Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 11 Sabato calendario

MALALA, FESTA TRA I BANCHI DI SCUOLA PER LA RAGAZZA CHE SFIDA I TALEBAN

Era nella classe di chimica, elettrolisi, quando è arrivata la notizia che aveva vinto il premio Nobel per la pace, e quindi uscire durante la lezione era fuori discussione. Ma una volta finita la sua giornata di studio, quel diritto per cui ha rischiato di morire, Malala Yousafzai ha dimostrato subito di non essere cambiata: «Pensavo di non meritare questo premio, e lo penso ancora. Però lo accetto con grande fierezza come un segno di incoraggiamento, per me che devo proseguire il mio lavoro appena cominciato, e per tutti i bambini che devono far sentire la loro voce e ottenere l’istruzione di qualità che meritano. Con noi ci sono milioni di persone disposte a sostenerci».
Malala ha 17 anni ed è la più giovane vincitrice del Nobel. Due anni fa era solo un’adolescente pachistana, che si era fatta notare raccontando in un blog la dura vita nella Swat Valley dominata dai taleban. Si era fatta notare troppo, e il 9 ottobre del 2012 un terrorista era salito sull’autobus con cui tornava da scuola e aveva chiesto: «Chi è Malala?». Le aveva sparato in testa, ma come ha spiegato lei all’Onu un anno fa, «ha mancato il bersaglio». In realtà l’aveva quasi uccisa, e solo una serie di interventi miracolosi in Gran Bretagna le hanno salvato la vita. Però «non è riuscito a ridurci al silenzio. Oggi siamo più forti di ieri, e alla lunga i diritti dei giovani e delle donne prevarranno. I terroristi hanno paura dei libri e delle penne, perché sono strumenti del progresso. Perciò prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne, che sono le nostre armi più potenti».
Lei infatti ha continuato la sua missione: studiando a Birmingham, dove si è trasferita con la famiglia dopo l’attentato, e lanciando il «Malala Fund», che raccoglie soldi per finanziare il diritto allo studio di tutti i bambini. A New York l’indirizzo del «Fund» corrisponde a una casella postale, perché la sua vita resta in pericolo e chiunque lavora per lei deve proteggersi. In Pakistan gli estremisti fanno ancora girare la voce che Malala è una pedina manovrata dalla Cia, e ha inventato la storia dell’aggressione solo per giustificare gli attacchi ai taleban.
La verità è che una persona così danneggia la causa dei terroristi più dei droni che li bombardano. Nel clima di instabilità e guerra che sembra prevalere in tutto il Medio Oriente, dalla Siria allo stesso Pakistan, lei rimane una voce di equilibrio e di speranza. Infatti quando ha saputo che aveva vinto il Nobel insieme all’attivista indiano Kailash Satyarthi, impegnato anche lui da anni a favore dell’infanzia, gli ha subito parlato al telefono per «lavorare insieme in difesa dei diritti dei bambini, ma anche per favorire la buona relazione tra i nostri Paesi. È molto significativo che il premio sia andato a una persona che crede nell’induismo, e ad un’altra che invece crede fermamente nell’islam. Dimostra come non è la differenza di fede, o magari il colore della pelle, che possono dividerci». E lì, su due piedi, ha invitato il premier pachistano Sharif, e quello indiano Modi, a partecipare alla cerimonia di consegna dei due Nobel il prossimo dicembre, per stringersi la mano e magari trasformare questo simbolico premio per la pace in un autentico passo verso la pace.
Quella mattina dell’ottobre 2012, quando era salita sul bus per andare a scuola, Malala aveva ancora in mente di studiare per diventare medico. La sua tragedia personale, e forse l’attenzione che da allora ha ricevuto, le hanno fatto cambiare idea: «Adesso vorrei fare la politica, ma la politica buona», per realizzare i suoi sogni di bambina, che chiedeva solo la possibilità di andare a scuola «per diventare la persona che posso diventare». Con un Nobel per la pace a 17 anni, il cielo è il limite. Alla faccia di chi pensa ancora che la violenza possa fermare le aspirazioni di chi ha il coraggio per seguirle e realizzarle. «Chi è Malala?», aveva domandato il taleban sull’autobus. Solo lui, adesso, è rimasto a non saperlo.
Paolo Mastrolilli, La Stampa 11/10/2014