Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 12 Domenica calendario

GABRIELLI ACCUSA “È COME UNA GUERRA E QUESTO STATO IMPOTENTE NON SA DIFENDERCI”

[Intervista] –
ROMA.
«Lo Stato è impotente. Nelle condizioni attuali, come s’è visto giovedì a Genova, non è in grado di tutelare le vite dei cittadini. E la Protezione civile è senza mezzi, è come se mi avessero mandato sul fronte con una scatola di aspirine per una guerra non voluta da me». Il capo della Protezione civile è in auto in viaggio da Brescia a Milano quando risponde alle domande di “Repubblica”, sotto (manco a farlo apposta) un violento acquazzone. «Qui piove come dio la manda», sbotta.
Franco Gabrielli, di chi è la colpa dei morti e dei danni provocati dai disastri ambientali?
«Una previsione meteo è stata sbagliata, ma da qui a crocifiggere chi ha sbagliato ne corre. La colpa di Genova, e di tutte le calamità che stanno accadendo, è del grande deficit culturale del nostro Paese sul tema della protezione civile».
A tutti i livelli, dalla gente alla politica?
«Sì».
Può fare qualche esempio, magari riferito al mondo dei politici?
«Nel 2013 il governo s’è dimenticato di finanziare il Fen, il Fondo per l’emergenza nazionale. Lo ha fatto poi nel 2014 stanziando 70 milioni di euro.
Sono tanti o pochi?
«Lo sa a quanto ammontano i danni accertati per 14 delle 21 emergenze nazionali dichiarate negli ultimi tre anni?».
Lo dica lei.
«Due miliardi e 300 milioni, un miliardo e 900 i danni pubblici, gli altri subiti dai privati».
E ci sono i fondi per finanziare questi danni, più quelli delle altre sette emergenze che saranno quantificate nei prossimi giorni?
«Ci sono solo 70 milioni. E questo fondo, nella metafora della guerra, sarebbe la famosa cassetta delle aspirine. Ma questa cifra non è un segreto di Stato che svelo come ex direttore del servizio segreto civile: è una cifra pubblica. E allora perché ci si stupisce della sua esiguità solo quando ci sono disastri e morti? Di fronte a questo, c’è tutta la mia angoscia tra l’enormità dei problemi che sono chiamato a risolvere. E la disponibilità in termini di risorse che mi vengono messe a disposizione».
È per questo che dice che lo Stato è impotente, non in grado di tutelare le vite dei cittadini in caso di disastri provocati dal maltempo?
«Io pongo il problema che in questo Paese, a distanza di 30 mesi da quando sono stati stanziati i fondi, si stia ancora dietro alla carta bollata, quando giovedì un uomo è morto e una città è andata sotto. I 35 milioni per il torrente Bisagno, non spesi per una girandola di ricorsi dopo l’assegnazione della gara, è uno scandalo della burocrazia pubblica. In questo caso, legato ai lunghi tempi della giustizia amministrativa».
Lo Stato, però, spesso e volentieri si trova ad arrivare dopo, a contare i morti. Per rimediare danni già consumati, come nel caso della Concordia. Non è troppo tardi?
«A proposito di Stato impotente... Per rimuovere il relitto del Giglio si è passati da un’ipotesi di 300 milioni a un costo effettivo di un miliardo e 200 milioni. Se avessi fatto, come Stato, una gara di appalto, sarebbe stato impossibile. Con varianti in corso d’opera superiori del 30 per cento saremmo finiti tutti in galera e la Concordia si sarebbe inabissata. E così io, come un soggetto privato, mi sono rivolto sul mercato al miglior offerente».
Lei, uomo delle istituzioni, si trova ora ad attaccare i magistrati del Tar, colpevoli, a suo dire, di aver bloccato gli appalti per la messa in sicurezza idrogeologica di Genova. Come spiega questa sua posizione?
«Mi astengo dal fare considerazioni sull’autorità giudiziaria. Però trovo saggia la norma del governo secondo cui un lavoro per la sicurezza pubblica, quando viene appaltato, venga affidato e realizzato dalla ditta che se l’è aggiudicato. Lasciando alla ditta che si ritiene esclusa il diritto di vedersi riconoscere il danno economico subito, in caso di una sua effettiva, indebita esclusione».
Oggi c’è l’emergenza Genova. Ma, secondo le vostre previsioni, quali sono le altre emergenze nazionali dal punto di vista del dissesto ambientale?
«Altro ragionamento connesso alle “aspirine”: noi abbiamo un Paese sempre più in condizione emergenziale. Da tempo dico che l’area vesuviana e flegrea è estremamente importante per la pianificazione dal nostro punto di vista. Ma non c’è parte del territorio nazionale che ne sia indenne. La prevenzione va benissimo. È sacrosanta. Ma dobbiamo avere la consapevolezza che la gestione dell’emergenza in Italia durerà almeno ancora per qualche anno».
Quali sono le criticità sul territorio?
«Per fortuna ci sono regioni che hanno investito nel tempo, e altre che però non l’hanno fatto».
Quali sono queste ultime?
«No, per favore, non mi chieda l’elenco dei buoni e dei cattivi».
Almeno ci dica cosa sta facendo per diffondere nel mondo della burocrazia, della pubblica amministrazione, della politica quel concetto di “cultura” della protezione civile che tanto manca in Italia.
«Ogni Regione, come previsto dal titolo V della Costituzione, ha l’autonomia per quanto riguarda previsioni meteo e impatto idrogeologico. Ebbene, qui c’è l’esempio di come lo Stato riesca a complicarsi la vita. Ogni Regione infatti usa un proprio vocabolario, la Liguria “allerta 1 e 2”, altre Regioni “preallarme” e “allarme”. Insomma, è da due anni e mezzo che combatto tra mille difficoltà e permalosità con questa babele affinché tutte le Regioni usino la stessa lingua dell’emergenza. Ecco perché trovo saggio che il governo Renzi preveda con la modifica del Titolo V il ritorno della materia di Protezione civile sotto l’esclusiva competenza dello Stato».
Alberto Custodero, la Repubblica 12/10/2014