Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 23 Giovedì calendario

IN UNA PALLOTTOLA NEL CUORE, GIGI PROIETTI SI TRASFORMA IN UN CRONISTA DEL MESSAGGERO PER RACCONTARE IL GIORNALISMO «CHE TUTTI VORREMMO. UN LAVORO CHE SPRONA AL GIOCO DI SQUADRA, ALLA TRASPARENZA, ALLA RESTITUZIONE INTEGRA DEI FATTI»

[Intervista] –
C’era una volta, e c’è ancora, un cronista di professione e per vocazione che fa il suo lavoro come se l’Italia non fosse mai cambiata. Uno di quei giornalisti che batte le strade di Roma nell’intento di restituire i fatti così come sono. Un uomo onesto, controcorrente in tempi in cui i furbi e traffichini hanno la meglio (apparentemente). Un redattore de Il Messaggero che ricorda il Perozzi e l’epoca di Amici miei, quando i quotidiani chiudevano a notte fonda mentre aprivano i bar e in giro c’erano ancora le “lucciole”. Un cronista gentiluomo con una Cabriolet Anni 70 (in omaggio al Tenente Colombo), integerrimo, serio ma sempre con la battuta pronta, che tanti anni prima, una sera come tante, è stato ferito chissà da chi e chissà perché. E che da allora gira in taxi e convive Una pallottola nel cuore. Questo il titolo della serie in quattro film tv che, diretti da Luca Manfredi, andranno in onda su Raiuno a partire da lunedì 27.
Protagonista, un gigantesco Gigi Proietti. Che con la sua magistrale prova d’Attore illumina la serie di effetti speciali.
Che cosa pensa Proietti dei giornalisti?
«Prima che facessi questo mestiere provavo grande rispetto nei confronti di chi stava sempre sul pezzo. Adesso che il Paese è in queste condizioni - ride - non credo che la categoria sia migliorata. Mentre mi piacerebbe molto che i redattori, zaino in spalla e le tasche piene di passione, tornassero in pista. Ritrovando così la fiducia dei lettori».
La serie allora è un po’ troppo ottimista.
«L’abbiamo realizzata proprio per raccontare il giornalismo che tutti vorremmo. E non penso che sia una favola. Al contrario, è un lavoro che sprona al gioco di squadra, alla trasparenza, alla restituzione integra dei fatti. Poi se nonostante tutto l’impegno possibile, la verità non riesce a venire a galla - prendi il delitto via Poma - be’, allora quello rientra nelle statistiche».
Il suo personaggio ha il cuore matto...
«Già, quella pallottola si muove come le pare. Ed è per questo che quando mi si vuole inchiodare a una scrivania, tra accettare di andare alla Cultura e lasciare la Cronaca, preferisco la pensione».
Ma non se ne va davvero.
«Esco dal Messaggero per tornarci un giorno sì e l’altro pure perché mi viene una irrefrenabile voglia di mettermi a indagare su vecchi casi irrisolti. E non sono più imbrigliato come prima: niente limiti né orari. Faccio il detective, non all’americana, ma all’italiana, e poi porto il risultato al mio giornale di sempre».
Come mai Il Messaggero?
«Perché è il quotidiano di Roma. Una volta c’erano Il Tempo e Il Messaggero, poi aprì Paese Sera, che però aveva una connotazione politica, Repubblica è arrivata dopo, Il Corriere è di Milano, insomma, noi del cinema e chi è nato in questa città, è affezionato - abituato? - a quello che secoli fa era soprannominato il menzognero. Io ho anche collaborato con il giornale, scrivevo sonetti».
Che voce in capitolo ha oggi il giornalismo?
«So solo che ognuno deve fare la sua parte con onestà».
Cosa pensa del Paese?
«Vorrei poche parole, vorrei i fatti. Spererei di poter cominciare a sperare».
Micaela Urbano, Il Messaggero 23/10/2014