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 2014  ottobre 01 Mercoledì calendario

VIA ALLA RIVOLUZIONE PETROLIFERA USA VERSO IL SORPASSO SUI SAUDITI


DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK Sorpasso! L’America da ottobre, il mese che inizia oggi, avrà una produzione petrolifera più elevata di quella dell’Arabia Saudita. Il traguardo è storico, anche se era atteso da tempo. Da quando la rivoluzione dello «shale gas», gli idrocarburi imprigionati nel sottosuolo ed estratti grazie alle tecniche di perforazione orizzontale e a quelle del cosiddetto «fracking», ha consentito agli Stati Uniti di aumentare in misura sostanziale la loro produzione di greggio (soprattutto in Texas e nei giacimenti Bakken del North Dakota) e di gas naturale (principalmente i giacimenti della Pennsylvania, del West Virginia e di altri Stati dell’Est americano).
I numeri sono importanti ma solo fino a un certo punto, anche perché su alcuni prodotti specifici, come i petroli leggeri, il sorpasso sui sauditi non è ancora avvenuto, mentre per quello complessivo sulla Russia l’America dovrà aspettare la fine di questo decennio. Già a luglio uno studio dell’International Energy Agency (Iea) e un documento redatto dagli esperti energetici di Bank of America avevano dato per imminente il sorpasso su un’Arabia Saudita che attualmente produce complessivamente idrocarburi per 11,5 milioni di barili al giorno.
Quello che conta davvero è che gli Usa hanno fatto un balzo in avanti enorme che sta già calmierando i prezzi mondiali e che in futuro la loro produzione continuerà a crescere rapidamente sia per il gas che per il petrolio. Con due impatti prevedibili: sul piano del mercato dovrebbe continuare la pressione al ribasso dei prezzi internazionali. L’era in cui le quotazioni dipendevano dai capricci dell’Opec forse sarà ben presto solo un ricordo. Gli Stati Uniti ora hanno la possibilità di usare l’energia come strumento di politica estera. Vanno verso l’indipendenza energetica e questo già li rende meno dipendenti, ad esempio, dai Paesi mediorientali. Ma in futuro avranno anche la possibilità di fornire greggio e gas agli altri Paesi, soprattutto ai loro alleati in Europa e anche in Asia. Possono ridurre, ad esempio, la capacità di ricatto di Mosca che oggi può «spegnere i termosifoni» in mezza Europa se decide di bloccare le sue forniture di gas. A dire il vero il boom petrolifero Usa ha anche un terzo impatto squisitamente economico: rende più competitive le imprese americane (soprattutto quelle chimiche, ma anche tutti i settori che «bruciano» molto) che beneficiano dei minori costi energetici. Ma, come detto, c’è anche un vantaggio per tutti i consumatori: quello della riduzione dei prezzi internazionali dell’energia. Il greggio è sceso a 95 dollari al barile, il valore più basso degli ultimi due anni dopo una punta massima a quota 125 nel 2012, nonostante conflitti, guerre civili ed embarghi che colpiscono alcuni dei maggiori produttori mondiali di idrocarburi: dall’Iraq alla Libia, dall’Iran alla stessa Russia.
Le cose, comunque, sono molto più complesse di quello che può sembrare. I progressi gli Usa li hanno fatti soprattutto nell’area del gas naturale (qui hanno sorpassato la Russia diventando il primo produttore mondiale già nel 2010). Ma il gas è molto più difficile da esportare del greggio: va liquefatto in appositi impianti, tutti da costruire, e trasportato in nave. Inoltre l’aumento della produzione americana di greggio riguarda soprattutto i petroli leggeri, mentre le raffinerie del Paese sono state costruite per l’import di greggio pesante: bisogna riconvertire molti impianti o esportare per raffinare. Tutto questo crea vischiosità nei prezzi che stanno calando sì, ma meno di quanto la maggiore offerta renderebbe possibile.