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 2014  ottobre 01 Mercoledì calendario

MAFIA AL NORD? NON C’È, E SE C’È È “CORDIALE”

Negare. Negare sempre. Di più: indignarsi. Di rito la frase più gettonata è: “La mafia sta a Roma”. Ma non qui. Al nord poi. Solo il minimo accenno basta a far sentire diffamati cittadini e amministratori. Capita oggi, dopo che le ultime operazioni hanno rotto il tabù della piovra al nord come “solo una bella fiction”.
E capita soprattutto nei piccoli comuni, dove i clan puntano maggiormente a infiltrarsi nella politica. Un nuovo modo di operare segnalato proprio ieri dal presidente del Commissione parlamentare antimafia Rosi Bindi. Ed ecco allora che nel cuore dell’Emilia rossa a Brescello, patria di don Camillo e Peppone, il giovane sindaco Pd Marcello Coffrini, in un documentario di cronisti locali, definisce “una persona educata” il boss della ‘ndrangheta Francesco Grandi Aracri originario di Cutro, ma da anni residente in terra emiliana dove ha la sorveglianza speciale e una condanna definitiva per mafia. Coffrini scivola e fa di più: incontra il boss vicino a un cantiere. I cronisti filmano. Lui parla con Grande Aracri, stringe la mano e se ne va sorridente. Per lui non c’è nulla di male e nemmeno per il parroco del paese che pochi giorni dopo rincara dicendo che “qui la mafia non esiste”. Il Partito democratico bacchetta Coffrini. Non il suo consiglio comunale e nemmeno i cittadini che due giorni fa in piazza hanno raccolto firme in suo favore. Non c’è la mafia, si sente dire. Raccontano, naturalmente, altro le inchieste giudiziarie della Dda di Bologna. Indagini che descrivono l’Emilia come una delle ultime frontiere del riciclaggio mafioso. Per gli investigatori non è immune nemmeno la Romagna. Qui il turismo è una torta golosa per i clan. Come racconta un documentario di Michela Monte. Risponde, lo scorso gennaio, l’ex assessore regionale al Turismo Maurizio Melucci. “L’immagine che la riviera romagnola sia in mano alla mafia la ritengo una bella barzelletta. A me non risulta infiltrazione mafiosa, nel senso classico del termine”. Già perché in questi casi non è questione di collusione ma di banale ignoranza e incapacità di riconoscere il pericolo mafioso. Ben diverso, il caso eclatante rappresentato dal comune di Leinì in provincia di Torino. Protagonista l’ex primo cittadino Nevio Coral, imputato e poi condannato in primo grado per concorso esterno, il quale in aula davanti ai giudici ha dichiarato: “Se c’è un paese che non ha infiltrazioni mafiose questo è Leinì”. Per la cronaca nel 2012 il comune è stato sciolto per infiltrazioni mafiose.
Più sfumata, invece, la posizione di alcuni amministratori di Rivarolo Canavese (altra amministrazione sciolta per infiltrazioni dei clan), i quali davanti all’evidenza si sono giustificati con questo ragionamento: pensavamo che ci fosse la ’ndrangheta, ma ce l’aspettavamo con la coppola e non in doppiopetto. Sovrana ignoranza, dunque. Come nel caso dell’attuale consigliere regionale ligure Marco Melgrati, il quale, nel 2012, da ex primo cittadino di Alassio e a pochi giorni dalla maxi-operazione ‘La svolta’ sulla ’ndrangheta nell’imperiese affermava: “La mafia qua non esiste, non esiste nel nostro Dna”. Distrazione, forse. E la Lombardia? Nella regione che ospiterà l’Expo e che i magistrati definiscono il quarto mandamento della ‘ndrangheta, in pochi oggi si azzardano a dire che la mafia non esiste. È capitato solo pochi mesi fa a Vimercate, quando gli amministratori locali di centrosinistra hanno manifestato contro alcuni articoli del Fatto che, seguendo le carte di un’inchiesta della Dia, rappresentavano il comune brianzolo come ennesima meta di interessi mafiosi. “Fango”, hanno urlato. Eppure basta tornare indietro di pochi anni, prima del luglio 2010 e del maxi-blitz Infinito, per contare i comuni dove cittadini e amministratori urlavano allo scandalo al solo sentire parlare di infiltrazioni mafiose. Due su tutti: Buccinasco (all’epoca retto da una giunta di centrodestra) e Lonate Pozzolo, dove fino al 2010 i conti mafiosi si regolavano per strada o nei bar. Come nella Palermo degli anni 80.
Davide Milosa, il Fatto Quotidiano 1/10/2014