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 2014  ottobre 11 Sabato calendario

Ogni settimana in media guardiamo il telefono multitasking 1.500 volte, 214 al giorno. Tolte le ore del sonno, circa dodici volte all’ora

Ogni settimana in media guardiamo il telefono multitasking 1.500 volte, 214 al giorno. Tolte le ore del sonno, circa dodici volte all’ora. Il picco è alle 7.31 del mattino, appena svegli, ancora a letto, prima di alzarci, prima della colazione, prima di fare una corsetta in bagno, prima di dare un bacino alla bambina. Una necessità biologica, una specie di rito augurale, forse in qualche modo scaramantico, che ci aiuta a entrare nella giornata più saldi. Sono questi i risultati numerici di un’indagine condotta in Inghilterra su duemila possessori di smartphone e pubblicata ieri sul sito del Daily Mail . Tre ore e 16 minuti al giorno. Quasi per un’intera giornata, l’ottava della nostra settimana, dedichiamo la nostra attenzione, i nostri occhi e i nostri polpastrelli al cellulare: per chiacchierare, per inviare sms e mail, per navigare su internet, per consultare Facebook o Twitter, o tutt’e due. Non si tratta di tempo guadagnato né di tempo perso, si tratta semplicemente di un tempo nuovo: quel che un secolo fa poteva essere occupato dalla chiacchiera al bar, per strada o in famiglia, dalla lettura, dalla preghiera, dal gioco, dall’ozio, dal tempo vuoto è oggi un faccia a faccia con il display del cellulare, per incamerare notizie dal mondo, per stabilire un contatto con qualcuno, per scambiare rapide opinioni con amici vicini e lontani, per informare ed essere informati sullo stato del mondo . Lo storico del medioevo Jacques Le Goff ha distinto, guardando al passaggio verso l’anno Mille, due dimensioni: il tempo della Chiesa e il tempo del mercante. Il ritmo dei monasteri (preghiera, lavoro, pasto, sonno) a un certo punto ha ceduto il passo al tempo del commercio. Il primo era consacrato a Dio, il secondo era dedicato allo scambio di merci e di denaro tra gli uomini. Le torri degli orologi cominciarono ad affiancare i campanili. Oggi le torri degli orologi e dei campanili non hanno nessuna funzione: quasi quattro utenti su dieci confessano di sentirsi disorientati senza i loro supporti digitali, sono loro le bussole cronologiche e spaziali. «Supporti» è etimologicamente la parola giusta, perché se è così significa che sono i nostri strumenti tecnologici a rendere sopportabile la giornata, ancorata a qualcosa. La frenesia di essere subito collegati con il mondo ci dà stabilità e conforto. In una famosa lezione, il sociologo Zygmunt Bauman ha individuato una delle caratteristiche della società «liquida» nella qualità «puntiforme» del tempo, nella sua accelerazione disordinata, che contrasta con la circolarità premoderna e con quel senso di una linearità che ha segnato l’epoca moderna. Conduciamo le nostre giornate come governati da quella che Remo Bodei ha chiamato un’«economia di rapina»: siamo falchi sempre in attesa di un’occasione. I filosofi della contemporaneità sostengono che si sta verificando una sorta di evanescenza del senso del passato e della prospettiva del futuro, e forse arriverebbero a dire che è la pressione incoercibile di un presente onnivoro che ci induce a chiedere compulsivamente a un oggetto come sta il mondo in questo preciso momento, che cosa dicono gli altri, che cosa hanno detto nella notte, proprio mentre noi, inevitabilmente, dovevano dormire. Vi ricordate il famoso incipit dei Fiori blu di Raymond Quenau, dove si vede il Duca D’Aube che sul far dell’alba sale sul torrione del suo castello per «considerare un momentino la situazione storica», trovandola inevitabilmente poco chiara? Siamo una massa di duchi che salgono tutte le mattine sui loro torrioni con l’ansia di considerare un momentino non si sa cosa .