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 2014  ottobre 11 Sabato calendario

ECONOMIA

Tagliare il deficit di quasi 2 miliardi l’ultimo sforzo che Bruxelles ci chiede
ALBERTO D’ARGENIO
ROMA .
Il negoziato sui conti tra Roma e Bruxelles entra nella fase più calda, quella decisiva. Ieri a Washington il ministro Padoan a margine dei lavori del Fondo monetario ha incontrato riservatamente il commissario Ue Katainen e i colleghi di Francia e Germania, Sapin e Schaeuble. Oggetto della riunione, il destino di Roma e Parigi e dei loro saldi di bilancio. L’Europa preme perché Hollande e Renzi inseriscano nelle rispettive leggi finanziarie quelle correzioni del deficit che permetterebbero alla Commissione di non dichiarare guerra alla seconda e alla terza economia dell’eurozona.
Secondo la Reuters sarebbe stato il presidente uscente del Consiglio europeo, Hermann Van Rompuy, a chiedere al premier italiano e al presidente francese di modificare la Legge di Stabilità, che notificheranno a Bruxelles il 15 ottobre, in occasione del vertice sul lavoro dello scorso mercoledì a Milano. Fonti italiane smentiscono che Renzi abbia avuto colloqui riservati con Van Rompuy, ma in ogni caso la richiesta di Bruxelles è giunta a Roma, nonostante ieri come da prassi Padoan abbia smentito qualsiasi trattativa e si sia detto convinto che l’Italia è in regola. Eppure l’ingiunzione arrivata dalla Ue è chiarissima: tagliate il deficit 2015. La riflessione sulla flessibilità sui conti chiesta alla Ue da Renzi e Hollande della quale Repubblica ha dato conto ad agosto seppure sottotraccia è giunta a termine. E conferma che su spinta del prossimo presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, Bruxelles è pronta a chiedere un aggiustamento dei conti dimezzato ai paesi impegnati a fare le riforme nonostante la crisi. Dunque Roma non dovrebbe tagliare il deficit strutturale, quello depurato dall’andamento del Pil, dello 0,7% (target specifico per l’Italia) o dello 0,5% (regola valida per tutti), ma solo dello 0,25%.
Quella del taglio del deficit strutturale è una prescrizione del Fiscal Compact per evitare che il debito continui a lievitare. E pur restando sotto il tetto del 3% del deficit nominale, il mancato taglio del debito può costare all’Italia una procedura d’infrazione che assomiglierebbe molto ad un commissariamento con una perdita di sovranità in politica economica. Nel Documento di economia e Finanza spedito a Bruxelles a inizio mese il governo ha messo nero su bianco che quest’anno non correggerà il deficit e nel 2015 lo farà appena dello 0,1%. Dunque per arrivare nel 2015 allo 0,25% richiesto dalla Ue servirebbe uno sforzo minimo, pari a 1,6-1,8 miliardi da inserire nella Legge di stabilità al momento da circa 23 miliardi ma senza un euro destinato al risanamento.
Al momento Renzi sembra determinato a non modificare la Finanziaria che il governo approverà mercoledì prossimo. Un indizio arriva da un documento riservato che il Tesoro ha spedito a Bruxelles nel quale spiega in termini legali perché l’Italia, viste le riforme messe in campo e il peggioramento del Pil rispetto alle attese di inizio anno (nel 2014 calerà dello 0,3%), ritiene di essere autorizzata a non intervenire sui conti. Conferma il sottosegretario Sandro Gozi: «Riteniamo di essere in regola perché applichiamo quella flessibilità permessa dalle circostanze eccezionali come la situazione economica deteriorata ». Eppure in molti si chiedono se per meno di due miliardi l’Italia sia intenzionata ad andare allo scontro, a farsi bocciare la manovra il 29 ottobre da Bruxelles, scendendo in guerra aperta con l’Unione. Si tratta di una scelta politica e ieri Renzi non si è sbilanciato: «La Legge di Stabilità non è ancora stata scritta».
Ma c’è un altro fronte aperto altrettanto pericoloso. Katainen ha fatto sapere a Roma di essere determinato — a prescindere dal contenuto della manovra — a chiedere l’apertura di una procedura per squilibri macroeconomici a carico dell’Italia con l’appoggio di Barroso, presidente uscente della Commissione. Nel mirino sempre il debito e gli altri numeri deludenti dell’economia italiana. Una procedura altrettanto intrusiva per Roma, che tornerebbe a essere controllata dall’Europa tanto sui conti quanto sull’iter delle riforme, con l’Europa che ne monitorerebbe il contenuto e chiederebbe un calendario per la loro attuazione, con il rischio sanzioni in caso di inadempienze. Per il governo si tratta di «una posizione inaccettabile », dicono a Palazzo Chigi, e confida che una volta entrato in carica Juncker bloccherà l’iniziativa. Un calcolo che potrebbe rivelarsi giusto, ma di certezze non ce ne sono, tanto che l’Italia sarebbe pronta a chiedere ai ministri delle Finanze Ue di ribaltare l’eventuale decisione di Bruxelles.
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