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 2014  settembre 30 Martedì calendario

IL COLLEZIONISTA CHE COMPRAVA RENI E CARACCI PER POCHI EURO

Sir Denis Mahon ebbe tre grandi passioni: la pittura barocca, la buona tavola, l’opera lirica. E tre grandi regali dal Destino: nascere ricco, la capacità di riconoscere un artista al primo sguardo, il buonumore. Conservò passioni e regali fino agli ultimi giorni della vita, durata cento anni e cinque mesi. Quando morì, il 24 aprile 2011, lasciò ai musei di mezza Europa una collezione di 76 capolavori, da Guercino a Caravaggio, da Guido Reni a Domenichino. E una mole di studi che già nella prima metà del Novecento avevano cominciato a rivoluzionare la critica d’arte anglosassone, convinta da John Ruskin a disprezzare tutto quello che era venuto dopo il Rinascimento e a considerare il Barocco «spazzatura» e i Carracci «scorie di Tiziano». Fu tuttavia grazie a questo disprezzo che Mahon poté raccogliere in poco tempo una collezione così importante. E per una manciata di spiccioli. Il primo Guercino, La benedizione di Giacobbe, lo comprò a Parigi nel 1932 per 120 sterline. Il secondo Guercino, Elia nutrito dai corvi, proveniente da casa Barberini, lo scovò in un solaio e lo prese nel 1934 per 200 sterline. Nel 1945 si aggiudicò da Sotheby’s, per 80 sterline (130 euro di oggi), il Ratto d’Europa, che Guido Reni aveva dipinto per Wladislaw IV re di Polonia. Dovette battere la concorrenza di un corniciaio, Wiggins, che era interessato solo alla cornice Regence e non sapeva che farsene del dipinto, tutto nero perché mai ripulito. Mahon l’aveva riconosciuto senza alcun dubbio. Aveva allenato l’occhio, fin da bambino, a fianco del padre che gestiva la banca d’affari di famiglia, ma trovava il tempo per visitare musei e chiese e giocare con il piccolo Denis al gioco dell’attribuzione. Bisognava identificare un pittore da lontano e Denis ci riusciva quasi sempre. In seguito furono determinanti, nella sua formazione, gli studi con Kenneth Clark, direttore all’Ashmolean Museum di Oxford, e con Nikolas Pevsner che suggerì a Mahon di avviare uno studio su Guercino. Fu così che nel 1934 Mahon intraprese il suo primo viaggio a Cento e restò folgorato dall’arte del pittore cresciuto tre secoli prima all’ombra del ducato di Ferrara. Da allora in poi i viaggi alla ricerca degli artisti italiani si susseguirono senza sosta. Comprava quadri che poi sarebbero stati rivalutati dai suoi stessi studi. Nel 1964 aveva già le 76 opere della collezione. Non aveva speso, in totale, più di cinquantamila sterline. A quel punto i prezzi presero a salire vertiginosamente. Lui decise di rinunciare agli acquisti. Ma non alla ricerca di capolavori misconosciuti. È famosa la sua incursione nell’ufficio del sindaco di Roma, verso la fine degli anni Cinquanta, dove scovò sopra la porta l’originale del San Giovanni Battista di Caravaggio. O le sue arrampicate, ormai ultranovantenne, sui ponteggi alti trenta metri durante i restauri di Sant’Andrea della Valle. Un assistente lo seguiva con una seggiolina e a ogni ripiano lo faceva riposare. Sempre elegante, con gli stessi gessati di Savile Row che indossava da giovane, le camicie col colletto alto e i gemelli d’oro. I direttori dei musei lo vedevano apparire ogni volta che allestivano una mostra sul Barocco. Arrivava annunciato dal suono metallico delle scarpe con i tacchi rinforzati da una mezzaluna di ferro. Camminava lungo i saloni a passi lenti ma decisi, appoggiandosi appena al bastone da passeggio e dispensando consigli ai curatori in un italiano scorrevole in cui si riconosceva tuttavia l’accento di Eton. Alle tredici in punto salutava tutti e andava a mangiare. Se fosse ancora vivo anche stavolta avrebbe chiesto, come faceva ogni autunno in un ristorante romano vicino al Pantheon, funghi porcini alla griglia con olio toscano.
Lauretta Colonnelli