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 2014  ottobre 11 Sabato calendario

ETIHAD A CACCIA DELL’HOSTESS PERFETTA “AVETE TATUAGGI O PIERCING? DITECI DOVE”

«Hayakku»: benvenuti nel magico mondo di Etihad Airways, e sia chiaro da subito che siamo in terra araba. Anche se a pochi passi da Santa Maria Novella, perché è qui, a Firenze, che giovedì si è svolta la quarta tappa degli open day con cui la compagnia aerea cerca personale. Di candidati non ne mancano: tanti sperano di entrare nell’azienda di Abu Dhabi che da poco si è aggiudicata una bella fetta di Alitalia. E la sede di lavoro nell’emirato non spaventa nessuno. Neo-laureati, disoccupati di ogni genere, semplici curiosi, ma anche professionisti iperqualificati o precari del settore. Nella hall dell’albergo fiorentino si vede di tutto. Non solo italiani, tanti stranieri: Ruta dalla Lituania, Gabriel dall’Egitto, Kristing dalla Russia, un gruppo di tre asiatiche impeccabili con lo chignon d’ordinanza e il look rubato al manuale della perfetta assistente di volo. E in mezzo a loro ci siamo anche noi col nostro candidato.
La prima selezione è già al momento della registrazione, con una domanda a cui non si scappa: «Ha tatuaggi o piercing? Se sì, può indicare dove su questa cartina del corpo umano?». Non c’è speranza per chi ha tatoo o anelli troppo visibili. E neppure per chi non è abbastanza alto: bisogna raggiungere con la mano la soglia di 210 centimetri, l’altezza del vano bagagli sull’aereo. E senza l’aiuto dei tacchi, nel caso delle signorine. Mentre degli uomini si guarda persino la cura delle mani. C’è chi rinuncia ancora prima di entrare, come Federica: «Potevano dirlo prima che questo open day era “open” solo per chi è alto. Quando ho visto accanto a me le asiatiche ho capito che potevo risparmiarmi l’umiliazione».
Di quelli entrati in sala, invece, ci sperano un po’ tutti. Ascoltano attenti le parole dei selezionatori, tra cui c’è anche un’italiana, Giada. «Etihad è speciale», dice Perth, suo collega indiano. «Siamo differenti, più eleganti, più moderni degli altri». Racconta la sua storia di Cenerentolo che ha trovato la scarpetta ad Abu Dhabi: sei anni fa era solo un aspirante steward, adesso è manager. «Da noi ci sono grandi possibilità di carriera. In Alitalia sareste rimasti cabin crew magari per 15 anni, qui se avete le qualità potete arrivare in cima. Etihad cresce velocemente, cambiamo in continuazione».
Già. Crescita ed evoluzione sono le parole che ricorrono più frequentemente nel corso della giornata. Nessun cenno, invece, ai tagli e al ridimensionamento di personale ancora in corso in Alitalia dopo l’acquisizione. Lo sa bene Rosa, romana, che la compagnia di bandiera italiana ha scaricato nel 2012 dopo 13 contratti a tempo determinato. Ora prova a rientrare dalla porta di servizio. Anzi, da quella principale. «Perché Etihad è il top», dice come vittima di una sindrome di Stoccolma ad alta quota. Ma non ce la farà: non è il profilo giusto per il «top», evidentemente.
I selezionatori di Etihad continuano a parlare della loro Disneyland volante: non più viaggio, ma soggiorno di lusso in giro per il globo. Per cui servono volti freschi e sorridenti, assistenti al passo coi tempi. Come se in questa descrizione ci fosse una censura per le abitudini della vecchia Alitalia. «Cerchiamo qualità. Non abbiamo un numero prefissato, potremmo prendervi tutti», dice il neozelandese Mike. In realtà solo in dodici passeranno la scrematura di metà giornata, dopo la valutazione dei curriculum, un test scritto d’inglese e alcune prove di “conversation”. Siamo in Italia ma d’italiano neanche una parola: la lingua è fondamentale, per questo gli stranieri paiono avvantaggiati.
All’uscita si accalcano i delusi. Fra questi c’è anche Mirabela. Rumena, come tante ragazze venute dall’Est: è arrivata apposta da Brasov per partecipare al colloquio. Ha il diploma di hostess, parla inglese, italiano, spagnolo e greco. Volare con Etihad e vedere il mondo «è il mio sogno», ripete in trance. Fra due giorni compirà 30 anni e sognava un contratto come regalo di compleanno. Ma è andata male.
«Perché?», si chiede come gli altri esclusi. Difficile individuare i criteri di scelta. Sicuramente l’inglese, poi la bella presenza, ma soprattutto il portamento. Alina ce l’ha fatta ed è felice. Tanti occhi la scrutano per capire cosa abbia convinto i selezionatori: è alta 1,70, magra, coi capelli tinti di bianco e un taglio vagamente punk. E ha la minigonna. «Strano, visto che si tratta di una compagnia araba», commenta Aaron. Anche se durante l’Open day più volte è stato ripetuto che a bordo l’Islam non c’entra nulla. Ma la domanda è lecita: avranno tolto pure il versetto del Corano che l’altoparlante diffonde prima di ogni decollo? Chissà.
Di certo, anche per i 12 prescelti la strada è ancora lunga: altre prove di gruppo e individuali per raggiungere l’intervista conclusiva in serata. Poi l’attesa di una telefonata positiva, per accedere ai corsi di formazione nella training Academy di Abu Dhabi e all’ultimo, decisivo esame per entrare nel magico mondo di Etihad. Dove è tutto oro quel che luccica.
Maria Corbi e Lorenzo Vendemiale, La Stampa 11/10/2014