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 2014  ottobre 09 Giovedì calendario

IL CARDINALE TETTAMANZI CONTRO QUELLI CHE VOGLIONO AVERE UN FIGLIO PER FORZA: «I FIGLI SONO UN DOVERE, NON UN DIRITTO»

[Intervista al cardinale Tettamanzi] –

Troppo conservatore per i progressisti, troppo progressista per i conservatori. Lo dicevano di Paolo VI. Si può dire del cardinale Tettamanzi. Anche se oggi è un arcivescovo emerito lontano dalle geometrie del potere il suo messaggio è diretto, come quando a Milano chiedeva alla politica onestà, schiettezza, pulizia morale. Siamo ancora nella stessa palude, si cercano gli stessi segnali di speranza.Il cardinale si interroga: «Papa Francesco non è un segno di speranza? Le sue parole semplici e attuali, che rimandano alla semplicità gioiosa del Vangelo, non sono un segno di speranza? Certo. Sono un seme che va raccolto e coltivato dentro la Chiesa e anche ben oltre i suoi confini: sono parole che nutrono la fede e fanno bene all’umanità».
Con il Sinodo la Chiesa ha aperto una riflessione profonda, che tocca il tema della fede, ma la comunità religiosa appare disorientata...
«La fede senza le opere è morta in se stessa, dice l’apostolo Giacomo. So che, al di là di stanchezze, lacune, infedeltà che inquinano la bellezza spirituale della Chiesa, la fede di tantissime persone, spesso semplici e povere e sofferenti, è fede operosa, dunque viva e segno di grande speranza. La fede è visibile nella carità: e da questo marchio è segnata la cronaca di ogni giornata, ben oltre il male che persiste ad affliggere drammaticamente l’umanità. C’è una responsabilità affidata a ciascuno: non lasciarsi rubare la speranza».
Oggi ci sono tante nuove famiglie: pongono problemi profondi, dai figli ai sacramenti. Certe risposte sembrano tardive...
«Credo che si debba porre l’accento sul linguaggio. Da sempre “famiglia” è una parola carica di significati che sono entrati nella mente e nei progetti dell’umanità, di ciascun uomo e donna, dal cui amore scaturisce la vita nuova, i figli. Eviterei allora di appiattire la discussione, per certi versi necessaria, omologando i termini diffusi, ricordando che il frutto delle parole d’oggi diverrà infatti eredità del domani. Mi sembra di capire che i (nostri) giovani abbiano voglia di famiglia, contrariamente a quanto si pensa; e per famiglia essi intendono quella da cui provengono».
Sulla comunione ai divorziati papa Francesco apre, il Sinodo è diviso, la discussione è aperta. Lei pensa che sia arrivato il momento di dire una parola definitiva?
«La riflessione sulla “Chiesa che apre” è utile e necessaria. Purché sia una riflessione onesta e seria, che parte e arriva a come Cristo stesso ha aperto e sempre apre quale necessario Salvatore di tutti. È in questione allora il volto di una Chiesa che, per grazia e volere del Signore Gesù, è insieme “maestra e madre”. E tale è quando annuncia il Vangelo nella sua verità e bellezza, e insieme accompagna le persone con il cuore pieno dell’amore di Cristo, incarnazione vivente della misericordia di Dio. Oggi poi la problematica familiare dell’intera umanità è quanto mai estesa e variegata, sicché deve dirsi inadeguata e riduttiva la sottolineatura che è stata ed è riservata alla posizione propria dei fedeli divorziati risposati, nella vita e missione della Chiesa».
È possibile una ammissione dei fedeli divorziati risposati ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucarestia?
«Nell’ambito delle discussioni sinodali ritengo che si debba dare spazio a questo interrogativo anche accogliendo l’ipotesi detta, che si legittima a tre precise condizioni determinanti un itinerario morale e spirituale da percorrere: 1) se dei sacramenti si assume, secondo l’insegnamento costante della Chiesa, il loro significato di “segni delle misericordie di Dio” (l’eucaristia è “in remissionem peccatorum”); 2) se si evitano confusioni indebite sull’indissolubilità del matrimonio e 3) si assicura un ricuperato impegno di vita cristiana attraverso “cammini di fede” che siano veri e comprovati: una vera e propria “iniziazione cristiana per adulti” nelle loro diverse situazioni di vita. Siamo così nel contesto necessario dell’annuncio e della testimonianza del Vangelo».
Il 19 ottobre Paolo VI verrà proclamato beato. Siamo davanti una società che invecchia e non fa figli. Papa Montini mise in guardia dal considerare i figli un prodotto. Una considerazione ancora attuale alla luce delle polemiche sulla fecondazione.
«Estremamente attuale. Rileverei subito il grande rischio sotteso all’abitudine che il figlio sia pensato come un diritto. È piuttosto una sorta di dovere. Infatti una società che invecchia involve e implode su se stessa: se poi riteniamo il figlio-diritto come nozione acquisita, dovremmo portare la questione all’estremo: quali diritti possono vantare i genitori sui propri figli? Rilevo poi come Paolo VI, soprattutto con l’enciclica Humanae vitae , ci solleciti a riprendere tuttora il decisivo tema della fecondità coniugale sotto il profilo della “responsabilità”, ossia della libera risposta alla dinamica propria dell’amore degli sposi in rapporto al bene proprio, dei figli, della società e della Chiesa».
Qual è il suo ricordo di papa Paolo VI?
«I ricordi sono tanti. Tra questi emergono il dialogo a tu per tu, in seminario poco prima di diventare prete; poi l’ordinazione sacerdotale ricevuta dalle mani e dalla preghiera di Montini il 28 giugno 1957, con l’omelia infuocata sul sacerdote come “missionario” dell’amore di Cristo per ogni uomo, nessuno escluso. E poi il ricordo più significativo e coinvolgente: la successione, del tutto inattesa, di condividere la medesima cattedra episcopale dei santi Ambrogio e Carlo per nove anni: anni vissuti nella conoscenza sempre più allargata e approfondita del suo magistero e del suo cuore di Arcivescovo di Milano».
Cardinale Tettamanzi, quando la notte di Natale 2008 ha aperto il “Fondo Famiglia-Lavoro”, ha segnato una strada. Oggi a Milano si apre un ristorante a un euro dedicato a un povero morto nel rogo di una baracca. C’è una solidarietà che non si arrende alla crisi?
«Sarebbe facile rispondere di sì: la nostra società non si sta arrendendo. Ma è fatta di individui e le loro reazioni sono le più diverse: dall’indifferenza al coinvolgimento generoso, dall’offerta di un semplice contributo economico ad un interessamento più di stampo morale e spirituale, dalla presenza del singolo a quella di una vera e propria rete comunitaria… Mi premeva puntare sul fiorire di una solidarietà come espressione non semplicemente di carità, ma di vera e propria giustizia sociale. E questo percorrendo la strada di uno stile di vita nel segno della sobrietà. Chiedevo un’opera educativa: che fosse capace di ripensare e riformulare un nuovo modello di sviluppo, in chiave non solo domestica, ma mondiale».