Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 10 Venerdì calendario

IL PATRIOTA SNOWDEN


IL MESSAGGIO arriva sulla mia “macchina pulita”, un MacBook Air su cui è caricato solo un sofisticato pacchetto di crittazione. «Cambiamento di piani», scrive il mio contatto. «Trovati nella lobby dell’hotel XY per la una del pomeriggio. Porta un libro e aspetta che ES ti trovi». ES è Edward Snowden, l’uomo più ricercato del mondo. Per nove mesi ho cercato di fissare un’intervista con lui andando a Berlino, Rio de Janeiro e New York svariate volte per parlare con i pochissimi suoi amici intimi che sono in grado di organizzare un incontro. Cerco la risposta a una sola domanda: che cosa ha spinto Snowden a rendere pubblici centinaia di migliaia di documenti top secret, con rivelazioni che hanno sollevato il velo sull’enorme portata dei programmi di sorveglianza interna del governo? In maggio avevo ricevuto una email dal suo avvocato Ben Wizner, legale della American Civil Liberties Union: confermava che io e Snowden ci saremmo incontrati a Mosca e che io avrei potuto parlare con lui per un periodo che alla fine è stato di tre giornate piene distribuite nel corso di alcune settimane. È il tempo più lungo concesso da Snowden a un giornalista, da quando è arrivato in Russia nel giugno 2013. Ma i dettagli più minuti del nostro incontro restano ancora avvolti nel mistero. A Mosca sono atterrato senza sapere dove o quando io e Snowden ci saremmo incontrati. E ora finalmente i dettagli sono fissati. Io starò all’hotel Metropol, un originale edificio color sabbia art nouveau di prima della rivoluzione.
Confesso di sentire una certa affinità con Snowden. Come lui, ero stato assegnato a un’unità della National Security Agency alle Hawaii, nel mio caso rientrava nei tre anni di servizio attivo in Marina durante la guerra del Vietnam. A quell’epoca resi pubblici i segreti delta Nsa allorché mi imbattei in un programma che comportava intercettazioni illegali di conversazioni tra cittadini americani. E alla fine, dopo essermi laureato, decisi di scrivere il mio primo libro sulla Nsa. Fui minacciato più di una volta di essere messo sotto inchiesta in virtù dell’Espionage Act, la legge del 1917 in base alla quale è stato incriminato anche Snowden. Da allora ho scritto altri due libri sulla Nsa, insieme a numerosi articoli e documentari (comprese due storie di copertina sulla Nsa per Wired). Durante la mia carriera, però, non ho mai incontrato uno come Snowden. Lui è un esemplare eccezionale di talpa postmoderna. Ben poche persone lo hanno visto fisicamente da quando si è volatilizzato a Mosca nel giugno 2013. Da allora Snowden, sul palcoscenico mondiale, non è solo l’uomo senza patria ma anche l’uomo senza un corpo. Quando viene intervistato nel corso di una conferenza del festival South by Southwest o riceve premi umanitari, la sua immagine disincarnata sorride da un megaschermo. In occasione di una conferenza Ted nel marzo scorso si è spinto ancora oltre, un piccolo schermo con l’immagine dal vivo della sua faccia è stato fissato a due sostegni simili a gambe posti su rotelle controllate in remoto, dando a Snowden la possibilità di “camminare” in giro, di parlare con le persone, e persino di posare con loro per un selfie.

* * *
SNOWOEN È ANCORA molto cauto quando si tratta di fissare incontri in carne e ossa, e capisco il perché leggendo un articolo comparso di recente sul Washington Post. La storia, scritta da Greg Miller, racconta di riunioni quotidiane di alti funzionari di Fbi, Cia e Dipartimento di Stato, tutti disperatamente impegnati a cercare il modo di catturarlo. Un funzionario ha detto a Miller: «Speravamo che fosse abbastanza stupido da salire su un qualunque aereo, e poi di far dire a un alleato: “Sei nel nostro spazio aereo. Atterra”». Snowden non è stato così stupido. E da quando è scomparso in Russia, gli Stati Uniti sembrano aver perso ogni sua traccia. Faccio del mio meglio per evitare di essere pedinato mentre mi dirigo verso l’albergo fuori mano scelto per l’intervista, che attira pochi ospiti occidentali. Prendo posto nella lobby con vista sull’ingresso principale e apro il libro. È appena passata l’una quando entra Snowden, jeans scuri e giubbotto sportivo marrone, con un voluminoso zaino nero gettato sulla spalla destra. Non mi vede finché non mi alzo e non cammino al suo fianco. «Dove era?», mi chiede. «Non l’ho vista». Indico la mia poltrona. «E lei era nella Cia?», dico scherzando. Snowden ride.
Ormai è in Russia da più di un anno. Fa la spesa in un supermercato locale dove nessuno lo riconosce, mastica un po’ di russo. Ha imparato anche a vivere in maniera modesta in una città costosa che è più pulita di New York e più sofisticata di Washington. In agosto l’asilo temporaneo sarebbe scaduto (ma il 7 agosto il governo di Putin ha annunciato di avergli rinnovato il permesso per altri tre anni, ndr). Entrando nella stanza che ha prenotato per la nostra intervista, Snowden butta sul letto lo zaino insieme al cappellino da baseball e a un paio di occhiali scuri. È magro, quasi smunto, con una faccia affilata e un’ombra di pizzetto, come se avesse cominciato a farlo crescere ieri. Ha i suoi caratteristici occhiali Burberry, cerchiati solo a metà e con le lenti rettangolari. La camicia azzurra sembra almeno una taglia troppo abbondante, la cinturona è stretta al massimo, e ai piedi ha un paio di mocassini Calvin Klein neri a punta squadrata. Nel complesso ha l’aria di una giudiziosa matricola universitaria. Snowden è molto prudente. Quando ci accomodiamo, rimuove la batteria dal suo cellulare. Il mio iPhone l’ho lasciato in albergo. Le persone che si occupano di Snowden mi hanno ripetutamente fatto presente che un telefono cellulare, per quanto spento, può facilmente essere trasformato in un microfono della Nsa. Lui è riuscito a restare uccel di bosco grazie anche alla conoscenza dei trucchi dell’agenzia. Un’altra precauzione utile è stata quella di evitare le aree frequentate dagli americani e dagli altri occidentali.
Ciò nonostante, quando è in giro, per esempio in un negozio di computer, ogni tanto capita che un russo lo riconosca. «Shhh», gli dice allora Snowden, sorridendo e mettendosi un indice sulle labbra.

NONOSTANTE SIA OGGETTO di una caccia all’uomo mondiale, Snowden appare rilassato e di buon umore, mentre beviamo Coca-Cola e divoriamo una gigantesca pizza al salame piccante che ci siamo fatti servire in camera. Mancano pochi giorni al suo trentunesimo compleanno. Snowden conserva ancora la speranza che un giorno o l’altro gli consentiranno di tornare negli Stati Uniti. «Ho fatto sapere al governo di essere pronto ad andare in prigione, se questo servisse alla causa», dice. «Mi interessa più il bene del paese, che non il mio. Ma non possiamo consentire che la legge diventi un’arma politica, o che la gente venga intimidita per impedirle di difendere i diritti civili». Nel frattempo Snowden continuerà a perseguitare gli Stati Uniti con l’impatto imprevedibile delle sue azioni che si riverbera in patria e nel mondo. I documenti, tuttavia, non sono più in mano sua. Snowden non vi ha più accesso. Dice di non esserseli portati dietro, in Russia. Copie dei documenti sono ora nelle mani di tre gruppi: First Look Media, fondato dal giornalista Glenn Greenwald e dalla regista di documentari americana Laura Poitras, i due destinatari originari dei documenti: il quotidiano The Guardian, che aveva ricevuto copie prima che il governo britannico spingesse la direzione a trasferirne la custodia fisica (ma non la proprietà) al New York Times; e Barton Gellman, firma del Washington Post. È altamente improbabile che gli attuali custodi decidano in futuro di restituire i documenti alla Nsa. Questo ha gettato i funzionari statunitensi in uno stato simile a un’aspettativa impotente, in attesa del round successivo di rivelazioni, della prossima sollevazione diplomatica, di una nuova dose di umiliazioni. Snowden mi dice che non sarà così. Spiega che la sua intenzione in realtà era quella di far capire bene al governo che cosa lui avesse esattamente rubato. Prima di involarsi con i documenti, ha cercato di lasciarsi alle spalle una serie di briciole di Pollicino digitali in modo che gli inquirenti potessero stabilire quali documenti Snowden aveva copiato e prelevato, e quali semplicemente “toccato”. In questo modo sperava che l’agenzia capisse che lui voleva svelare le illegalità, e non spiare per conto di una potenza straniera. Ma Snowden è convinto che l’ispezione della Nsa non abbia colto questi indizi e si sia limitata a riferire il numero totale dei documenti da lui toccati: 1.700.000 (Snowden sostiene di averne presi molti meno). «Immaginavo che si sarebbero trovati in difficoltà. Non immaginavo che fossero degli incapaci assoluti». Quando si è trattato di commentare le affermazioni di Snowden, il portavoce della Nsa Vanee Vines si è limitato a dire: «Se il signor Snowden vuole discutere delle sue attività, questa conversazione si dovrebbe tenere con il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti. Deve tornare negli Stati Uniti per affrontare le accuse che gli vengono rivolte».
Snowden immagina che il governo tema che i documenti contengano materiale altamente dannoso: «Penso che siano convinti della presenza lì in mezzo di uno smoking gun tale da provocare la morte politica di tutti quanti loro. Il fatto che l’inchiesta governativa abbia fallito – che non sappiano che cosa è stato preso e continuino a sparare queste cifre ridicolmente esagerate – per me sta a indicare che nella valutazione del danno devono aver visto qualcosa del genere che ti fa dire O merda!. E pensano che quel qualcosa sia ancora in giro». Eppure è assai probabile che nessuno sappia con esattezza cosa ci sia in quel colossale bottino di documenti, né la Nsa, né i custodi dell’archivio, e neppure Snowden. Questi si rifiuta di rivelare il modo in cui ha raccolto i documenti, ma nella comunità dell’intelligence alcuni ipotizzano che Snowden abbia semplicemente usato un web crawler, un programma in grado di cercare e copiare tutti i documenti che contengono determinate parole chiave o combinazioni di parole chiave. E c’è un’altra ipotesi a complicare ulteriormente le cose: alcune delle rivelazioni attribuite a Snowden potrebbero in effetti essere arrivate non da lui ma da un’altra talpa che ha diffuso segreti a nome di Snowden. Lui si è rifiutato categoricamente di prendere in considerazione questa ipotesi. Ma indipendentemente dal mio incontro con Snowden, io ho avuto libero accesso alla sua cache di documenti, in varie localizzazioni. Passando il suo archivio con un search tool digitale sofisticato non sono riuscito a trovare alcuni dei documenti che sono diventati di pubblico dominio, e questo mi ha indotto a concludere che da qualche parte ci debba essere un’altra talpa. Non sono l’unico a pensarla così. In effetti, il primo giorno in cui ho intervistato Snowden a Mosca, la rivista tedesca Der Spiegel è uscita con un lungo articolo sulle operazioni della Nsa in Germania, e sulla collaborazione dell’agenzia americana con l’agenzia di intelligence tedesca, Bnd. Tra i documenti resi noti dalla rivista c’è un memorandum di accordo top secret tra Nsa e Bnd, del 2002. «Non è materiale proveniente da Snowden», fa notare la rivista. Alcuni hanno perfino messo in dubbio che le famigerate rivelazioni sulla Nsa che intercettava il cancelliere tedesco Angela Merkel, a lungo attribuite a Snowden, venissero proprio da lui. All’epoca della rivelazione, Der Spiegel aveva semplicemente attributo le informazioni a Snowden e ad altre fonti di cui non si faceva il nome. Se all’interno della Nsa esistono davvero altre talpe, questo per l’agenzia sarebbe qualcosa di peggio di un nuovo incubo. Gli articoli di Der Spiegel sono opera di vari autori, tra cui Poitras, la regista che è stata una dei primi giornalisti contattati da Snowden. La sua elevata visibilità e la sua competenza in materia di crittazione potrebbero aver attirato altre talpe della Nsa, e la cache di documenti di Snowden potrebbe aver fornito la copertura ideale. Dopo i miei incontri con Snowden, ho mandato una email a Poitras in cui le chiedevo a bruciapelo se là fuori ci fossero altre fonti Nsa. Lei ha risposto tramite il suo avvocato: «Siamo spiacenti ma Laura non ha intenzione di rispondere alla sua domanda».

LO STESO GIORNO in cui io e Snowden ci spartiamo una pizza nella Stanza di un albergo moscovita, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti provvede a mettere un freno alla Nsa. Con una conta di voti asimmetrica di 293 contro 123, i membri stabiliscono che l’agenzia non potrà più condurre ricerche senza mandato sul vasto database che contiene milioni di messaggi di posta elettronica e telefonate degli americani. Questa è solo una delle molte riforme che erano state proposte e non sarebbero mai state realizzate se non fosse stato per Snowden. A Mosca, Snowden ricorda di essersi imbarcato su un volo per Hong Kong, poco prima di rivelarsi come colui che aveva fatto trapelare una spettacolare quantità di segreti, e di essersi chiesto se valesse la pena di correre quel rischio. «Ero convinto che la società nel suo complesso si sarebbe limitata a scrollare le spalle e ad andare avanti». Invece, la sorveglianza messa in atto dalla Nsa è diventata uno degli argomenti più discussi dagli americani. Il presidente Obama ha affrontato personalmente la questione, il Congresso se ne è fatto carico, e la Corte Suprema, ha fatto capire che potrebbe intervenire in materia di intercettazioni senza mandato. E anche l’opinione pubblica si è spostata: adesso è favorevole a una limitazione della sorveglianza di massa. «Molto dipende da come vengono poste le domande nei sondaggi», dice Snowden, «ma se tu fai domande semplici su cose come la mia decisione di rivelare l’esistenza di Prism (il programma che consente alle agenzie governative di estrarre gli user data da società come Google, Microsoft e Yahoo!, ndr) il 55% degli americani è d’accordo. Il che è straordinario se si considera che da un anno il governo mi sta dipingendo come una sorta di supercattivo». Questa potrebbe essere un’esagerazione, ma neanche tanto. Più o meno un anno dopo le prime rivelazioni di Snowden, il direttore della Nsa Keith Alexander ha dichiarato che Snowden «attualmente è manovrato dall’intelligence russa» e lo ha accusato di aver causato «un danno notevole e irreparabile». Più recentemente il segretario di Stato John Kerry ha detto che «Edward Snowden è un codardo e un traditore del suo paese».

SNOWOEN È MOLTO ATTENTO all’evoluzione del suo profilo pubblico, ma è riluttante a parlare di se stesso. In parte è frutto della sua naturale timidezza e della poca voglia di «trascinare la mia famiglia in questa storia e di procurarmi una biografia». Dice che se rivelasse dettagli personali questo rischierebbe di farlo apparire narcisista e arrogante. Ma soprattutto teme di poter essere involontariamente distolto dalla causa per la quale ha rischiato la vita. «Sono un ingegnere, non un politico. Non voglio il palcoscenico. Sono terrorizzato all’idea di poter offrire a questi esperti che parlano in televisione un elemento di distrazione, una scusa per minacciare, infangare e delegittimare un movimento molto importante». Ma quando Snowden finalmente acconsente a parlare della sua vita privata, il ritratto che emerge non è quello di una testa calda dallo sguardo ardente ma quello di un idealista severo e sincero che è rimasto deluso dal suo paese e dal suo governo. Snowden è nato il 21 giugno 1983 ed è cresciuto in un sobborgo del Maryland, non lontano dal quartier generale della Nsa. Suo padre Lon ha fatto carriera passando dai bassi ranghi della Guardia costiera a warrant officer. Sua madre Wendy ha lavorato per il tribunale distrettuale di Baltimora, mentre la sorella maggiore Jessica è diventata avvocato presso il Federai Judicial Center di Washington. «In un modo o nell’altro nella mia famiglia tutti hanno lavorato per il governo federale», dice Snowden. «Immaginavo che avrei seguito la stessa strada». Suo padre mi ha detto: «Abbiamo sempre pensato che Ed fosse il più intelligente, nella nostra famiglia». E dunque non si era stupito quando suo figlio in due distinti test per la misurazione del quoziente intellettivo aveva ottenuto un punteggio superiore a 145. Da bambino, invece di passare ore davanti alla televisione, o di darsi allo sport, Snowden si è innamorato dei libri e in particolare della mitologia greca. «Mi ricordo che cominciavo a leggere e sparivo per ore». Subito dopo l’uscita pubblica di Snowden come talpa, c’è stato un gran clamore mediatico sul dettaglio che il ragazzo avesse lasciato la scuola dopo la decima classe, quasi a mettere in luce che in fondo si trattava solo di uno scansafatiche e di un somaro. Ma a fargli perdere quasi nove mesi di scuola non era stata la voglia di marinare, ma un attacco di mononucleosi. E così invece di ripetere l’anno Snowden si è iscritto in un centro di formazione professionale. Fin da bambino aveva avuto la passione per i computer, e adesso quella passione si era fatta più forte. Ha cominciato a lavorare per un compagno di classe che aveva messo su un’impresina tech. Per puro caso l’azienda aveva come sede una casa di Fort Meade, dove si trova il quartier generale della Nsa.

L’11 SETTEMBRE 2001 Snowden stava andando in ufficio, quando ci fu l’attacco. «Stavo guidando e alla radio ho sentito del primo aereo», ricorda. Come molti americani dotati di forte senso civico, Snowden rimase profondamente turbato dagli attacchi. Nella primavera 2004, quando la guerra terrestre in Iraq si stava arroventando, Snowden si arruolò volontario. «Ero molto sensibile alle spiegazioni governative, sarebbe più giusto chiamarle propaganda, quando si trattava di argomenti come l’Iraq, i tubi di alluminio e le fialette di antrace. Ero ancora fermamente convinto che il governo non potesse raccontare bugie, che avesse nobili intenti, e che la guerra in Iraq sarebbe stata uno sforzo limitato e mirato alla liberazione degli oppressi. E io volevo fare la mia parte». Snowden era particolarmente attratto dalle forze speciali, perché gli offrivano la possibilità di studiare le lingue. È stato preso, dopo aver fatto bene in un test attitudinale. Ma le richieste di tipo fisico erano più elevate. Durante l’addestramento ha avuto un incidente e si è spezzato entrambe le gambe. Pochi mesi dopo è stato congedato. Uscito dall’esercito, Snowden ha trovato lavoro come guardiano della sicurezza in un edificio di massima segretezza, posizione che richiedeva un’abilitazione di alto livello. Ha passato un test al poligrafo e il controllo serrato sui dettagli della sua vita privata, e senza quasi rendersene conto si è trovato avviato a una carriera nel mondo clandestino dell’intelligence. Dopo aver partecipato a una job fair dedicata alle agenzie di intelligence, gli è stato offerto un posto nella Cia, dove è stato assegnato alla divisione comunicazioni globali, l’organizzazione che si occupa di informatica, presso il quartier generale di Langley in Virginia. Era un’estensione del lavoro informatico che Snowden aveva svolto fin da quando aveva 16 anni. «Tutte le basi segrete sono in rete con il quartier generale della Cia», spiega. «C’eravamo io e un altro tizio che faceva i turni serali». Ma Snowden ha scoperto molto in fretta uno dei più grossi segreti della Cia: nonostante la sua immagine di organizzazione di avanguardia, l’agenzia disponeva di una tecnologia miseramente obsoleta.» Non era affatto quella che appariva dall’esterno. Come ultimo arrivato nella squadra informatica di punta, Snowden si è distinto a tal punto da essere mandato alla scuola segreta della Cia per specialisti della tecnologia. Ha vissuto lì, in albergo, per circa sei mesi, studiando e addestrandosi a tempo pieno. Completato l’addestramento, nel marzo 2007, Snowden è partito per Ginevra, dove la Cia stava cercando informazioni sul sistema bancario. È stato assegnato alla missione statunitense presso le Nazioni Unite. Gli hanno dato un passaporto diplomatico, un appartamento con quattro locali vicino al lago e un bell’incarico di copertura. E proprio a Ginevra Snowden ha visto con i suoi occhi alcuni dei compromessi morali che gli agenti facevano sul campo. Gli agenti segreti facevano ubriacare i loro obiettivi al punto da farli finire in galera e poi pagavano la cauzione per farli uscire, e così questi finivano per essere in debito. A Ginevra, racconta Snowden, ha conosciuto molte spie che erano contrarie alla guerra in Iraq e alla politica americana in Medio Oriente. Per via del suo lavoro Ed aveva più che mai accesso alle informazioni sulla conduzione della guerra. E quel che è venuto a sapere lo ha turbato profondamente: «Era il periodo Bush, quando la guerra al terrore si era fatta veramente oscura. Torturavamo le persone; le intercettavamo senza mandato». Snowden ha cominciato a prendere in considerazione l’ipotesi di diventare una talpa, ma con l’elezione di Obama in vista si è trattenuto. «Credo che perfino gli avversari di Obama fossero colpiti positivamente dai valori che il nuovo presidente rappresentava», racconta. «Diceva che gli Stati Uniti non avrebbero sacrificato i diritti. Che non avremmo cambiato il nostro modo di essere solo per acchiappare un piccola percentuale in più di terroristi». Però poi Snowden è rimasto deluso: «Non solo non hanno mantenuto le promesse, ma le hanno rinnegate del tutto. Sono andati in direzione opposta. Cosa significa questo per una società, per una democrazia, quando la gente che tu eleggi sulla base di promesse può in pratica subornare la volontà dell’elettorato?». Ci sono voluti un paio di anni per raggiungere questo nuovo livello di disincanto. A quel punto 2010 Snowden era passato dalla Già alla Nsa, accettando un incarico come esperto tecnico in Giappone per conto di Dell, uno dei principali contractor dell’agenzia. In seguito all’11 settembre e all’enorme afflusso di finanziamenti all’intelligence, molto del lavoro della Nsa era stato appaltato a contractor tra i quali anche Dell e Booz Allen Hamilton. ES ha lavorato presso gli uffici della Nsa della base aerea di Yokota, fuori Tokyo, dove ha insegnato ad alti funzionari e a ufficiali militari a difendere le loro reti dagli attacchi degli hacker cinesi. Ma il suo disincanto era destinato solo ad aumentare. Era già abbastanza brutto quando le spie facevano ubriacare i banchieri per reclutarli; adesso Ed veniva a sapere di omicidi mirati e sorveglianza di massa. Snowden era lì a guardare mentre droni dell’esercito e della Cia trasformavano in silenzio esseri umani in pezzi di corpi. E stava anche cominciando a comprendere l’enorme portata della sorveglianza dell’agenzia, la sua capacità di seguire i movimenti di chiunque in una città monitorando l’indirizzo Mac (Media Access Control), un identificativo specifico emesso da ogni telefono cellulare, da ogni computer e da altri dispositivi elettronici. Ma la brillante carriera di Snowden non si è fermata neppure con lo sgretolarsi della sua fede nella missione dei servizi di intelligence degli Stati Uniti. Nel 2011 è tornato nel Maryland, dove è stato per circa un anno il responsabile tecnologico di Dell che collaborava con la Cia. Nel marzo 2012, però, Snowden si è trasferito nuovamente per conto di Dell, questa volta in un massiccio bunker alle Hawaii, dove è diventato responsabile tecnologico dell’ufficio di condivisione informazioni. All’interno del “tunnel”, un buco umido e gelido con una superficie di oltre 23mila metri quadrati che un tempo era un deposito di siluri, le preoccupazioni di Snowden sui poteri della Nsa e sulla mancanza di controllo sono cresciute, giorno dopo giorno. Tra le scoperte che più lo hanno scioccato c’è stata quella che l’agenzia passava integralmente comunicazioni private – i contenuti come i metadata – all’intelligence israeliana.
Di solito informazioni come queste vengono “minimizzate”, ovvero sottoposte a un processo di rimozione dei nomi e dei dati personali identificabili. Ma in questo caso la Nsa non faceva nulla per proteggere comunicazioni avvenute all’interno degli Stati Uniti. Queste comprendevano email e telefonate di milioni di arabi americani e palestinesi americani, i cui parenti nella Palestina occupata da Israele potevano diventare un bersaglio. «Mi pare incredibile», dice Ed. «È uno dei più grossi abusi che abbiamo visto» (l’operazione è stata raccontata l’anno scorso da The Guardian, che ha citato come sua fonte i documenti di Snowden, ndr). Un’altra scoperta inquietante è stata un documento del direttore della Nsa Keith Alexander, che rivelava come l’agenzia stesse spiando le abitudini di alcuni radicali di guardare materiale porno. L’agenzia avrebbe potuto utilizzare queste “vulnerabilità personali” per distruggere la reputazione di gente che criticava il governo. Il documento poi proseguiva elencando sei persone come potenziali bersagli futuri. Snowden è rimasto sbigottito di fronte a quel memo. «Ricorda molto il modo in cui l’Fbi tentò di usare l’infedeltà coniugale di Martin Luther King per convincerlo a suicidarsi. Abbiamo detto che queste cose avvenute negli anni Sessanta non erano giuste. E perché adesso lo facciamo? Perché siamo di nuovo coinvolti in cose del genere?». L’unico modo per porre fine agli abusi del governo era quello di renderli noti.

IN GIUGNO qui il sole tramonta tardi e fuori dalla finestra dell’albergo lunghe ombre stanno cominciando ad avvolgere la città. Ma Snowden non pare disturbato dal fatto che l’intervista si prolunghi in orario serale. Vive con il fuso orario di New York, per meglio comunicare con i suoi sostenitori statunitensi e tenersi aggiornato con le notizie. Comprese quelle dei suoi detrattori. Come Marc Andreessen, fondatore di Netscape, che ha dichiarato alla Cnbc: «Se cercate nell’enciclopedia la voce “traditore”, ci troverete un ritratto di Edward Snowden». O di Bill Gates che in un’intervista a Rolling Stane ha rilasciato un commento tagliente. «Penso che abbia violato la legge, quindi certo non lo presenterei come un eroe. Da parte mia non troverete molta ammirazione». Snowden si sistema gli occhiali; uno dei naselli è mancante, e ogni tanto gli occhiali gli scivolano giù. Lui sembra perso nei suoi pensieri, come se tornasse con il ricordo al momento della decisione, al punto di non ritorno. Al momento in cui con una penna usb in mano e la consapevolezza dell’enormità delle possibili conseguenze, si è messo segretamente al lavoro: «Se il governo non rappresenta i nostri interessi, allora il pubblico difende da sé i propri interessi. E lo svelamento dei segreti di Stato è uno dei metodi che abbiamo tradizionalmente a disposizione». La Nsa a quanto pare non aveva previsto che uno come Snowden potesse imbrogliare. In ogni caso Snowden dice di non aver avuto alcuna difficoltà ad accedere, scaricare ed estrarre tutte le informazioni confidenziali che voleva. A parte i documenti classificati di più alto livello, i dettagli su quasi tutti i programmi di sorveglianza della Nsa erano accessibili a chiunque, dipendente o contractor, soldato semplice o generale, avesse un’abilitazione top secret della Nsa e un accesso a un computer dell’agenzia. Ma l’accesso di Snowden nel periodo delle Hawaii andava ben oltre: «Potevo accedere a tutto». Insomma, a quasi tutto. C’era un’area cruciale che restava al di fuori della sua portata: l’aggressiva attività di cyberwarfare della Nsa, in giro per il mondo. Per avere accesso anche a quest’ultima cache di segreti, Snowden si è fatto ingaggiare come analista delle infrastrutture da un altro grossissimo contractor Nsa, Booz Allen. Il ruolo gli ha dato la rara opportunità di avere due lavori in uno, coprendo le intercettazioni interne e quelle estere, cosa che consentiva a Snowden di tracciare i cyberattacchi domestici risalendo fino al paese di origine. Con questo suo nuovo lavoro si è immerso nel mondo altamente segreto in cui si piazza malware nei sistemi in giro per il mondo e si rubano gigabyte di documenti stranieri riservati. Al tempo stesso è stato in grado di confermare che una grande quantità di comunicazioni statunitensi «veniva intercettata e immagazzinata senza un mandato, senza che ci fosse un sospetto di condotta criminale o un indizio di colpevolezza». All’epoca in cui è andato a lavorare per Booz Allen nella primavera del 2013, Snowden era ormai totalmente disilluso, anche se non aveva ancora perso la sua capacità di rimanere traumatizzato. Un giorno un funzionario dell’intelligence gli ha raccontato che la Tao – una divisione di hacker della Nsa – aveva tentato nel 2012 di installare in remoto un exploit in uno dei core router di uno dei principali provider di servizi internet in Siria, paese che era nel pieno di una lunga guerra civile. Questo avrebbe garantito alla Nsa l’accesso a email e ad altro traffico internet di gran parte di quel paese. Ma qualcosa era andato storto e il router era andato in brick (bloccato totalmente, ndr). Il blocco di quel router aveva fatto si che la Siria perdesse all’improvviso ogni collegamento alla rete, anche se il pubblico non sapeva che la colpa era del governo Usa (questa è la prima volta che l’informazione viene rivelata). All’interno del centro operativo Tao gli hacker governativi in preda al panico avevano avuto quello che Snowden chiama un momento “oh merda”. Si erano precipitati a tentare di riparare il router in remoto, ansiosi di coprire le proprie tracce e di impedire che i siriani scoprissero il sofisticato software utilizzato per infiltrarsi nella rete. Ma poiché il router era bloccato, erano impotenti. Fortunatamente per la Nsa, i siriani erano sembrati molto più concentrati sul ripristino di internet che sull’individuazione della causa dell’interruzione. Nel centro operativo Tao la tensione era stata spezzata con una battuta che conteneva più di un pezzetto di verità: «Se ci beccano, possiamo sempre dare la colpa a Israele».
Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso di Snowden è stato un programma segreto, scoperto mentre cercava di potenziare le capacità del segretissimo centro di raccolta dati della Nsa a Bluffdale, nello Utah. L’edificio, che ha una superficie di circa 93mila metri quadrati, ed è in grado di contenere oltre uno yottabyte di dati, circa 500 quintilioni di pagine di testo, è noto all’interno della Nsa come Mission Data Repository. Attraverso le maglie del Mdr passano in continuazione miliardi di telefonate, fax, messaggi di posta elettronica, trasferimenti di dati e sms da tutto il mondo. Alcuni passano e basta, altri sono conservati per un breve periodo, e altri sono conservati per sempre. La sorveglianza di massa era già abbastanza brutta, ma Snowden si è turbato ancora di più quando ha scoperto che si stava lavorando a un nuovo programma di guerra cibernetica, nome in codice MonsterMind, che ricorda tanto il dottor Stranamore. Il programma, che riveliamo qui per la prima volta, automatizzerebbe il processo della caccia ai cyberattacchi stranieri, fin dalle prime fasi. Il software sarebbe perennemente alla ricerca di metadati contenenti algoritmi che si sospettano o si sanno essere malware. Qualora scoprisse un algoritmo sospetto MonsterMind lo bloccherebbe automaticamente, impedendogli l’ingresso negli Stati Uniti – la terminologia cyber definisce questo come un “kill”. Programmi del genere esistono da decenni, ma il software MonsterMind aggiunge una nuova eccezionale capacità: invece di limitarsi a scoprire e bloccare il malware sul punto di entrata, MonsterMind restituisce il colpo in automatico, senza intervento umano. Questo è un problema, spiega Snowden, perché gli attacchi iniziali spesso vengono fatti viaggiare attraverso i computer di altri paesi, paesi innocenti: «Questi attacchi possono essere ingannatori. Per esempio ci può essere qualcuno che dalla Cina fa sembrare che l’attacco provenga dalla Russia. E noi finiamo per contrattaccare, colpendo magari un ospedale russo. E poi?». Oltre al rischio di innescare accidentalmente una guerra, Snowden vede in MonsterMind la più grande minaccia alla privacy perché, per far funzionare il sistema, la Nsa dovrebbe prima avere un accesso segreto a praticamente tutte le comunicazioni private che dall’estero arrivano a cittadini statunitensi. «Si sostiene che l’unico modo che abbiamo per identificare questi flussi di traffico nocivi, e di reagire, sia quello di analizzare tutti i flussi. E se noi analizziamo tutti i flussi di traffico, questo significa che li dobbiamo anche intercettare. E questo significa che stiamo violando il Quarto Emendamento, perché mettiamo le mani su comunicazioni private senza un mandato, senza indizi di colpevolezza e perfino senza alcun sospetto di infrazione. Per chiunque, e in continuazione» (un portavoce della Nsa si è rifiutato di fare commenti su MonsterMind, sul malware in Siria, e sui dettagli specifici di questo articolo, ndr). Snowden si è cosi convinto di non avere altra scelta, doveva prendere la sua chiavetta usb e rivelare al mondo ciò che sapeva. L’unico dubbio era sul quando.
Il 13 marzo 2013, mentre era alla sua scrivania, Snowden ha letto una notizia che lo ha convinto ad agire. L’articolo riferiva che il direttore dell’intelligence nazionale, James Clapper, aveva detto a una commissione del Senato che la Nsa non raccoglie “di proposito” informazioni su milioni di americani. Snowden e i suoi colleghi avevano discusso molte volte sulle menzogne della Nsa sull’ampiezza dello spionaggio, quindi non si è stupito per le loro blande reazioni alla testimonianza di Clapper. «C’era qualcosa di più di una semplice accettazione. È come la rana messa a bollire», mi spiega Snowden. «Vieni esposto a una piccola quantità di male, a una piccola violazione di regole, a un pizzico di disonestà, di inganni, di mancato rispetto del pubblico interesse, e riesci a ignorare i fatti, puoi arrivare anche a giustificarli. Ma se lo fai imbocchi una strada che diventa sempre più scivolosa, e dopo 15, 20, 25 anni hai visto tutto e non ti turbi più. Lo vedi come normale. Ed è questo il problema, ecco il nocciolo delle dichiarazioni di Clapper. Lui vede l’ingannare i cittadini americani come il suo lavoro, una cosa assolutamente regolare. E aveva ragione a pensare che non sarebbe stato punito, visto che si è scoperto che ha mentito sotto giuramento e non gli hanno dato neppure uno schiaffetto sulle dita. Questo ci dice molte cose sul sistema e sui nostri leader». Snowden ha deciso che era venuta l’ora di saltare fuori dall’acqua, prima di finire lessato anche lui. Sapeva, però, che ci sarebbero state conseguenze terribili. «È davvero difficile fare quel passo. Non solo credo in qualcosa ma ci credo al punto da essere pronto a dar fuoco alla mia vita, e a farla bruciare fino alle fondamenta». Però ha sentito di non avere scelta. Due mesi dopo è salito su un volo per Hong Kong con la tasca piena di pennette usb.

IL POMERIGGIO del nostro terzo incontro, circa due settimane dopo il primo, Snowden viene da me in albergo. Ho cambiato sistemazione e adesso alloggio al National, accanto al Cremlino. Però Snowden più della polizia segreta russa, della Cia e della Nsa teme di prendere qualche cantonata in grado di annientare i progressi fatti sulla strada di riforme per le quali si è tanto sacrificato: «Non sono autodistruttivo. Non voglio immolarmi. Ma se non corriamo qualche rischio non possiamo vincere». E quindi sta molto attento a rimanere sempre un passo avanti rispetto ai suoi inseguitori. Cambia continuamente computer e account di posta, per esempio. Ciò nonostante, Snowden sa di essere destinato a tradirsi prima o poi: «Farò qualche errore e loro mi prenderanno. Succederà». Alcuni dei suoi compagni di strada hanno già commesso errori madornali. L’anno scorso Greenwald si è accorto di non riuscire ad aprire una imponente raccolta di segreti che Snowden gli aveva passato. Quindi ha mandato David Miranda, suo compagno da molto tempo, da casa loro a Rio fino a Berlino per farsi dare un altro set da Poitras che teneva l’archivio. Ma nell’organizzare il viaggio The Guardian ha prenotato uno spostamento che passava per Londra. Ricevuta una soffiata, le autorità inglesi hanno subito fermato Miranda, sottoponendolo a un interrogatorio di nove ore. E per di più hanno sequestrato un hard drive esterno contenente 60 gigabit di dati, circa 58mila pagine di documenti. Anche se i documenti erano stati crittati con un sofisticato programma chiamato True Crypt, le autorità britanniche hanno trovato un foglietto su cui Miranda aveva annotato la password di uno dei file, e sono riuscite a decodificare circa 75 pagine.
Un’altra preoccupazione per Snowden è quella che lui definisce “affaticamento da Nsa”: il pubblico diventa insensibile e assuefatto alle rivelazioni sullo spionaggio di massa, proprio come davanti a una guerra. «Una morte è una tragedia, un milione di morti è una statistica», dice citando mordacemente Stalin. Non è ottimista neppure riguardo alle nuove elezioni. In definitiva Snowden è convinto che dovremmo riporre la nostra fiducia nella tecnologia, non nei politici. «Abbiamo i mezzi e abbiamo la tecnologia per porre fine alla sorveglianza di massa, anche senza alcuna azione legislativa o cambiamento politico. Se per esempio facessimo della crittazione uno standard universale – in cui tutte le comunicazioni sono crittate di default – potremmo porre fine alla sorveglianza di massa non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo».
Fino ad allora, dice Snowden, continueranno ad arrivare rivelazioni: «Non abbiamo ancora visto la fine». E in effetti un paio di settimane dopo il nostro incontro, il Washington Post ha scritto che il programma di spionaggio della Nsa ha raccolto molti più dati su cittadini americani innocenti che non sugli obiettivi stranieri che si volevano tenere d’occhio. In giro ci sono ancora centinaia di migliaia di pagine di documenti segreti, per non parlare delle altre talpe che Snowden potrebbe avere già ispirato. Ma lui dice che il contenuto delle prossime rivelazioni di per sé potrebbe non essere importante. «Il problema non è quando verrà fuori la prossima storia. La domanda è: cosa pensiamo di fare, in proposito?».