Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 11 Sabato calendario

PARIGI, 1922 DIARIO INTIMO DI UNO SCANDALO

Niente è più effimero e indelebile di uno scandalo. Le ragioni che lo hanno scatenato deperiscono in fretta, col mutare dei costumi e dei tabù; la creatura fittizia che ne è stata veicolo abbandona la letteratura, che la ripudia, per trasferirsi nell’immaginario collettivo. La storia de La garçonne — al centro del più grande scandalo letterario degli anni Venti, e ora finalmente pubblicato in Italia da Sonzogno — è in tal senso emblematica. Col tempo, il romanzo è stato dimenticato, come il suo autore, mentre la parola “garçonne” — neologismo che designava la protagonista e le donne emancipate come lei — è entrata nella lingua francese, e nell’uso comune (per indicare il taglio di capelli à la garçonne).
Nel luglio del 1922, Victor Margueritte era un narratore prolifico, stimato per i romanzi storici scritti a quattro mani col fratello Paul, e per i “romanzi a tesi” in cui affrontava, con impegno militante, tematiche sociali come la prostituzione o il ruolo della donna nella società. Figlio di un generale morto nella guerra franco-prussiana, lui stesso decorato per merito con la Legion d’onore, passava per un rispettabile borghese progressista. Poi, però, a cinquantasei anni, pubblicò La garçonne : il romanzo di formazione di Monique Lerbier, fanciulla dell’alta borghesia che, nella Parigi del primo dopoguerra, cafona e asservita al denaro, tra un foxtrot e uno shimmy scopre il marciume dell’ambiente in cui è cresciuta. Rifiuta di diventare
merce di scambio in un matrimonio d’interesse, rinnega l’ipocrita doppia morale che giustifica la sessualità degli uomini/padroni e condanna quella delle donne/schiave, si guadagna da vivere col suo lavoro, si concede esperienze estreme. I capelli delle donne sono sempre stati il simbolo della loro sessualità. Scorciandoli alla paggio, Monique grida il suo cambiamento, la sua indipendenza, la sua libertà di modi: d’ora in poi vivrà “come un ragazzo”. O piuttosto, come una “giovinotta”. Questo il titolo della prima traduzione italiana del romanzo, apparsa già nel 1922 presso Sonzogno — lo stesso editore che lo ristampa oggi con la nuova traduzione di Giulio Lupieri.
Margueritte intuiva il potenziale esplosivo del suo romanzo: spinse l’oltranza dei comportamenti dei protagonisti fin quasi alla parodia; citò nei dialoghi da pamphlet teorie sociali e psicologiche alla moda (Léon Blum, Ellen Key, Freud, Malthus e il controllo delle nascite); gli scritti fittizi dei personaggi ruotavano intorno a temi politici come il matrimonio, la poligamia, l’evoluzione dell’idea di famiglia. Ancor prima della pubblicazione, l’editore aveva saputo suscitare la curiosità pruriginosa del pubblico. In pochi mesi, si vendettero centinaia di migliaia di copie. Così, l’anno dopo, Margueritte si affrettò a scrivere il sequel della Garçonne ( Il compagno) e nel 1924 il sequel del sequel ( La coppia ), e mise a frutto la ricchezza derivatagli dai diritti d’autore acquistando una tenuta fiabesca nel Midi. Ma le dichiarazioni moralistiche di condanna degli eccessi della sua eroina, rilasciate in seguito, suonano invece come una palinodia, e fanno pensare che non avesse previsto davvero le conseguenze della detonazione. Margueritte fu oscurato dalla fama perversa della Garçonne. E un’ombra ben più spessa calò poi su di lui, relegandolo nell’oblio. Allergico alla retorica fiorita attorno alla prima guerra mondiale, rimase pacifista anche durante la seconda. Senza rendersi conto che non sempre le guerre si assomigliano. Durante l’occupazione nazista, Margueritte divenne “un collaborazionista di penna” — sostenendo coi suoi articoli l’occupante tedesco. Fortunatamente morì nel 1942, prima di poter passare dalle parole ai fatti. Eppure almeno lui avrebbe dovuto ricordare che le parole sono fatti, e che la penna è un’arma.
L’immenso successo de La garçonne costò caro a Margueritte. Nel gennaio del 1923 fu radiato dalla Legion d’onore. A nulla valse la lettera aperta in sua difesa di un intellettuale come Anatole France. La motivazione? «Essersi compiaciuto nella descrizione di scene della più ripugnante depravazione».
L’accusa era solo un pretesto. Perché se nel romanzo figurano scene indubbiamente audaci (piaceri saffici, orge, anche una sodomia), il vero motivo dello scandalo suscitato dalla Garçonne era, ed è, un altro. Monique è un personaggio sovversivo, perché con le sue idee e i suoi comportamenti scuote realmente i fondamenti della società tradizionale e della famiglia. E per questo il romanzo, non memorabile anche se ricco di osservazioni brillanti, merita ancora la nostra attenzione. Nella seconda parte, Monique si mette in testa di avere un figlio. Una maternità voluta e non imposta dalla natura: avrà un figlio fuori dal matrimonio, e lo crescerà da sola. Seleziona perciò accuratamente il maschio più adatto («una bella macchina per produrre piacere»). Come inseminatore sceglie uno scultoreo ballerino. L’inutilità dei tentativi e la stupidità ignorante dello stallone fanno naufragare il progetto. Nella terza parte, dopo essersi disintossicata dall’oppio e dalla morfina, Monique si lega a un burbero scrittore, col quale si illude di instaurare un rapporto paritario, basato sulla sincerità e sull’eguaglianza. Ma dura poco: la gelosia dell’uomo diventa rabbia, aggressività, violenza. Il moderno Boisselot si rivela «un uomo delle caverne», incapace di tollerare la libertà e l’indipendenza della compagna (significativamente, la prima sua pretesa è che lei si lasci ricrescere i capelli), e tenta in ogni modo di umiliarla, isolarla, sottometterla. Oggi il punto di vista del narratore appare più ambiguo di quanto sembrò ai contemporanei (per Margueritte, Monique è un’innocente che attraversa la corruzione del mondo come una salamandra le fiamme); e se gli perdoniamo il lieto fine che regala alla ribelle Monique, facendole incontrare un gentile professore di filosofia che potrebbe rivelarsi all’altezza dei suoi sogni, non riusciamo a digerire l’antisemitismo volgare con cui satireggia l’arricchito barone Plombino, «essere immondo », «fungo velenoso della guerra, ma fungo ebreo». Pure, le pagine, lucide e taglienti, della relazione fra Monique e la “macchina di piacere”, e poi fra Monique e lo scrittore, sono ancora capaci di perturbare. Perché — come pronostica il filosofo — la guerra ha cambiato per sempre l’Europa; dopo il tirocinio di libertà affrontato dalla generazione di Monique, le donne avranno la stessa educazione degli uomini, gli stessi diritti alla libertà e alla scelta: e voteranno perfino alle elezioni. Ma a volte neanche in quel futuro gli uomini sapranno sopportarlo.
Una donna ribelle e indipendente, uomini decisi a ostacolarla: un tema ancora attuale L’autore fu accusato di “depravazione” e gli venne revocata la Legion d’onore
Melania Mazzucco, la Repubblica 11/10/2014