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 2014  ottobre 12 Domenica calendario

NESSUNO È COME LEI

Nessuno tanto elegante da violentare lo spettatore con grida, violenza, dolore senza dar fastidio al gusto. Nessuno tanto audace da mescolare Shakespeare con il fango, l’amore con lo stupro, senza essere volgare. Nessuno tanto matto da essere così attirato dalle zone più profonde dell’animo, più buie, e guardare in quel caos senza spavento. «Ciò che gli altri chiamano lato oscuro della vita ai miei occhi è lo splendore, una terribile bellissima luce. La luce proviene dalle tenebre. Si muore nella corruzione si resuscita nella gloria, come dice San Paolo».
Ecco Angélica Liddell, scrittrice, poetessa, regista, performer spagnola: critici e pubblico hanno riconosciuto da tempo il valore del suo teatro ansiogeno, antinarrativo, astratto, inadatto alle grandi folle, immancabile nei festival, spettacoli che folgorano o innervosiscono, entusiasmano o sono solo desolanti, dall’esordio nell’88 con Greta vuole suicidarsi, e poi Dolorosa nel ‘94, Cane morto in tintoria: i forti, El año de Ricardo rabbiosa parodia del potere. Perfomance che sembrano ring dove prendere a pugni i muri delle nostre maschere, per guardare il peggio e il ridicolo della coscienza.
«Io e il pubblico siamo fatti della stessa merda. Il mondo là fuori non mi interessa, mi interessa la vita emotiva, quello che succede quando chiudiamo la porta della nostra stanza», dice terrorizzante, seduta immobile, come rannicchiata, in una austera sedia nel foyer del regale Teatro Comunale di Zagabria dove è andata in scena. A vederla così, sembra una ragazza del ‘66 col viso buono, bello, gli occhi spaesati della malinconia; piccina, esile, molto distinta in camicia e pantaloni neri («mi piacciono i bei vestiti e la seta» confesserà a un certo punto). Ci pensa lei a mettersi in una dimensione immaginaria: «Sono uno di quei patetici personaggi de Le particelle elementari di Houellebecq, una di quelle donne brutte e vecchie che nessuno vuole». Vive a Madrid. La sua casa è un piccolo studio dove lavora, in genere, sul pavimento. «Ma preferisco gli alberghi, preferisco la terra di nessuno ». Ha un telefono cellulare che non usa. «Comunico meglio per iscritto. E posso stare giorni senza dire una parola e senza vedere nessuno». Cammina molto. Anche quattro, cinque ore al giorno. Sempre lo stesso percorso. «Se lo cambio mi vengono gli attacchi di ansia o l’agorafobia». Parla dolcemente, come staccata dalla vita: «Mi identifico di più con uno psicopatico che con Gandhi», dice con serenità. «In Canada mi spiegarono che il mondo interiore degli psicopatici e dei poeti è identico. Ma nel mondo esterno lo traducono in modi diversi. Lo psicopatico diventa assassino, il poeta scrive. Così si potrebbe dire che il mio mondo interiore è psicopatico ma non ho bisogno di uccidere qualcuno, perché posso scrivere. Il teatro è il mio personale manicomio. Il teatro è follia sotto controllo, sotto tonnellate di controllo».
Si capisce perché Roma e Modena hanno atteso con trepidazione l’arrivo suo e della sua compagnia, Atra Bilis Teatro (il nome indica in spagnolo uno dei quattro umori di Ippocrate, la bile nera corrispondente alla malinconia). Al Romaeuropa festival, Angélica ha portato Tandy al Teatro Argentina, un nuovo lavoro che è «una elegia di amore, melanconia, pazzia e destino», dal romanzo Winesburg, Ohio di Sherwood Anderson su una solitaria bambina che si fa chiamare Tandy dopo una profezia e del suo bisogno di amore, della disillusione e del dolore. Il 16 e 17 ottobre, al festival “Vie” di Modena porterà invece You are my destiny — Lo stupro di Lucrezia da Shakespeare, presentato in forma di studio alla Biennale del 2013 che la incoronò con il Leone d’Argento: vi esplora il femminicidio e il dolore che provoca il desiderio. «Voglio capire perché la bellezza di una donna possa disturbare e frastornare un uomo al punto tale da portarlo a commettere un atto violento come lo stupro. Tarquinio, il personaggio maschile, non è un criminale, è un uomo innamorato, che riconosce la bellezza e il pericolo dell’essere attratto da essa, ma non c’è nulla che provoca più dolore del desiderio e dell’amore non corrisposto». Si porterà addosso l’ira delle donne che lottano contro la violenza maschile. «Non mi interessa la morale, ma l’animo umano che è fatto di fango e costole rotte. Io non sono femminista. Penso che l’odio verso mia madre mi ha fatto diventare misogina. O semplicemente sono realista. Io trovo che il “comunemente femminile” sia ripugnante esattamente come il “comunemente maschile”. Non mi interessa il mondo delle donne, mi interessa il mondo di persone eccezionali. Riconoscere qualcuno nella moltitudine. Il Capitano Achab».
Anche lei ha percorso i suoi viaggi ossessivi. Per esempio da bambina a Figueras, la città di Salvador Dalì dove è nata. «Mio padre era un militare. Ho vissuto tra suore e soldati, armi e crocifissi completamente isolata dalla società e con una madre convinta che non ero del tutto normale. A cinque anni mi portò da uno psichiatra, con la minaccia di internarmi... Alla fine non so dire se il mio disturbo di personalità sia genetico o semplicemente il prodotto di un’infanzia di merda». Di quel periodo ricorda nitidamente i libri: «Ho letto così tanto che mi era stato proibito leggere almeno di notte. E allora io coprivo la fessura della porta della mia camera con un asciugamano per non far vedere ai miei genitori la luce accesa mentre leggevo. In casa mia i libri si compravano per decorare gli scaffali, i libri del Reader’s Digest, Steinbeck, Carson McCullers, molta letteratura nord americana o cose come La campagna di Napoleone in Egitto o la biografia di Maria Antonietta. Napoleone era il mio idolo e anche di Maria Antonietta mi affascinava il fatto che le tagliarono la testa. Mi piacevano anche le riviste pornografiche. A nove anni mettevo in scena dei giochi pornografici riveduti da me in chiave poetica. Scrissi Soledad e le monache chiamarono i miei genitori molto allarmati. Dal momento che anche oggi non scrivo d’altro, sono quasi quarant’anni che parlo delle stesse cose».
Ha un progetto su Gesualdo, uno sullo scrittore Henry Darger e uno su Emily Dickinson, continua a leggere tanto e a vedere tanti film. I suoi prediletti To the Wonder di Malick, Il colore del melograno di Paradzanov, Luci d’inverno di Bergman e tra i libri, Moby Dick, Winesburg, Ohio, la novella di Faulkner Absalom, Absalom!, e poi La lettera scarlatta, la Bibbia, Mishima. «Mi piace la letteratura che non ha ucciso Dio. I miei ultimi lavori sono preghiere con tutto il fervore che mi dà il fatto di non credere. La mia fede nasce dal bisogno di Dio, non dalla sua esistenza.
Quando la speranza scompare completamente bisogna credere. E penso che i miei lavori in futuro andranno in quella direzione». Politicamente dice di essere «anarchica paradossale». Che vuol dire? «Essere consapevoli del bene e del male senza bisogno di una ideologia o di un governo. Il fatto di vivere in una società ignorante e decerebrata è un paradosso impossibile da risolvere. Quando incontro qualcuno malvagio o mediocre, penso, santo cielo, questa persona vota, partecipa alla democrazia. Che democrazia è questa, una società composta di cittadini ignoranti, malvagi, vili?». Il vero nome di Angélica è González. «Sono diventata Liddell il giorno in cui ho visto un ritratto di Alice Liddell in un libro fotografico di Julia Margaret Cameron. Avevo circa ventitré anni. Ho visto la bambina dei racconti di Lewis Carroll e sono rimasta scioccata perché eravamo uguali. Ho sempre voluto essere un’altra persona. Quell’Alice dal ritratto mi diceva che potevo essere io. E l’idea che Lewis Carroll potesse aver scritto un libro su di me mi riempiva di gioia. Una delle mie più grandi fantasie è che qualcuno scriva un libro pensando a me e se è un sacerdote meglio ancora. Mi piacciono gli amori difficili». Non è sposata, non è fidanzata, non ha figli, né famiglia. «Dicono che sono una misantropa. È vero. Per una come me la cosa più difficile è risolvere il conflitto tra la necessità di essere soli e il bisogno di essere amate».