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 2014  ottobre 10 Venerdì calendario

RENZI, QUEI DUBBI SULLA SQUADRA DEI MINISTRI

Un conto è avere problemi politici nel governo, e Renzi non ne ha. Altra cosa è avere problemi di personale politico nel governo, e Renzi si va rendendo conto di certe «inadeguatezze» nella squadra dei ministri. È consapevole che alcune scelte fatte con il bilancino delle correnti — quando otto mesi fa si insediò a palazzo Chigi — non sono più funzionali al suo disegno. L’idea l’aveva maturata già a ridosso dell’estate, dopo aver lanciato la candidatura in Europa della Mogherini. Ma proprio ora che si approssima la sostituzione di «miss Pesc» alla Farnesina, il rimpasto è stato derubricato a semplice sostituzione di chi — in corso d’opera — ha lasciato l’esecutivo per altri incarichi.
Per quanto il risultato delle Europee e la sua presa sul Pd abbiano cambiato gli equilibri ereditati da Enrico Letta, la «rifondazione renziana» nell’esecutivo comporterebbe un passaggio alle Camere, una nuova fiducia, con le inevitabili tensioni che si porterebbe appresso. E il premier ora non si può permettere intoppi in Parlamento, mentre transita la carovana delle sue riforme: il Jobs act, la modifica del bicameralismo, la legge elettorale.
E viste le attenzioni che la «Troika» riserva ai conti pubblici italiani, l’ipotesi di un trasferimento di Padoan agli Esteri durante l’esame della legge di Stabilità non sembra avere fondamento, perciò è probabile — anche se non scontata — la promozione del vice ministro Pistelli a capo delle feluche. Certo, sono note le tensioni di Renzi con l’Economia e soprattutto con il capo di gabinetto di quel dicastero, Garofoli, che il premier vorrà far «marcare» da un suo fedelissimo, il siciliano Faraone, già membro della segreteria democratica, lasciata proprio per entrare in via XX Settembre al posto di Legnini, appena trasferitosi al Csm.
Si sa, Renzi conta amici e nemici, e talvolta si fa prendere dai dubbi. Così quando si è dovuto scegliere il commissario dell’Inps, ha scartato l’economista Marè — consigliatogli da Padoan — e ha optato per l’ex ministro Treu, propostogli da Poletti. In realtà, anche con il titolare del Lavoro ci sono state incomprensioni. Poletti è considerato dal premier un buon tecnico ma il suo stile rotondo da emiliano non si concilia con la velocità del fiorentino. Sul Jobs act immaginava di arrivare a un compromesso nel Pd: «Costruiremo il consenso con un po’ di riunioni». Ma in quelle riunioni spesso il ministro restava prigioniero, ci entrava sostenendo che «l’articolo 18 è una pena comminata agli imprenditori», ci usciva dicendo che: «Mo sai che c’è. Si tengono la pena». A Renzi non è piaciuto quell’approccio e nemmeno il modo in cui Poletti ha affrontato l’altro ieri l’Aula del Senato per la fiducia.
Ma da qui a sostituirlo ce ne corre. D’altronde, il rapporto del premier con (quasi) tutti i suoi ministri è segnato da tensioni. Alcune tutelate dalla riservatezza (della Pinotti — per esempio — non ha gradito certe esternazioni da «madre della Patria»). Alcune filtrate all’esterno (il clamoroso strappo con Delrio). Altre infine rese pubbliche, come con l’Orlando «doroteo». Ma il Guardasigilli non è in partenza. Dopo aver incontrato mercoledì scorso il vice segretario del Pd Guerini, per mettersi «a disposizione del partito», il titolare della Giustizia ha chiuso il discorso su una sua possibile candidatura alle Regionali: «Ho avviato le riforme nel campo della magistratura, e quando inizio un lavoro mi piace finirlo». Invece di vedersela con gli elettori della Liguria o della Campania, Orlando continuerà a vedersela con le toghe.
Insomma, in questa fase per Renzi non è funzionale cambiare gli equilibri. Così, terrà al suo posto Martina, la Giannini e persino la Lanzetta. E con la delegazione di Ncd il rapporto resta saldo, sebbene in estate avesse sperato che Lupi optasse per l’Europarlamento. Ma Alfano è alleato indispensabile per tenere a distanza l’altro alleato: Berlusconi.