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 2014  ottobre 11 Sabato calendario

CRONACA

Lo sfogo di Mancino “Mai sperato in cavilli voglio essere assolto non annullare il processo”
L’ex ministro escluso dall’udienza al Quirinale “Volevo tutelarmi, ma è giusto che i boss non ci siano”
SALVO PALAZZOLO
PALERMO .
Da mesi, ormai, non entra nell’aula bunker del processo trattativa. «Io non so niente di un dialogo fra Stato e mafia — ripete — voglio essere assolto nel merito, non cerco nullità, cavilli o colpi di spugna».
Alle nove e mezza del mattino, Nicola Mancino è già immerso nelle carte del processo, nella sua casa romana. Come ogni giorno. Al telefono, non nasconde l’amarezza per come stanno andando le cose a Palermo. Se la prende soprattutto con i giorna-listi: «State raccontando soltanto la versione della procura», taglia corto.
Presidente, allora, è venuto il momento di fare un’intervista. Fa una pausa, e dice: «Per adesso non faccio dichiarazioni, sono troppo amareggiato. Arriverà il giorno del mio interrogatorio e verrò in aula a Palermo per spiegare tante cose alla corte. E faremo chiarezza».
Così Nicola Mancino prepara la sua rivincita. Un punto a favore l’hanno già segnato i suoi avvocati, Massimo Krogh e Nicoletta Piergentili Piromallo, eccependo in aula la nullità dell’ordinanza con la quale il presidente della corte ha negato non solo a Mancino, ma anche ai boss Riina e Bagarella, di essere presenti all’udienza del 28 ottobre al Quirinale. L’udienza in cui verrà ascoltato il testimone Giorgio Napolitano. L’eccezione di nullità è già diventata un’ipoteca sulla sentenza che verrà: «In caso di condanna, la faremo valere », ripetono i legali dell’ex ministro. Ma a Mancino non interessa. «Non cerco nullità formali », ripete ancora una volta nella conversazione al telefono con Repubblica . «Quello è un problema processuale — spiega — io voglio essere assolto in pieno, perché non ho commesso alcuna falsa testimonianza, non ho mai saputo niente della trattativa ».
Ad accusare Mancino non sono i pentiti di mafia, ma un suo ex collega di governo, l’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli: sostiene di averlo informato che nell’estate 1992 i carabinieri avevano avviato un dialogo con l’ex sindaco Vito Ciancimino. «Gli dissi di intervenire come ministro dell’Interno », ha ribadito Martelli davanti ai pm. Mancino nega che quel colloquio sia mai avvenuto. E oggi ribadisce: «Cosa c’entra quell’episodio con la trattativa? Io non ne ho saputo mai nulla. Io, i mafiosi li ho sempre combattuti ».
Ora, Nicola Mancino non viene più alle udienze di Palermo. Però, voleva assistere all’audizione del presidente della Repubblica. «Volevo esserci solo per rispetto al Capo dello Stato — spiega — E poi, se ci andavano gli altri, perché non dovevo andarci io? Mi devo pur tutelare».
Alla fine, però, il presidente della corte di Palermo ha deciso che gli imputati non possano stare davanti al capo dello Stato: né in videoconferenza, né di presenza. E tutti gli avvocati sono insorti, denunciando una pericolosa lesione del diritto di dife- sa. Mancino, invece, ha toni più concilianti: «Io rispetto la decisione della corte di Palermo». Lui non si sente un imputato, ma ancora un pezzo delle istituzioni. E per un attimo dice pure: «Ritengo sia una decisione giusta». È giusto che i boss Riina e Bagarella non entrino al Quirinale, neanche in videoconferenza.
Adesso, Nicola Mancino non ha più voglia di conversare sugli ultimi sviluppi del processo. «Mi accusano di falsa testimonianza — ribadisce la sua difesa — il mio giudice naturale doveva essere un giudice monocratico e invece mi ritrovo in corte d’Assise, imputato assieme ai mafiosi che ho sempre combattuto. Forse, qualcuno aveva bisogno di riempire titoli col mio nome». Conclude, salutando: «Non dirò più nulla, parlerò soltanto al mio interrogatorio, e allora tutto sarà chiaro».
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Era una questione di rispetto per il Capo dello Stato. E poi se andavano gli altri, perché io no?
Arriverà il giorno in cui sarò interrogato e finalmente dirò la mia verità

Nicola Mancino, nel 1992 ministro dell’Interno, deve difendersi nel processo trattativa dall’accusa di falsa testimonianza
FOTO: PALAZZOTTO