odori, colori e un frastuono assordante. Non il massimo come biglietto da visita. È in questa atmosfera che Alessandro Del Piero e Marco Materazzi domani si sfidano in uno strano Juve-Inter al curry. Anche per questo evento si va avanti tra la folla, salendo su una macchina difficile da decifrare e affondando dentro una megalopoli particolare, molto particolare. Entro il prossimo anno avrà circa 18 milioni di abitanti, seconda solo a Tokyo. Più o meno un terzo dell’intera popolazione italiana concentrata in una città. Se non fuggi, dopo 48 ore le cose cambiano: basta osservare la prospettiva dai loro occhi.

Cercando Del Piero Così 48 ore dopo non c’è più la vocina che sussurra «torna a casa, torna a casa subito», ma un sorriso e tanta curiosità per capire se alle 9 del mattino nel giorno di Diwali (la festa più importante dell’India, una sorta di mix tra Natale e Capodanno con candele accese nelle case e fuochi d’artificio dopo il tramonto) riusciamo a trovare l’albergo dove alloggia Del Piero e tutta la squadra dei Dynamos. Da lì il viaggio proseguirà verso il campo d’allenamento. Niente. Il tassista indica un albergo in lontananza. «E’ quello?». Ma se ha un altro nome… Battaglia persa. Poi l’uomo dal baffo nero pece ha un guizzo: si ferma ai bordi di una stradina sterrata dove riposano sono una decina di qualcosa che somiglia alle nostre moto Ape. Tutte colorate di giallo: sono taxi a buonissimo mercato (un paio di euro e vai dove vuoi). Nella “casta” dei taxi sono al penultimo posto: dietro ci sono solo i risciò, avanzano lenti nella calura (siamo a 31 gradi, umidità al 92% e smog fitto da nascondere il cielo) e sfidano con coraggio un traffico dove esiste una sola regola, suonare il clacson. Sempre. Nel frattempo il telefonino con la scritta dell’indirizzo passa di mano in mano. C’è chi indica sinistra, chi destra, chi scuote il capo, chi fa cenno di tornare indietro. Poi un ragazzo allarga le mani, dice qualcosa al nostro tassista e sorride. Fa «ok» con la mano. Si riparte. E si arriva: l’albergo era lì, 200 metri più avanti. Nascosto da un palazzo diroccato e con un affaccio tipico di Delhi: case colorate e bucherellate, bimbi in mezzo alla strada, abitazioni sgarrupate per dirla come gli alunni del maestro D’Orta. E nel parcheggio niente utilitarie, ma due mucche che pascolano tra i rifiuti. No, non è proprio questo il posto dove avremmo pensato abitasse Del Piero. Sono le 9 e qualche minuto: la squadra è sul bus nero. L’allenamento chiama.

Attraversando Delhi Il tassista ride, gli piace questa cosa di «seguire il pullman». Sarà che in India producono più film che in ogni parte del mondo e la scena ha dell’action movie. Specie la partenza: bus da una parte, noi dall’altra. In mezzo alla campagna, tra una tendopoli dove le persone osservano senza muovere muscolo. Ha tagliato il semaforo. Una scorciatoia per evitare di perdere il pullman. Sì, pensa di essere in un film. Gli parliamo di Del Piero, ma non reagisce. Alla parola «calcio» fa spallucce. Se diciamo «cricket» parte in quarta e inizia una filippica in inglese-indiano da «indovina che ha detto». Meglio concentrarsi su Delhi. Per arrivare al campo utilizzato dai Dynamos, bisogna andare verso Nord: zona universitaria. La struttura è nuova: inaugurata nel 2010 per i Giochi del Commonwealth. Ma è tutto il resto ad attirare la nostra attenzione. La capitale indiana offre visioni indimenticabili. Ed è inutile giudicare. Prendiamo nota: nel fiume i rifiuti sono più delle foglie, ma bagnarsi è normale. Come dormire capo sotto su un risciò nei pressi di un marciapiede, mentre tutto intorno è un delirio. Oppure i negozi di strada: barbiere, meccanico, alimentari, fruttivendolo. Tutto appoggiato a un muro, al massimo una sedia per far accomodare il cliente. Capitolo a parte il cibo di strada: «non mangiare nulla che non sia sicuro». Beh, in mezzo alla via chiedere pulizia è impossibile, ma odori e colori sono invitanti. Basta chiudere gli occhi e non pensarci. Se poi ci si avventura nei bazar della vecchia Delhi, allora il ricordo del viaggio sarà indelebile: le parole non spiegano nulla.

Visioni «Il Red Fort, ecco il Red Fort». Maestoso. Proprio sulle rive del fiume Yamuna. Perché Delhi è anche questo: incredibili monumenti (molti patrimonio dell’umanità) che all’improvviso sbucano dal nulla. Come l’hotel di Del Piero. Non c’è il Taj Mahal (è ad Agra, 200 chilometri dalla capitale), ma il Minareto di Qutb, la tomba di Humayun, l’Akshardham, il tempio del Loto e molti altri reggono il passo. Come il tassista. Eccoci al campo. Del Piero dispensa consigli ai compagni indiani e alla fine resta da solo a provare punizioni. Nel pomeriggio intervista. E ora rientriamo alla base. E non abbiamo una macchina. Camminiamo un po’, poi vinti dal caldo chiediamo a un ragazzo col risciò di portarci verso un taxi. Orgoglioso ci mostra i college, mentre fluttuiamo tra semafori e mucche che ci sorpassano. Alla fine sotto un grande albero ecco un signore con turbante e barba bianca. Quella è un auto? Sì, perché gli occhi non sono più quelli dell’occidentale. Il tempo di dare 5 euro al ragazzo (ci ringrazia 10 volte: qui in molti vivono con meno di 2 dollari al giorno) e si parte. Seconda strada a destra e poi dritti fino al tramonto. No, questa non è l’isola che non c’è. Anche perché l’uomo con la barba bianca per girare a destra non mette mica la freccia: meglio un bel braccio penzolante dal finestrino...