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 2014  ottobre 01 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA FRANCIA DICE NO ALL’AUSTERITA TEDESCA


REPUBBLICA.IT
MILANO - Il governo francese rifiuta di adottare nuove misure di austerità e prevede, nella legge di bilancio per il 2015, un deficit che quest’anno si attesterà al 4,4% del Pil, l’anno prossimo si restringerà al 4,3%, nel 2016 scenderà al 3,8% e solo nel 2017 andrà al 2,8%, cioè sotto il tetto del 3% fissato dai parametri europei. In precedenza Parigi si era impegnata a scendere sotto il 3% fin da quest’anno.
"Abbiamo preso la decisione di adattare il passo di riduzione del deficit - spiega il ministro delle Finanze, Michel Sapin - alla situazione economica del paese. La nostra politica economica non sta cambiando, ma il deficit sarà ridotto più lentamente del previsto a causa delle circostanze economiche". Nel comunicato che accompagna i numeri della legge di bilancio il ministro spiega che "nessun ulteriore sforzo sarà richiesto alla Francia, perché il governo - assumendosi la responsabilità di bilancio di rimettere sulla giusta strada il paese - respinge l’austerità".
Sapin aveva già preannunciato che i target di deficit per il 2015 erano inattuabili e ribadisce che la Francia l’anno prossimo crescerà solo dell’1 e del’1,9% nel 2017. Inoltre definisce "senza precedenti" lo sforzo del governo di tagliare di 50 miliardi di euro i volumi della spesa pubblica entro il 2017, pur riconoscendo che il totale della spesa pubblica in questo periodo registrerà un rialzo dello 0,2%. Questo significa che il debito pubblico toccherà nel 2016 un picco del 98% del Pil, iniziando una lieve discesa nel 2017.
La Francia, che ieri ha superato la soglia dei 2.000 miliardi di euro di debito pubblico (95,1% del Pil), continuerà nel 2015 il programma di taglio della spesa pubblica, con 7,7 miliardi di risparmi sui costi dello Stato e dei suoi operatori. La spesa pubblica transalpina calerà così dal 56,5% del Pil nel 2014 al 56,1% nel 2015, per poi continuare a scendere (55,5% nel 2016 e 54,5% nel 2017). Tuttavia, il pareggio di bilancio arriverà solo nel 2019, e non nel 2017 come previsto dall’ultima manovra finanziaria.

FUBINI IN REP TV
"Se l’Italia pagasse gli stessi tassi bassi sul debito della Francia, il nostro deficit sarebbe nullo". Perché il no all’austerity di Parigi viene da una storia completamente diversa da quella italiana. Come l’unica soluzione alla crisi dei singoli paesi dell’Unione può venire solo dall’Europa
La Francia ha un disavanzo prima degli interessi, noi un avanzo

FUBINI
L’IMPRESS E CHE FRANCESI E IT SIANO SU LUNGHEZZE UN PO DIVERSE. ITALIA HA DEFICIT SOTTO IL 3 LO HA DA ANNI, LA FRANCIA HA UN DEFICIT PARECCHIO SOPRA AL 3 PER CENTO DEL PIL E LO HA DA TANTI ANN. SE L’ITALIA PAGASSE GLI STESSI TASSI D’INTERESSE DELLA FRANCIA SUL DEBT E LA FR LI PAGA MOLTO BASSI PER LA SUA IDENTIFICAZIONE POLITICA CON LA GERMANIA IL DFCT IT SAREBBE QUASI NULLO MOLTO VICINO A PAREGGIO DI BILANCIO NOI ABBIAMO UN AVANZO PRIMA DI PAGARE GLI INTERESSI SUL DEBITO LA FRANCIA HA UN DEFCT PRIMA DI PAGARE GLI INT SUL DEBITO. NON SONO SIOCURO CHE CI SIA UN ASSE. UNA COSA C’È QUESTI GOVERNI SONO DISPERATAMENTE INCERCA DI DOMANDA DI INVESTIM. SENSAZIONE: SOLO EUROPA PUO FORNIRE QS DOMANDA E NON POLITICHE DI DEFICIT SPENDING A LIVELLO NAZIONALE

ALBERTTO D’ARGENIO SUL DEF
A PALAZ CHIGI STANNO SEGUENDO PROPRIO ORA DISC SU RIF DEL LAVORO PARTITA INS ENATO DOPO DOIREZIONE PD DELL’ALTRO IERI. IERI PADOAN AGG DEL DEF CHE SANCISCE COME L’ITALIA PUR RESTANDO NEL LIMITE DEL 3% STABILITO DAL PATTO DI STABILITA DELL’UE NON RISPETTA IL FISCAL COMPACT SPOSTA IL PAR INIZ PER 2015 AL 2017 E ANNUNCIA DEFICIT AL PELO DEL 3% CON UN DEBT PUB CVHE CRESCE. CALCOLO POLITICO DI RENZI E PADOAN SFIDARE O NEGOZIARE UNA NON PIENA ATTUAZIONE ED EVITARE PROCEDURA CHE RESTRINGEREBBE MARGINI DI MANOVRA DI RENZI O DEL TESORO DIMOSTRANDO CHE L’ITALIA PUR NON ABBASSANDO DEFCT E DBT PUBB È IMPEGNATA IN UNA SERIE DI RIFORME CHE DOVREBBERO POLITICAMENTE C ONSENTIRE ALL’ITALIA DI EVITARE LA PROCEDURA EUROPEA

WWW.LASTAMPA.IT
Parigi si ribella alle regole del Patto di Stabilità e dice “no” a nuove misure di austerità, ma Bruxelles e la cancelliera tedesca Angela Merkel le ricordano che i Paesi membri «devono rispettare gli impegni presi». Il governo francese prevede, nella legge di bilancio per il 2015, un deficit che quest’anno si attesterà al 4,4% del Pil, l’anno prossimo si restringerà al 4,3%, nel 2016 scenderà al 3,8% e solo nel 2017 andrà al 2,8%, cioè sotto il tetto del 3%. In precedenza Parigi si era impegnata a scendere sotto il 3% fin da quest’anno. «Abbiamo preso la decisione di adattare il passo di riduzione del Pil - spiega il ministro delle Finanze, Michel Sapin - alla situazione economica del paese».



Parigi: «Circostanze economiche non favorevoli»

«La nostra politica economica - aggiunge Sapin - non sta cambiando, ma il deficit sarà ridotto più lentamente del previsto a causa delle circostanze economiche». «Nessun ulteriore sforzo - si legge in un comunicato che accompagna i numeri della legge di bilancio - sarà richiesto alla Francia, perché il governo - assumendosi la responsabilità di bilancio di rimettere sulla giusta strada il paese - respinge l’austerità».



Merkel: «La crisi non è alle spalle»

Dura la reazione della tedesca Angela Merkel «Non siamo ancora al punto in cui si possa dire che la crisi è alle nostre spalle», afferma Angela Merkel: «I Paesi devono fare i loro compiti per il loro benessere», ha aggiunto, ricordando che il patto di stabilità e crescita «si chiama così perché non può esserci crescita sostenibile senza finanze solide».



L’Europa: «Francia e Italia rispettino gli impegni»

A stretto giro di posta arriva anche la replica di Bruxelles, che ricorda a Parigi che gli Stati europei «devono rispettare le raccomandazioni specifiche per paese» che sono state approvate dal Consiglio Ue su proposta della Commissione. Lo ha spiegato il portavoce del commissario agli Affari economici e finanziari Simon O’ Connor senza commentare nello specifico i recenti annunci sui conti pubblici di Italia e Francia. «Gli impegni presi dagli Stati nei confronti degli altri - ha detto - sono comuni e il ruolo della commissione è quello di dire se i progetti di bilancio metteranno gli Stati sulla strada giusta per rispettare tali impegni». Un riferimento indiretto anche all’Italia che ha previsto il rinvio del pareggio di bilancio al 2017. «Valuteremo il progetto di legge di stabilità - ha aggiunto la portavoce del commissario europeo Katainen - alla luce degli impegni presi nelle raccomandazioni. La nostra posizione è che gli impegni vanno rispettati».



La difesa di Sapin: «Abbiamo tagliato la spesa di 50 miliardi»

Intanto il ministro della finanze francese Sapin, che aveva già preannunciato che i target di deficit per il 2015 erano inattuabili, prevede una crescita economica stentata dello 0,4% quest’anno, seguita da un +1% nel 2015, +1,7% nel 2016, +1,9% nel 2018 e solo nel 2018 e nel 2019 il Pil tornerà a crescere del 2%. «Le nostre prospettive economiche - ammette Sapin - non sono quelle previste qualche mese fa». Inoltre il ministro definisce «senza precedenti» lo sforzo del governo di tagliare di 50 miliardi di euro i volumi della spesa pubblica entro il 2017, pur riconoscendo che il totale della spesa pubblica in questo periodo registrerà un rialzo dello 0,2%. Questo significa che il debito pubblico toccherà nel 2016 un picco del 98% del Pil, iniziando una lieve discesa nel 2017.
Manifatturiero, Germani ferma
Alla debolezza dell’economia francese si aggiunge quella europea, come dimostrano i dati del Pmi manifatturiero dell’Eurozona, che mostrano un nuovo calo, mentre la Germania resta ferma e solo l’Italia cresce. L’indice, calcolato da Markit, arretra nell’area euro da 50,7 punti a 50,3 punti a settembre, il minimo da 14 mesi.

STAMPA.IT
«Pochi giorni». Il premier Matteo Renzi lo ha fatto sapere ieri, di voler vedere la riforma del lavoro approvata a tambur battente dal Senato. Oggi è iniziata la discussione, ma se guerra doveva essere, al momento siamo nella più classica calma apparente. Il nodo pare essere quello di un nuovo emendamento al Jobs Act con cui il governo recepirebbe le indicazioni emerse dalla direzione nazionale del Pd, l’altro giorno. Quali? Ancora non è chiaro. E il ministro competente, Giuliano Poletti, prende tempo.«Stiamo ancora ragionando su quello che c’è da fare», dice, «Ascoltiamo la discussione e poi decideremo». Ma l’apertura arriva proprio dalla minoranza Pd: al voto finale «certamente non mancherà la lealtà verso il partito e il governo. Anzi, più netta è la chiarezza delle opinioni, più può poi emergere il senso di responsabilità», dice Pier Luigi Bersani, interpellato alla Camera. «Dove non sono d’accordo lo dico ma non ho bisogno di farmi spiegare la ditta dai neofiti», sottolinea.



SINDACATI SULLE BARRICATE

Parte della discussione, anche oggi, ha luogo fuori delle sede istituzionali. I sindacati, in altre parole, continuano il confronto a distanza con il governo e tra di loro. La Cgil non ha digerito l’ennesimo attacco del premier. Questi l’ha accusata di essere stata assente nei momenti che contavano, e Susanna Camusso ribatte minacciando di fornire l’elenco delle cose fatte. Poi ribadisce che l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori è un simbolo di libertà che non invecchia, e che «se è stato applicato poche volte è buon segno». E ancora: «Non c’è arma contro l’ingiustizia che funzioni meglio di quella norma che previene ancor prima di curare». Anche Anna Maria Furlan, leader in pectore della Cisl, manda un segnale di insoddisfazione, quando definisce Renzi «distratto» nel momento in cui taccia Via Po di aver ignorato le istanze dei precari. Anche la Uil, con Renato Angeletti, avverte: il governo non si illuda perché la minaccia dello sciopero generale è reale. L’articolo 18 è una cosa per cui vale la pena lottare.



CAMUSSO E GRILLO CONTRO TFR IN BUSTA

Tutti, poi, poco entusiasti dell’idea di mettere il Tfr (trattamento fine rapporto) in busta paga. «Nessuno dica che si stanno aumentando i salari dei lavoratori: quelli sono soldi dei lavoratori, frutto dei contratti e delle contrattazioni e non una elargizione di nessun governo e non è un nuovo bonus se no, davvero, siamo alla disinformazione», dice il segretario generale a margine dell’ottavo anniversario del monumento alla stampa clandestina e alla libertà di stampa a Conselice. «Noi abbiamo posto dei problemi di valutazione e vogliamo capire tre cose molto precise». La prima, ha sottolineato, è se l’inserimento del tfr in busta paga «diventa un aumento della tassazione per i lavoratori o se si mantengono i regimi differenziati di tassazione; la seconda è se il lavoratore vuole investirlo nella previdenza come fa? La terza - ha concluso Camusso - è che il lavoratore sia libero di decidere». Un nodo che provoca l’attacco anche di Grillo, leader del M5S: «Mentre il Paese precipita nel baratro della disoccupazione e della recessione, il governo gli dà una spintarella. Togliere il Tfr alle imprese vuol dire metterle in mutande e costringerle a rivolgersi al credito bancario per finanziarsi». E anche Bersani ci va cauto: «I soldi del Tfr sono soldi dei lavoratori, non del governo. Se si vuole fare qualcosa con i soldi dei lavoratori, bisognerà che si parli con i lavoratori perché non sono soldi del governo né delle imprese».



NUOVI FRANCHI TIRATORI?

Il Tfr, insomma, vede le perplessità di una parte del mondo politico in procinto di affrontare il dibattito sulla riforma del lavoro. Contro un eventuale «soccorso azzurro» a Renzi, nel caso in cui la minoranza Pd faccia ballare il suo segretario-presidente del Consiglio, si schiera ad esempio il dissenso interno a Forza Italia. La vera partita è proprio questa, le scommesse degli osservatori riguardano la volontà dei dissidenti dei due schieramenti di dare battaglia. Lo si capirà in un futuro prossimo. Al momento è una guerra apparente.
La minoranza del Pd assicura di non voler creare problemi alla tenuta del governo. Ma fa discutere l’emendamento sull’articolo 18 che non piace a Ncd. «Sulla riforma del mercato del lavoro non possiamo che verificare la marcia indietro fatta dal presidente Renzi» ha spiegato Brunetta. «Perché con l’ordine del giorno approvato dalla direzione, cioè con l’aggiunta ai licenziamenti discriminatori di quelli disciplinari, siamo tornati alla legge Fornero, quindi non è cambiato nulla». «Adesso il problema è del Nuovo Centrodestra, di Sacconi, che aveva puntato tutto su questa riforma, d’altra parte Sacconi è anche il presidente della Commissione Lavoro del Senato», conclude Brunetta.

REPUBBLICA.IT
MILANO - "Valuteremo il progetto di legge di stabilità alla luce degli impegni presi nelle raccomandazioni, la nostra posizione è che gli impegni vanno rispettati": così il portavoce del commissario agli affari economici Jyrki Katainen, risponde a chi gli chiede l’opinione di Bruxelles all’annuncio italiano del rinvio del pareggio. A partire dal 15 ottobre, infatti, il Def italiano diventerà argomento di discussione a Bruxelles.
Proprio ieri sera, infatti, il governo ha rivisto le stime di crescita dell’economia: nel 2014 il prodotto interno lordo scenderà dello 0,3% per poi tornare a salire nel 2015 dello 0,6%. Precedentemente il premier Matteo Renzi e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan avevano messo in canitere una crescita dello 0,8% per l’anno in corso e dell’1,3% per l’anno successivo. Il rapporto tra deficit e Pil sarà al 3% nel 2014, la soglia limite prevista dagli accordi europei e al 2,9% nel 2015. Il rapporto tra il debito e il Prodotto interno lordo volerà al 131,6% (133,4% nel 2015), anche perché dalle privatizzazioni entreranno meno soldi del previsto. Il pareggio di bilancio è rimandato al 2017. Quanto alla disoccupazione, quest’anno sarà al 12,6%. Per l’anno prossimo, un calo lievissimo: al 12,5%.
A livello europeo, però, il governo Renzi potrà contare su un alleato di peso come la Francia che proprio oggi ha annunciato l’intenzione di non rispetterare gli impegni presi con la Ue sforando al 4,4% il deficit per quest’anno e rinviando il pareggio di bilancio al 2014. Lo ha detto il ministro francese delle Finanze spiegando che la Francia non attuerà nuove politiche di austerity perché "la riduzione del disavanzo deve essere adattata alla situzione economica del Paese: il governo francese respinge l’austerità".
Sia a Renzi che a Hollande sembra rivolto quindi l’invito della Merkel a fare i compiti: "Non siamo ancora al punto in cui si possa dire che la crisi è alle nostre spalle", afferma oggi la cancelliera tedesca. "I Paesi devono fare i loro compiti per il loro benessere", aggiunge, ricordando che il Patto di Stabilità e Crescita "si chiama così perché non può esserci crescita sostenibile senza finanze solide".

REPUBBLICA.IT
ROMA - Al voto finale sul Jobs Act "certamente non mancherà la lealtà verso il partito e il governo. Anzi, più netta è la chiarezza delle opinioni, più può emergere il senso di responsabilità". Così Pier Luigi Bersani, interpellato alla Camera, garantisce il voto della minoranza Pd alla riforma del lavoro di Matteo Renzi. "Dove non sono d’accordo lo dico, ma non ho bisogno di farmi spiegare la ditta dai neofiti", sottolinea l’ex segretario del Pd.
"E’ curioso che Renzi se la prenda con tutti: i magistrati, i sindacati, le associazioni, la minoranza interna - continua Bersani -. Se la prende con tutti tranne che con la destra. Eppure negli ultimi 10 anni è stata la destra a governare". E bacchetta il premier-segretario: "Basta schiaffi ai sindacati".
A stretto giro, l’apertura di Bersani viene accolta favorevolmente da Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, che ai microfoni di Radio Monte Carlo commenta: "L’apertura della minoranza interna sul Jobs Act mi sembra un’ottima notizia, in linea con la dignità politica di Bersani e con la tradizione del Pd, un partito che sa discutere e alla fine decidere".
Intanto il Jobs Act è approdato nell’aula del Senato, dove questa mattina si è svolta la discussione generale del ddl delega. Discussione che si prolungherà a Palazzo Madama sino a martedì prossimo. Conseguentemente, il voto degli emendamenti potrebbe iniziare non prima di mercoledì 8.
Sul fronte politico, la minoranza Pd aveva già rassicurato in mattinata di non voler mettere in difficoltà l’esecutivo: "Nessuno di noi ha intenzione di creare problemi alla vita del governo", ha detto Felice Casson a Skytg24. "Se Renzi manterrà la parola data in direzione" e tradurrà in norma gli emendamenti della minoranza "noi non avremmo più problemi - ha aggiunto -. Saranno semmai problemi del Nuovo Centrodestra". Ncd, infatti, è contrario all’emendamento del governo sull’articolo 18, che manterrebbe il reintegro non solo per ragioni discriminatorie ma anche disciplinari.
Lavoro e art. 18: i 4 punti chiave del Pd
ln merito, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti è rimasto sul vago: "Stiamo ancora ragionando su quello che c’è da fare. Ascoltiamo la discussione e poi decideremo". E ha glissato pure Maurizio Sacconi, relatore della delega sul lavoro e capogruppo al Senato di Ncd: "Non è detto che verrà presentato un emendamento aggiuntivo dal governo perché la delega contiene criteri precisi ma anche sufficientemente ampi per dettagliare" in seguito nei decreti delegati le questioni sul tavolo, a partire dall’articolo 18.
Più radicale Renato Brunetta: "Noi avevamo detto ok a Renzi rispetto alle sue affermazioni di superamento dell’art. 18 - ha chiarito il capogruppo alla Camera di Forza Italia - ma se Renzi, per tenere insieme il suo partito, fa marcia indietro noi non potremo fare altro che votare contro e denunciare questo imbroglio". E si è chiesto che cosa farà Ncd: "Sacconi non potrà non dimettersi".
I sindacati, intanto, si mantengono prudenti. Il leader della Cgil Susanna Camusso rimane sulle sue posizioni e a proposito dell’articolo 18 replica al governo che lo vede come un tema vecchio: "Il criterio di anzianità non è un criterio che, di per sè, vale per decidere se una legge è utile o inutile: ci sono dei simboli che non invecchiano mai".
Più possibilista il segretario della Uil, Luigi Angeletti: "Renzi mi ha abituato a distinguere velocemente tra ciò che dice e ciò che fa: voglio vedere cosa fa", ha detto, ribadendo la disponibilità della Uil ad uno sciopero generale. Tra le varie sigle sindacali, "abbiamo qualche sfumatura diversa -ha aggiunto - ma il buon senso ci dice di aspettare e vedere cosa esce realmente, visto che credo che si tratti soltanto di un colpo politico".
Ma sull’altro tema sul tappeto, ossia l’ipotesi di anticipare il Tfr in busta paga, le sigle sindacali frenano. "Nessuno dica che si stanno aumentando i salari dei lavoratori: quelli sono soldi dei lavoratori, frutto dei contratti e delle contrattazioni e non una elargizione di nessun governo e non è un nuovo bonus se no, davvero, siamo alla disinformazione", ha chiarito Camusso. Mentre Angeletti ritiene che "bisogna continuare a ridurre le tasse sul lavoro. Capisco l’intenzione di dire che bisogna avere più soldi in tasca, ma non è questa la strada giusta".
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Contrarie al Tfr in busta paga anche le imprese. Da Confartigianato a Unimpresa fino ad Alleanza Coop, tutti sono concordi nel ritenere che il provvedimento "rischia di accelerare le crisi aziendali" e ’asciugare’ la liquidità delle aziende: "Con il passaggio del 50% del trattamento di fine rapporto nei salari dei lavoratori - fa sapere il Centro Studi di Unimpresa - sono a rischio 5,5 miliardi di euro di liquidità delle pmi".
Lo stesso Bersani raccomanda cautela sull’argomento: "I soldi del Tfr sono soldi dei lavoratori, non del governo. Se si vuole fare qualcosa con i soldi dei lavoratori, bisognerà che si parli con i lavoratori perchè non sono soldi del governo né delle imprese". E aggiunge: "Andiamoci molto cauti, quando ci si mangia oggi le risorse di domani".