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 2014  ottobre 23 Giovedì calendario

ABATE: «A VITA NEL MILAN»

Ai cambiamenti Ignazio Abate è abituato. In fondo è figlio di un portiere, cresciuto come un’ala e maturato come terzino. E poi ha vissuto e giocato al nord e al sud, al mare, in pianura e vicino alle mon­ tagne; in città grandi e piccole. Nulla lo spaventa e il motivo è semplice: lui pensa solo a fare il suo dovere.
L’ultimo cambiamento è quello più importante: da riserva a titolare, da comparsa a protagonista. Tutto nel giro di pochi mesi. Da Seedorf a Inzaghi, si po­ trebbe dire: con l’olandese Abate non giocava, con Pippo è intoccabile. Ma dietro alla crescita nel rendi­ mento c’è tutto il lavoro di Ignazio. Che ha saputo ignorare una serie di cattiverie concentrandosi solo sul campo. E i risultati si vedono. «L’abbraccio dopo Abate, si sente un giocatore ri­ trovato? «Il cambio di allenatore ha fatto bene a me e al gruppo, si respira un’aria diversa. Ma non mi esalto adesso come non mi sono depres­ so prima».
Perché l’arrivo di Inzaghi è sta­ to così importante? «Lo conosco da anni: Inzaghi è un maniaco, un perfezionista. Lo era da giocatore e lo è da tecnico.
Nello spogliatoio si fa rispettare: c’è il momento in cui si lavora, e lì Inzaghi non transige, e il momen­ to in cui si può scherzare. C’è una fiducia corrisposta tra noi e lui. Da tanto non si respirava un’aria così a Milanello». Con Seedorf cosa non ha funzionato? «Non gli ho mai chiesto spiegazioni per le esclu­ sioni e gli ho sempre detto le cose in faccia. Pretendo solo rispetto e lealtà. In quei mesi soffrivo, rischiavo di perdere il Mondiale. È stato un capitolo sfortuna­ to per me e per il Milan. Mi ha fatto piacere che See­ dorf abbia detto che mi sono sempre comportato da professionista».
Leonardo era stato il primo a darle fiducia e Alle­ gri aveva continuato sulla stessa strada. «Leonardo è stato fondamentale: quell’anno pen­ savo di fare il ritiro e poi andare via. Mi voleva la Roma. Mi impostò Leonardo da terzino. Lui ha cam­ biato un po’ la mentalità della società puntando sui giovani. Con Allegri all’inizio non giocavo, ma dopo il Real non sono più uscito. Con lui ho un rapporto di amicizia: è una persona leale, sincera, vera».
Per questo la vuole alla Juve. Lei che cosa intende fare? Il contratto è in scadenza. «La mia priorità è il Milan: lo aspetterò finché po­ trò. Questa è casa mia, anche se so che nel calcio ci si può separare. Io voglio restare e chiudere qui la car­ riera. Non riesco a vedermi con un’altra maglia ad­ dosso, almeno in Italia: al massimo andrei all’estero.
Ma il momento di salutarci non è arrivato. Quando arrivo a Milanello, mi emoziono ancora». Si diceva che lei fosse il cocco di Ibra. Ci sono stati pregiudizi nei suoi confronti? Si è sentito sotto­ valutato? «Di Ibra ero e sono amico. Ci sentiamo spesso e mi dispiace per­ ché non può giocare per un pro­ blema al tendine. Ma la nascita di certe voci non le capisco: sta alla sensibilità e all’intelligenza di cia­ scuno valutare le cose nel modo opportuno. Io so di poter andare in giro a testa alta, mi sono sempre comportato da professionista, ho pensato solo a lavorare e mi meri­ to le soddisfazioni attuali».
A proposito, secondo la media voto della Gazzetta lei è il secondo miglior difensore della Serie A dietro a Romagnoli. Gli esterni de­ stri più quotati, Lichtsteiner (6,29) e Maicon (6,25), sono alle sue spalle. Se l’aspettava? «La continuità è il vero salto di qualità che ho fat­ to. Ha influito l’allenatore e anche la posizione: gio­ care 20 metri più avanti mi consente di arrivare più lucido al cross. Non penso a prendermi rivincite, ma mi godo il momento di forma: se sto bene fisicamen­ te riesco a giocare con maggiore tranquillità».
La catena di destra con Honda e la vocazione of­ fensiva del Milan sono un aiuto? «Con Keisuke ho un grande affiatamento. Cer­ chiamo di mettere in pratica quello che ci chiede l’al­ lenatore. Abbiamo una mentalità offensiva, ma sap­ piamo che Inzaghi vuole equilibrio e ci adattiamo alle varie situazioni della partita senza perdere la nostra identità».
La Nazionale è il prossimo passo? «Non ci penso, mi concentro solo sul lavoro quoti­ diano. Se poi il frutto di questo lavoro fosse l’azzur­ ro, sarei ovviamente felice».
Ma Abate può essere per Conte il Lichtsteiner az­ zurro? «Giocare a cinque è diverso che farlo a quattro. A cinque hai compiti più offensivi, a quattro devi fare più spesso le diagonali difensive. Però credo di po­ terlo ricoprire bene questo ruolo».
Chi è stato il suo modello? «Ho sempre seguito l’esempio di Gattuso. Io ho la stessa mentalità di Rino: dare sempre il massimo per me è la normalità».
Ad alcuni mesi di distanza, voi giocatori dovete rimproverarvi qualcosa per il Mondiale? «Sarebbe sbagliato dare la colpa solo a Prandelli.
Fisicamente non eravamo al 100%. È vero che nel resort si respirava poco l’aria del Mondiale. Io non ho portato la famiglia perché per me il ritiro è ritiro.
Detto ciò, non c’era un clima vacanziero».
La finale dell’Europeo 2012 giocata da titolare è insieme il ricordo più bello e più brutto? «È stata una mazzata, eravamo convinti di vince­ re. Ma la Spagna era più riposata di noi».
Riuscirà ad aiutare Torres a sbloccarsi? «Non credo che Nando stia facendo male. I suoi movimenti sono sempre funzionali alla squadra. E poi è un grande professionista e un esempio per tut­ ti: ci mette il cuore».
Quale immagine fotografa il Milan di Inzaghi? «L’abbraccio dopo i gol: il gruppo è la vera forza.
Siamo tanti e per l’allenatore non è facile gestirci.
Eppure non ci sono problemi».
Non segna da oltre un anno. Le manca il gol?
«No: di gol ne ho sempre fatti pochissimi. Preferi­ sco concentrarmi sugli obiettivi della squadra. Il ri­ torno in Europa è obbligatorio, poi vedremo in quale coppa. Certo, ci manca da morire giocare il martedì e il mercoledì sera».