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 2014  ottobre 11 Sabato calendario

I SOLDI CHE NON VENGONO SPESI NEMMENO QUANDO CI SONO

Sulle alluvioni di Genova sapevamo tutto con largo anticipo, ormai. C’erano i precedenti degli Anni Settanta e Novanta, ma c’erano soprattutto quelli del 2011. E c’era la consapevolezza di un territorio ormai chiaramente inadeguato a ricevere quantità di pioggia anche minori di quelle cadute effettivamente. Fiumi intombati e «forzati» non possono che esplodere come bombe idrauliche sotterranee, in quelle condizioni meteorologiche, e non tenerne conto è colpevole come non fare alcunché.
Ma oggi sappiamo anche di più: che quest’ultima tragedia si sarebbe potuta evitare, fossero state in atto le misure prese ultimamente, in particolare le disposizioni dell’Autorità Nazionale Anticorruzione in materia di appalti e quelle della neonata Unità di Missione contro il Dissesto Idrogeologico. Le nuove disposizioni sugli appalti indicano chiaramente che la ditta che si aggiudica i lavori li inizia e li finisce, mentre eventuali (in Italia, certi) ricorsi di altre ditte escluse troveranno semmai soddisfazione, una volta ritenuti legittimi, in qualche forma di compensazione a posteriori.
I 35 milioni di euro stanziati per iniziare i lavori a Genova, erano tutti i denari contro il dissesto idrogeologico dell’anno 2010 che lo Stato italiano poteva (o voleva) mettere in campo. Pochissimi, la decima parte di quelli necessari a porre in prima sicurezza quella parte di città, ma che non sono mai stati spesi. Oggi il governo attribuisce ai presidenti di regione i poteri di commissari straordinari (coordinati dall’Unità di Missione) che possono intervenire anche in deroga, cosa che non sempre in Italia è stato un bene (e infatti la vigilanza deve restare elevata), ma che, in caso di vite da salvare, non è più possibile evitare. Perché tutti ormai conoscono la situazione idrogeologica del nostro Paese e non decidere è come lavarsene le mani. Stessa situazione paradossale a Sarno (colate di fango del 1988): bloccati 270 milioni di euro da guerre legali. E al Seveso, esondato quattro volte negli ultimi mesi. Mentre il rischio si aggrava.
Sono 3395 le opere anti-emergenza scaturite dagli accordi Stato-Regioni nel 2009-2010: dopo quattro anni il 78% è ancora misteriosamente bloccato, per 2,4 miliardi di euro non spesi dal 1998. Dall’istituzione dell’Unità di Missione (luglio 2014) sono ripartiti oltre 200 cantieri ed è possibile un controllo popolare sull’andamento dei lavori attraverso un sito (www.italiasicura) che permette di scendere nel dettaglio del singolo appalto verificando date, importi, responsabilità e scopi.
Non tutte le opere contro il dissesto hanno un senso, anzi spesso sarebbe meglio non toccare affatto il territorio. E, nelle zone a rischio, ci vorrebbero anche: il divieto assoluto di costruire e di ampliare le volumetrie secondo i famigerati piani-casa regionali, l’istituzione di altri parchi naturali, l’esclusione assoluta dei condoni, e la rinaturalizzazione di torrenti e fiumi che debbono essere lasciati liberi di esondare in sicurezza almeno a monte delle zone abitate. Ma di alcune opere, invece, c’è bisogno e far ripartire quei cantieri indispensabili, in fretta e bene, è priorità nazionale. Nel 1966 la Commissione De Marchi spiegava le ragioni del dissesto italiano, forse dopo mezzo secolo lo abbiamo compreso, ora vediamo di provvedere.
Mario Tozzi, La Stampa 11/10/2014