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 2014  ottobre 23 Giovedì calendario

QUANDO PARLA LO SCIMPANZÉ


Una mamma scimpanzé si incammina nella foresta tropicale in Uganda, seguita dal suo piccolo. Si volta e lo vede lontano e distratto: si ferma, alza leggermente il piede sinistro e aspetta. Il cucciolo accelera, le sale sulla schiena e la madre riparte. Poco lontano, un maschio afferra una foglia, l’infila in bocca e comincia a ridurla a pezzettini, guardando con fare allusivo una femmina vicina. Sta invitandola ad accoppiarsi con lui. Sono alcuni dei gesti che Catherine Hobaiter, dell’Università di Saint Andrews, in Scozia, ha visto compiere a un gruppo di scimpanzé, dopo centinaia di ore di osservazione. Nella Repubblica Democratica del Congo, intanto, un altro gruppo di ricerca ha studiato il comportamento dei bonobo, parenti più gracili, pacifici e rari degli scimpanzé e ha scoperto che almeno un gesto di queste scimmie ha caratteristiche particolari. I ricercatori hanno osservato maschi e femmine mandare un segnale a esemplari dell’altro sesso per invitarli a un rapporto: un preciso muovere il braccio e la mano, che i primati ripetono nel caso gli “invitati” non abbiano risposto, o non abbiano notato.

DIALOGO NELLA GIUNGLA. Sia in un caso sia nell’altro, gli zoologi sono convinti di aver assistito a un evento mai registrato prima: scimpanzé e bonobo non facevano movimenti a caso, ma si “esprimevano”. Un comportamento molto simile a quello di noi uomini, quando ci rivolgiamo ad altri usando le parole. Secondo Emilie Genty, dell’Università di Neuchâtel in Svizzera, che ha studiato i bonobo per molte settimane e ha descritto il segnale che invita all’accoppiamento, «queste scimmie usano atti veramente simbolici, che richiamano cioè un oggetto o, come in questo caso, un movimento. Nessuna delle due caratteristiche è stata osservata finora in altri animali e questo gesto in particolare indica un’azione, proprio come accade per l’uomo». Catherine Hobaiter è d’accordo: «Un vero linguaggio? Non proprio. Ma, se pure non possiamo definirlo così, è il sistema che conosciamo più simile al linguaggio umano».

SENTI CHI PARLA. La maggior parte degli animali è in grado di comunicare; quando un uccello canta, un cane abbaia, una farfalla emette un feromone o una lucciola risplende, produce un segnale rivolto ad altri esemplari della propria specie (o di altre). Ma gli individui si comportano così automaticamente, senza pensare a chi potrebbe raccogliere il loro messaggio e quali possono essere le conseguenze di ciò che stanno facendo. Si credeva finora che ciò valesse anche per gli scimpanzé. «Nel passato, quando si sono analizzate le vocalizzazioni emesse dalle scimmie antropomorfe per segnalare vari tipi di pericolo (come la presenza di un serpente o di un leopardo) non era mai stato chiaro se il segnale fosse lanciato per avvertire gli altri di un pericolo, oppure come semplice risposta del singolo alla presenza del predatore», afferma la più importante primatologa italiana, Elisabetta Visalberghi, dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr.
E invece, secondo queste ricerche, i bonobo e gli scimpanzé “parlano” per trasmettere informazioni, proprio come facciamo noi umani. «Lo studio dimostra chiaramente che la comunicazione attraverso i gesti mira a cambiare ciò che l’altro sa, e possibilmente il suo comportamento. Attraverso questi segnali una scimmia è in grado di richiedere all’altra di avvicinarsi, di spostarsi, di andare con lei», spiega Visalberghi.

VOGLIA DI COMUNICARE. Insomma, e qui sta il nocciolo della scoperta, i gesti di queste scimmie sono intenzionali. Non casuali spostamenti di mani o piedi in risposta a emozioni interne, oppure reazioni a quanto loro accaduto, come quando strilliamo se ci scottiamo, bensì “messaggi al mondo” o almeno ad altri individui della stessa specie.
Ma quanto somiglia al linguaggio umano questa comunicazione? I gesti hanno la stessa origine evolutiva delle nostre frasi, così lunghe e complesse? Man mano che le prove si accumulano, e passano gli anni, gli scienziati sono sempre più convinti che nel comportamento delle grandi scimmie (non solo scimpanzé e bonobo, ma anche gorilla e orango) ci possano essere i precursori della comunicazione umana. I gesti di questi primati, aggiunge Hobaiter, erano stati osservati molti anni fa in gruppi di scimmie in cattività; ma nessuno si era mai chiesto se significassero qualcosa: «I movimenti delle mani erano classificati come “gesti che riguardano il cibo, o il sesso, o la lotta”. Ma nessuno si era mai chiesto se volessero dire qualcosa di speciale, come “Vieni con me”, oppure “Grattami qua”».

VOCABOLARIO. Le osservazioni in natura hanno però chiarito molte cose e ne hanno svelate altre. Per esempio: negli scimpanzé i ricercatori hanno determinato che a 66 gesti corrispondono almeno 19 significati, come “ehi, sono disponibile” o “sali su” oppure ancora “pronto per il grooming”. Un vero vocabolario.
E se uno scimpanzé si rivolge a un capo della tribù per negare qualcosa, segnalerà il “no” usando un gesto. Se però lo dice a un sottoposto ne userà un altro. «È anche una questione di politica del gruppo: devi stare attento a come parli col tuo capo, ma sei più libero se ti rivolgi a tuo fratello», osserva Hobaiter.
Non solo: a ogni movimento possono corrispondere più messaggi. Grattarsi rumorosamente può significare “spulciami” o “viaggia con me”. Proprio come nei linguaggi umani: la parola “tasso” per
noi significa molte cose, dall’albero all’animale; tutto dipende dal contesto.

ANTENATI PARLANTI. Le ricerche servono anche, e soprattutto, a capire come si è evoluto il nostro linguaggio. Visto che tre specie molto simili nel Dna, come uomo, scimpanzé e bonobo, hanno metodi simili per comunicare (gesti, espressioni, suoni) potrebbe darsi che i nostri comuni antenati, che risalgono a circa 7 milioni di anni fa, usassero anch’essi gli stessi metodi. Grazie a questi studi siamo più vicini a capire l’origine evolutiva della nostra caratteristica più importante: il linguaggio, appunto.
Elisabetta Visalberghi invita comunque alla prudenza: «Gli autori di queste ricerche ritengono che l’antenato in comune con le scimmie antropomorfe fosse capace di comunicare intenzionalmente una serie di messaggi diversi. Personalmente credo che sarebbe necessario analizzare la gestualità di altre specie di primati. Reputo infatti che anche in specie più lontane da noi si potrebbe trovare una simile complessità».

LINGUAGGIO? NI... Hobaiter definisce i gesti degli scimpanzé un simil-linguaggio perché mancano ancora alcuni elementi che nella comunicazione umana sono invece fondamentali. Per esempio la grammatica, la possibilità cioè di combinare le parole secondo regole precise. Manca anche la capacità di infilare le parole una dopo l’altra, per creare un numero potenzialmente infinito di frasi. È vero che in altri animali sono stati scoperti rudimenti di grammatica, ma non di volontà di comunicare. È probabile dunque che il linguaggio umano non sia un “prodotto” unico, ma sia composto da una serie di elementi diversi. E che tutti questi moduli si siano combinati, nel corso dell’evoluzione, soltanto nel cervello dell’uomo. Conclude Elisabetta Visalberghi: «Di differenze ce ne saranno sempre... Non siamo forse l’unica specie che comunica anche per scritto e nel tempo? Noi possiamo decifrare oggi messaggi scritti da persone morte migliaia di anni fa...». Eppure, osservando “colloqui” come quello tra madre e figlio scimpanzé nelle foreste ugandesi, è difficile negare chi più avanzano le conoscenze, più la distanza tra noi e le altre specie di animali intelligenti si va assottigliando.
Marco Ferrari