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 2014  ottobre 09 Giovedì calendario

GIUDICI E PM TROPPO AMICI


[Beniamino Migliucci, neopresidente dell’Unione della camere penali]

«Bisogna ripartire dalla separazione delle carriere. Separare separare separare». A parlare così è Beniamino Migliucci, neopresidente dell’Unione delle camere penali. L’esortazione, ripetuta tre volte, evoca un altro appello, quello a «resistere resistere resistere, come sul Piave», pronunciato nel 2002 dall’ex procuratore generale di Milano Saverio Borrelli. Allora, come oggi, la sola ipotesi di separare i percorsi della magistratura inquirente e giudicante era considerata un vulnus «all’indipendenza del giudice penale e alla signoria della legge». E allora come oggi la Procura di Milano è al centro dell’attenzione: questa volta a tenere banco è lo scontro tra il procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati, e il suo aggiunto Alfredo Robledo. Uno scontro che, a sentire l’avvocato Migliucci, «danneggia la credibilità delle toghe, con un Consiglio superiore della magistratura in balia delle correnti, costitutivamente incapace di gestire e disciplinare i conflitti interni».
A proposito della separazione tra pm e giudice, Migliucci, altoatesino con padre napoletano, è implacabile: «La magistratura può essere in disaccordo, ma le leggi le fa il Parlamento. Separare le carriere è la conseguenza obbligata della riforma costituzionale del 1999». Il riferimento è all’inserimento nell’articolo 111 del giusto processo fondato sul «contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale». Perché il dettato costituzionale abbia attuazione, pm e giudici non possono far parit dello stesso Csm. «L’imparzialità è requisito del giudizio, la terzietà riguarda l’ordinamento. Affinché il giudice sia effettivamente terzo, le carriere devono seguire percorsi distinti. Attualmente pm e giudice sono colleghi, siedono nei medesimi organi del Csm, si valutano a vicenda e ciò comporta una debolezza strutturale per la difesa». Secondo Migliucci il diritto alla difesa, garanzia costituzionale, è sempre più svilito. «L’intangibilità dei colloqui tra assistito e difensore, garantita dalla legge, viene puntualmente aggirata. La formazione della prova nel dibattimento è mortificata, come pure l’oralità del processo. Insomma, l’avvocato è guardato con sospetto, come se la difesa fosse un optional». Così il rito accusatorio, introdotto formalmente nel 1989, soffoca sotto il peso d’innumerevoli rigurgiti inquisitori. «Manca un controllo giurisdizionale vero e imparziale su una serie di passaggi che gli inquirenti gestiscono come vogliono, con un potere straripante. Per esempio, sul momento effettivo dell’iscrizione nel registro degli indagati e sulla richiesta di proroga delle indagini. Raramente il giudice nega al pm il ricorso a strumenti di ricerca della prova invasivi come le intercettazioni telefoniche e ambientali. E in molti procedimenti, soprattutto di criminalità organizzata, vengono frequentemente depositati i soli interrogatori che discrezionalmente gli inquirenti ritengono di poter far conoscere, a loro insindacabile giudizio. Ma che giustizia è quella in cui il cittadino è nelle mani del pm?».
Il potere prevaricante delle toghe fa da contraltare alla debolezza della politica: «Va riaffermato il primato della politica. I politici li scelgono i cittadini che possono licenziarli a ogni elezione. I magistrati no». Il processo penale deve tornare a essere «la verifica della pretesa punitiva dello Stato nei confronti del cittadino», un momento laico di accertamento delle responsabilità individuali e non il luogo della crociata contro il nemico di turno. In Italia, secondo Migliucci esiste una questione democratica: le leggi le fa il Parlamento oppure i cento magistrati collocati negli uffici legislativi dei ministeri? «L’Unione ha partecipato a molte commissioni. La storia è sempre la stessa: si producono documenti destinati a rimanere lettera morta, mentre a decidere sono i soliti burocrati togati. Nella Corte costituzionale tutti gli assistenti sono magistrati. Perché non si può ricorrere ad altre figure, come accademici e avvocati?».
Il governo Renzi ha messo in cantiere alcuni progetti di riforma penale che non convincono Migliucci. «Se i testi rimarranno quelli che abbiamo letto in bozza, i magistrati possono dormire sonni tranquilli. Siamo totalmente contrari alla riforma della prescrizione così come alla limitazione dell’appello. Se si vuole la ragionevole durata del processo bisogna agire a monte, non ridurre i diritti degli imputati. Senza l’appello, Enzo Tortora sarebbe stato condannato. Il doppio giudizio è una garanzia irrinunciabile». Però i processi in Italia spesso sono senza fine.
«Nel 70 per cento dei casi la prescrizione scatta nelle indagini preliminari. Sono i pm a decidere arbitrariamente quali fascicoli portare avanti e quali no. Nei tribunali ci sono enormi disfunzioni organizzative, sanarle farebbe risparmiare molto tempo». Per il presidente del Senato, Pietro Grasso, già magistrato, sarebbe meglio limitare appello e ricorsi in Cassazione. «Gli appelli sono limitati nei sistemi anglosassoni in cui le camere sono separate e le assoluzioni di primo grado non possono essere appellate dal pm. È un altro pianeta» dice Migliucci. E il caso de Magistris? «Per noi è innocente fino a sentenza di condanna definitiva. Non ci è mai piaciuto il garantismo a corrente alternata. Ciò detto, chi di Severino ferisce di Severino perisce. Restiamo convinti che, come per Silvio Berlusconi, anche per l’ex sindaco di Napoli questa normativa, avendo carattere sanzionatorio, non abbia efficacia retroattiva».
C’è anche la questione del capo dello Stato: deporrà davanti ai magistrati di Palermo e i due boss mafiosi hanno espresso la volontà di assistere in videoconferenza. «È un’evidente prova di forza. Il tribunale non ha voluto prendere atto della sentenza della Consulta che ha definito inequivocabilmente il perimetro delle prerogative costituzionali. Ma la richiesta dei boss non è paradossale perché il contraddittorio va garantito. Così il presidente Napolitano, rimasto inascoltato su amnistia, Csm e correnti, questa volta sarà inevitabilmente ascoltato».
(Annalisa Chirico)