Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 01 Mercoledì calendario

LA STORIA DI VIVIANO: NATO TRA I MAFIOSI, È DIVENTATO GIORNALISTA D’ASSALTO


L’ambiente di Cosa nostra. Un destino segnato. Un ragazzo di 17 annui che deve portare a termine un compito ineludibile: uccidere il killer che gli ha portato via il padre. Francesco, Francesco Viviano, è rimasto orfano da bambino e ora è arrivato il momento della vendetta. Ma c’è un imprevisto: quell’uomo malvagio «camminava, tenendo in braccio un bambino di un anno... che mi guardava con curiosità oltre la sua spalla, fissando... la pistola».
Quegli occhi sgranati e innocenti fermano la mano che sta per colpire. E segnano una svolta, una frattura nella vita di un giovane cresciuto nella Palermo poverissima e mafiosissima dell’Albergheria. A volte basta un momento di cielo azzurro nell’esistenza tutta nuvole per capire e per cambiare direzione. Pare un romanzo a lieto fine, una fiction fra lacrime e lupare ma questa è la biografia che Francesco Viviano, inviato pluridecorato di Repubblica, confessa in un libro scioccante e delicato, appena pubblicato da Chiarelettere: Io, killer mancato.
Dall’omicidio interrotto, ambientato in via Buonriposo la sera del 26 marzo 1966, Viviano passa nel giro di qualche anno ai primi scoop. Scritti per l’agenzia Ansa dove lo porta non qualche potente raccomandazione, ma la mamma Enza, donna delle pulizie fra le telescriventi e le macchine per scrivere. Francesco entra come fattorino; poi diventa telescriventista, un mestiere che oggi non c’è più, infine giornalista. E qui il volume regala la seconda notizia: molti degli scoop realizzati nel corso di una lunga carriera vengono confezionati in casa. O quasi. Perché più di un mafioso decide di confidarsi proprio con lui: c’è chi lo ritiene più vicino, almeno per estrazione e per contesto, a quel mondo intriso di criminalità, e chi semplicemente conosceva già da bambino il futuro cronista.
Questo strano rapporto lega in qualche modo Viviano e Gaspare Mutolo, l’autista di Totò Riina che nel corso di una lunga intervista ammetterà di non ricordare nemmeno quante persone abbia ammazzato. I due si frequentano quando hanno i calzoni corti fra il Villaggio Ruffini, dove la vedova Viviano si è trasferita, e la vicina borgata di Pallavicino. Poi le strade si separano. Uno inizia a sparare, l’altro smette il giorno in cui sta per cominciare: «Gaspare divenne un personaggio di primo piano. Lo vedevamo viaggiare in Ferrari, vestito con eleganza, e molti dei ragazzi di Pallavicino e del Villaggio Ruffini lo consideravano un esempio da imitare. Alcuni lo seguirono, altri come me, se ne allontanarono».
Trent’anni dopo eccoli di nuovo di fronte: uno ha scalato Cosa nostra, poi si è pentito, l’altro ha scalato i giornali. Il primo parla, il secondo scrive. Morti ammazzati. Morti incaprettati. Morti torturati: «Gli chiesi se non provava rimorso... Rispose: «Tu per fortuna non hai fatto parte di Cosa nostra, ma hai rischiato di finirci dentro... Per me era come essere in guerra; mi davano gli ordini e li eseguivo. L’unico per cui ho provato rimorso è stato il giudice Domenico Signorino, che si tolse la vita quando lesse sui giornali che lo avevo accusato di essere vicino a Rosario Riccobono, il mio capo. In realtà c’erano magistrati e investigatori molto più coinvolti di lui».
C’è una Palermo vischiosa e maligna che non muore mai. Nemmeno il giorno dei funerali di Paolo Borsellino, saltato in aria in via d’Amelio. Viviano prende un caffè in un bar dell’Arenella, lo stesso in cui il magistrato in versione ciclista faceva tappa durante le sue escursioni. I commenti degli avventori sono agghiaccianti: «Domani quel cornuto non verrà qui in bicicletta. Questa è l’ultima volta che lo vediamo passare». Qualche volta i miracoli accadono. Più spesso no. Viviano va avanti e il 31 ottobre 2008 realizza uno scoop che farà il giro del mondo. Un colpo a quattro mani perché condiviso con Gian Marco Chiocci, allora inviato del Giornale e oggi direttore del Tempo: i due scoprono che Ursula Suzanne Klatten, azionista di riferimento di Bmw, è stata ricattata da un gigolò. E svelano l’arcano su Repubblica e sul Giornale. Per una volta non è una storia di mafia.